Euroritenuta rimborsabile alla luce della recente giurisprudenza
19 Febbraio 2018
Massima
Il contribuente ha diritto al rimborso dell'euroritenuta. La normativa che disciplina l'euroritenuta (art. 14 Direttiva risparmio e art. 10 D.Lgs. n. 84/2005) ha infatti previsto per il contribuente la possibilità di chiedere la compensazione o il rimborso nel caso in cui non sia applicabile l'art. 165 del TUIR. Il caso
Un contribuente, all'esito di una procedura di collaborazione volontaria per omessa dichiarazione di attività finanziarie in Svizzera, aveva proceduto al pagamento delle somme liquidate dall'Agenzia delle Entrate chiedendo il rimborso dell'euroritenuta subita all'estero, richiesta alla quale faceva seguito il diniego dell'Amministrazione finanziaria. Il contribuente proponeva così ricorso avverso il diniego dell'Agenzia, che veniva accolto dalla commissione tributaria provinciale meneghina, per le ragioni di seguito esposte. La questione
La questione affrontata nel caso di specie riguarda la spettanza di un credito d'imposta per la doppia imposizione subita dal contribuente, i cui redditi di natura finanziaria detenuti presso banche svizzere sono stati (una prima volta) assoggettati ad euroritenuta all'estero ed (una secondo volta) tassati in Italia nell'ambito della procedura di collaborazione volontaria. Di seguito, fornito un excursus del quadro normativo europeo e nazionale sull'euroritenuta, si esaminano gli argomenti giuridici pro e contra il riconoscimento al contribuente del diritto al rimborso. Le soluzioni giuridiche
Quadro normativo
L'euroritenuta si colloca nel più ampio progetto europeo di lotta all'evasione fiscale, intrapreso con la c.d. “Direttiva Risparmio” (2003/48/CE, del 3 giugno 2003) tra i cui obiettivi vi era quello di assicurare una effettiva imposizione dei redditi derivanti dagli investimenti effettuati in paesi comunitari ed extracomunitari dai residenti in Stati membri. La strada scelta per il raggiungimento degli predetti obiettivi è stata la previsione di uno scambio automatico di informazioni tra paesi, avente ad oggetti i pagamenti di interessi su crediti di qualsiasi natura (redditi da obbligazioni nazionali ed internazionali, interessi, proventi da cessione, rimborso o riscatto dei titoli, redditi distribuiti da fondi di investimento). Sono stati esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva i proventi da partecipazioni o da altre forme di investimento (ad es. prestazioni pensionistiche e assicurative). Per un periodo transitorio lo scambio di informazioni non avrebbe riguardato alcuni paesi europei (Austria, Belgio e Lussemburgo) ed extraeuropei (Isole Anglonormanne, Isola di Man, territori dipendenti o associati dei Caraibi, Andorra, Liechtenstein, Principato di Monaco, San Marino e Svizzera); tale esenzione era compensata dall'imposizione agli agenti pagatori di tali paesi dell'obbligo di applicare una ritenuta alla fonte sugli interessi pagati alle persone fisiche – l'euroritenuta – quota parte del cui gettito era attribuito allo Stato membro di residenza del beneficiario. In Italia l'attuazione di tali direttive comunitarie è avvenuta da parte del D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84, che ha previsto obblighi a carico degli agenti pagatori, tenuti a rilevare i dati identificativi delle persone fisiche beneficiarie del pagamento degli interessi ed a comunicare le relative informazioni all'Agenzia delle entrate, a sua volta tenuta a trasmetterle ai Paesi di residenza del beneficiario.
Oggi il suddetto quadro normativo risulta profondamente modificato. Con la Direttiva 2014/107/EU il monitoraggio dei redditi di natura finanziaria a livello comunitario è stato incluso nella Direttiva 2011/16/UE sulla cooperazione amministrativa, divenuta lo standard per lo scambio di informazioni a livello comunitario. Per effetto di appositi accordi con l'UE, la Direttiva 2011/16/UE estende i suoi effetti a Stati o territori con i quali sono stati siglati appositi accordi (Svizzera, Principato di Monaco, Liechtenstein, San Marino e Andorra). Il che ha portato – con la Direttiva 2015/2060/UE – all'abrogazione della Direttiva risparmio e della disciplina sull'euroritenuta in essa prevista (a cui si è adeguato anche l'ordinamento italiano, abrogando il D.lgs. 84/2005). Il sistema dell'euroritenuta ha cessato di avere applicazione nel momento in cui ha cessato di avere effetto la Direttiva 2003/48/CE, il che per la Svizzera è avvenuto a partire dal 31/12/2016. Sebbene abrogata, l'euroritenuta può costituire ancora un problema per il contribuente che abbia perfezionato una procedura di collaborazione volontaria, e ciò per il rischio di vedersi negato il diritto al rimborso e subire dunque una doppia imposizione. Il tema è stato oggetto di diverse interpretazioni da parte dell'Agenzia delle entrate e della giurisprudenza, di seguito esaminate.
