Responsabilità del comune in caso di immissioni sonore provenienti dalla strada pubblica
06 Marzo 2018
Massima
Il Comune è tenuto a far cessare le immissioni rumorose poste in essere dagli avventori di locali i quali, anche successivamente agli orari di chiusura, si intrattengano in strada e i cui schiamazzi ed il vociare superino la normale tollerabilità. Il Comune è responsabile, secondo il principio del neminem laedere, dei danni cagionati ai residenti nelle costruzioni vicine alla strada per non aver contenuto le intollerabili immissioni. Il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile, indipendente dal danno biologico, quando sia riferibile al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione trattandosi di diritto costituzionalmente garantito, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo). Il caso
La controversia sorge con l'azione, proposta da due soggetti che, con la famiglia, risiedevano nel centro storico di Brescia; nelle ore notturne, specialmente nel fine settimana, a causa della moltitudine di locali e della conseguente “movida”, era divenuto impossibile il riposo notturno per la presenza di migliaia di persone che si intrattenevano, sulla pubblica via, anche oltre la chiusura dei locali, dando luogo a vociare, schiamazzi, se non a risse. Il Tribunale, espletata l'istruttoria, condannava il Comune a fare cessare le turbative ed al risarcimento del danno nella specie, veniva riconosciuto il danno non patrimoniale, nonostante l'assenza di danno biologico, nonché il rimborso sostenuto per gli adeguamenti operati nell'immobile al fine di aumentarne l'insonorizzazione; veniva respinta sia la domanda di risarcimento per deprezzamento dell'immobile, sia la perdita della caparra per non aver potuto cedere l'appartamento. La questione
La pronuncia in esame tocca tre punti: l'inibitoria ex art 844 c.c., il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e il risarcimento del danno non patrimoniale in assenza di danno biologico. In relazione all'inibitoria, il Tribunale ha deciso nel senso della legittimazione passiva del Comune che, quale proprietario della strada, era tenuto ad adottare misure idonee dirette ad evitare che una moltitudine di persone, alcune delle quali in stato di alterazione per assunzione di bevande alcoliche, potesse intrattenersi sulla pubblica via, anche oltre l'ora di chiusura dei locali, ponendo in essere vociare e schiamazzi. Per quanto riguardava la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 2043 c.c., ricorreva responsabilità omissiva in quanto, anche in assenza di violazione di una norma specifica, veniva inottemperato l'obbligo generale di prudenza e diligenza. In relazione alla liquidazione del danno (operata in via equitativa) era riconosciuto il danno non patrimoniale indipendente dal danno biologico in quanto riferibile al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della CEDU. Le soluzioni giuridiche
La questione centrale sulla quale si focalizza il dibattito giuridico concerne la legittimazione passiva del Comune in relazione sia all'inibitoria ex art. 844 c.c., sia al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.; i presupposti sono diversi, dal punto di vista della titolarità nonché dei requisiti soggettivi (necessaria la colpa in base a detta ultima norma) ma, in casi analoghi a quello in esame, i presupposti sono gli stessi. Sulla stessa lunghezza d'onda è stata la decisione della Corte d'Appello di Cagliari, sez. dist. Sassari (sent. n. 336/2014) che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva affermato la responsabilità dell'ente che, avendo permesso l'abbandono, in occasione di una festa patronale, di una struttura poi occupata e utilizzata in maniera rumorosa da terzi, era stato condannato al risarcimento dei danni a favore di coloro che avevano subito le immissioni rumorose provenienti dalla piazza; la decisione suddetta è stata autorevolmente confermata dalle Sezioni Unite della S.C (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2017, n. 2611)anche se è sempre da tenere presente la caratteristica del procedimento di legittimità (a critica vincolata) che, nel caso in specie, ha imposto il mancato esame della questione circa le legittimazione stante la modifica della causa petendi contenuta nella richiesta di cassazione, per cui non si può parlare di conferma in senso stretto, trattandosi di pronuncia di inammissibilità. Di diverso avviso la Corte d'Appello di Roma (sent. 4 aprile 2006) che aveva respinto la domanda del proprietario di un fondo, proposta nei confronti del Comune, per non aver operato un controllo su un'attività industriale che, in maniera abusiva, aveva provocato immissioni industriali in zona agricola. Secondo la Corte di Appello, il Comune non poteva essere ritenuto responsabile non essendo sufficiente il fatto che non si fosse attivato per inibire l'attività in