Una volta conclusa la procedura di voluntary disclosure, al contribuente sarebbe dovuto (pacificamente) spettare il diritto di ricevere il rimborso dell'euroritenuta versata in Svizzera sui redditi di capitale ivi prodotti e regolarizzati in Italia, in ossequio al divieto di doppia imposizione. Tuttavia secondo l'Amministrazione finanziaria, una tale conclusione era impedita dalla normativa nazionale sul credito d'imposta (art. 165 d.P.R. n. 917/1986, (“TUIR”) che ne subordina il riconoscimento alla presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione dei redditi in Italia. Questa interpretazione poggiava sulla formulazione dell'art. 165, comma 8 (“la detrazione [delle imposte estere, NdA]” non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero nella dichiarazione presentata”). Che questa fosse la regola, era confermato dal fatto che laddove il legislatore aveva voluto riconoscere un credito d'imposta anche nel caso di omessa dichiarazione, vi aveva provveduto espressamente, come nel caso in cui aveva riconosciuto al contribuente – nell'ambito della procedura di voluntary-bis –una detrazione per le imposte pagate all'estero in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi esteri da lavoro dipendente o autonomo (art. 5-octies, lett. a-bis, co. 1 del D.L. 28 giugno 1990, n. 167; Circolare n. 21/E del 20/07/2017).
Nella sentenza oggetto del presente contributo, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha dichiarato l'inapplicabilità al caso di specie dell'art. 165 del TUIR, in quanto il meccanismo di cui all'art. 165 del TUIR riguarda esclusivamente i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, ossia la base imponibile IRPEF, e la cui detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta cui appartiene il reddito prodotto all'estero; la norma non riguarda, invece, i redditi assoggettati a ritenuta a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva, non destinati a concorrere al reddito complessivo del contribuente. (Circolare 9/E del 5 marzo 2015). Pertanto, anche la previsione di cui al comma 8 dello stesso articolo non può essere estesa a quest'ultima tipologia di redditi. Dirimente sembra essere la stessa normativa che disciplina l'euroritenuta (art. 14 Direttiva risparmio e art. 10 D.lgs. n. 84/2005). In tali articoli si riconosce al contribuente la spettanza di un credito d'imposta “determinato ai sensi dell'articolo 165” allo scopo di eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall'applicazione dell'euroritenuta, ed, inoltre, la possibilità di chiedere la compensazione o il rimborso della stessa nel caso in cui “non sia applicabile il citato articolo 165”. La sentenza oggetto del presente commento conferma, in realtà, una conclusione già raggiunta dalla Commissione tributaria provinciale di Varese, nella cui pronuncia era stato inoltre precisato come il perfezionamento della voluntary disclosure non implichi accettazione della definitività dell'euroritenuta subita dal contribuente (Comm. Trib. Prov. di Varese, del 30 maggio 2017, n. 309). Osservazioni
La giurisprudenza in commento giunge a conclusioni significative a livello teorico e pratico. Il divieto di doppia imposizione è un principio prima ancora che giuridico, di civiltà, che trova copertura costituzionale: se è vero che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost.), allora ne consegue l'illegittimità della doppia imposizione, poiché in tal modo il contribuente viene esposto ad un concorso sproporzionato ed eccessivo rispetto alla propria capacità contributiva. Talvolta, purtroppo, i principi sono offuscati dalle tecnicalità delle norme che li attuano, sulla cui interpretazione si concentrano in modo miope gli operatori, finendo per dimenticarne il principio da cui queste norme attuative sono state enucleate.
La sentenza oggetto del presente commento costituisce una significativa affermazione del divieto di doppia imposizione, tramite un percorso argomentativo che il contribuente potrà porre alla base nelle proprie istanze di rimborso ed invocare d'innanzi agli organi giurisdizionali.
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