quanto, ferma la difficoltà di controllare l'intero territorio, la società danneggiante aveva ottenuto le dovute autorizzazioni per operare. In questo caso, pertanto, il decidente ha escluso che, al Comune, potesse essere addebitata una colpa per mancata vigilanza. Per quanto concerne il riconoscimento del danno non patrimoniale, in assenza di danno biologico, l'orientamento del Tribunale di Brescia (qui in commento) si trova in linea con la citata pronuncia delle Sezioni Unite (Sezioni Unite della S.C (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2017, n. 2611) che confermano l'indirizzo secondo cui la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione è costituzionalmente garantito, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi. Il suddetto orientamento appare quasi un revirement con quanto deciso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con le sentenze “gemelle” del 2003 (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827; Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828) sull'insussistenza del cd. “danno esistenziale” (bipolarismo); nella specie, la Suprema Corte era stata drastica nel limitare i risarcimenti ai danni alla salute o alla tutela dei diritti garantiti dalla Carta costituzionale (ingiustizia costituzionalmente qualificata) per cui l'offesa, per essere risarcibile, avrebbe dovuto superare una soglia, necessaria in ragione di un limite di tollerabilità dovuta a ragioni di solidarietà sociale; nella specie la S.C. si era espressamente pronunciata sull'inesistenza di un diritto alla “felicità” . Nel caso in specie può apparire improbabile la ricorrenza di una lesione di un diritto costituzionalmente garantito, anche in ragione della temporaneità e reversibilità del danno. Osservazioni
La fattispecie sotto esame si distingue nettamente dai dibattiti originari sulle immissioni che trattavano, principalmente, questioni relative alla misura delle immissioni ma, in ogni caso, sempre in ragione di responsabilità commissiva. È solo negli ultimi anni che si vanno affermando richieste risarcitorie in ordine a responsabilità omissiva nei confronti della Pubblica Amministrazione. Chiaramente, affinché sorga la responsabilità per omissione, deve esistere una norma che imponga una determinata condotta e, in relazione a ciò, la decisione del Tribunale di Brescia (qui in commento) può prestare il fianco a critiche. Il Tribunale richiama, a fondamento della propria decisione altra pronuncia della S.C. (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28460) che riguarda la responsabilità dell'Amministrazione per aver permesso una costruzione, poi crollata, senza avere esperito controlli nonostante problematiche geologiche; secondo la suddetta decisione non è necessaria la violazione di una norma che imponga un obbligo, ma è sufficiente che una condotta violi un principio generale di prudenza e diligenza. Appare chiaro che la generalizzazione del suddetto principio rischierebbe di rendere responsabile l'Amministrazione nel caso di condotte illegittime, se non criminose, poste in essere da un quisque de populo, ma è anche vero che, nella fattispecie in esame, esiste il reato di disturbo alla quiete pubblica ed esiste l'obbligo, per l'Autorità, di prevenire, reprimere e sanzionare le relative condotte; a questo punto, il momento rilevante appare proprio quello dell'elemento soggettivo; se è vero infatti, che l'Amministrazione non può vigilare e controllare ogni singola persona in ogni luogo, è anche vero che in certi casi, l'omissione o l'insufficienza dell'intervento si qualifica quale colpa, soprattutto nelle ipotesi in cui l'evento sia prevedibile e l'intervento possa rivelarsi efficace; la difesa dell'Autorità è quella della scarsità di risorse di polizia locale e, in futuro, potrebbe essere quella di coinvolgere la Prefettura che, nonostante chiamata, non sia intervenuta con propri mezzi. Peraltro, la questione si allarga a considerazioni più ampie e relative a materia di politica del diritto. Negli ultimi anni le questioni relative alla responsabilità della Pubblica Amministrazione hanno subito cambi di rotta; si pensi ai danni da insidie stradali (prima fattispecie non ritenuta risarcibile nei confronti della P.A.). In tempi recenti la magistratura è intervenuta a garantire i diritti dei cittadini da quelle che sono le conseguenze dei tagli alla spesa pubblica (soprattutto per quanto concerne la responsabilità medica) ponendo un limite a quel trend che pare si stia imponendo nell'ammettere una condizione di «sostenibilità finanziaria dei diritti». Questo caso può essere ricondotto alla suddetta necessità; la politica, attraverso i tagli alla spesa pubblica, rende inadeguati i servizi e cagiona danni ai cittadini; la giustizia tutela il cittadino con il risarcimento che diventa, anche, una sorta di danno punitivo diretto a scoraggiare i tagli indiscriminati. |