Validità dell'offerta non formale di restituzione dell'immobile e legittimità del rifiuto del locatore
12 Marzo 2018
Massima
L'offerta non formale di restituzione dell'immobile, ai sensi dell'art. 1220 c.c., in assenza di un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, è idonea a evitare la mora del conduttore circa l'esecuzione della sua prestazione. Il locatore non può rifiutare la riconsegna dell'immobile locato, subordinandola all'accertamento in contraddittorio dei danni asseritamente causati nel corso del rapporto. Il caso
Il conduttore di un immobile ad uso non abitativo proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dal locatore, tra l'altro, per il pagamento di canoni di locazione deducendo come non dovuto il corrispettivo, quanto meno a decorrere dal momento in cui aveva formulato al locatore concreta e documentale offerta di restituzione delle chiavi dell'immobile, libero e vuoto. L'offerta era stata rifiutata indebitamente - così ha ritenuto il giudice dell'opposizione accogliendola in parte qua - giacché il locatore, sebbene si fosse già tenuto tra le parti un incontro in loco per visionare lo stato del locale, subordinava la riconsegna definitiva alla effettuazione di un accertamento dei danni da eseguire alla presenza dei tecnici di fiducia delle parti ovvero al riconoscimento da parte del conduttore della propria responsabilità in ordine a una serie di danni asseritamente presenti all'interno dell'immobile. La questione
La pronuncia in commento affronta due questioni assai ricorrenti nella pratica: 1) l'individuazione delle condizioni in presenza delle quali l'offerta di restituzione dell'immobile locato possa ritenersi valida e, quindi, liberatoria; 2) la valutazione della legittimità del rifiuto del locatore a ricevere la restituzione della res locata, a prescindere dalla ritualità, o meno, dell'offerta di controparte. Entrambe le problematiche predette presuppongono l'esame dell'art. 1590 c.c. a mente del quale il conduttore deve restituire la cosa al locatore in integrum, nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto. In mancanza di descrizione si presume che il conduttore l'abbia ricevuta in buono stato di manutenzione, non rispondendo il conduttore del perimento o deterioramento dovuti a vetustà. Allorché, infatti, il conduttore restituisca, o offra di restituire, il bene in stato di profondo degrado, incombe sul conduttore l'obbligo di risarcire i danni, consistenti nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, oltre al versamento del canone per il periodo necessario all'esecuzione e completamento di tali lavori (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12977; Cass. civ., sez. VI, 10 dicembre 2013, n. 27614), senza peraltro che il locatore sia tenuto a provare, a tale riguardo, di avere ricevuto da parte di terzi richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori da eseguire (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2010, n. 13222). L'art. 1590 c.c. va letto, infatti, unitamente al successivo art. 1591 c.c. secondo cui il conduttore in mora nella restituzione della cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno. Il problema che sorge, allora - e se ne occupa anche il Tribunale di Avellino nella decisione in commento - è la individuazione della mora del debitore che sorge sia perché l'offerta di restituzione non sia stata correttamente ed esaurientemente effettuata sia perché il locatore, comunque, la rifiuti adducendo, eventualmente, l'esistenza di danni nell'immobile. Frequentemente, infatti, si assiste al rifiuto del locatore di accettare la restituzione dell'immobile - una volta che la locazione sia cessata - adducendo l'esistenza di danni e la necessità del loro accertamento in contraddittorio Le soluzioni giuridiche
Quanto alla riconsegna dell'immobile, secondo un datato e più rigoroso indirizzo giurisprudenziale il conduttore, per sottrarsi agli obblighi conseguenti alla situazione di mora debendi, doveva effettuare la riconsegna dell'immobile al locatore, o fargliene offerta formale ai sensi dell'art. 1216 c.c. (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2086; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1941). L'offerta non formale dell'immobile locato, ex art. 1220 c.c., valeva, invece, a preservare il conduttore solo dalla responsabilità per il ritardo, e, quindi, ad escludere la sussistenza in capo allo stesso dell'obbligo di corrispondere al locatore, a titolo risarcitorio, il «maggior danno», ossia un compenso superiore al canone stabilito nel contratto ormai cessato, ma non valeva ad escludere il pagamento del canone. Né aveva alcun rilievo in contrario la circostanza che il conduttore eventualmente avesse smesso di usare l'immobile secondo la destinazione convenuta, potendo il conduttore sottrarsi al pagamento solo attraverso la riconsegna dell'immobile o l'offerta ai sensi dell'art. 1216 c.c., con il risultato di costituire la controparte in mora accipiendi e liberarsi definitivamente della sua obbligazione. Il Tribunale di Avellino, mantenendosi fedele agli orientamenti più recenti della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8672) ribadisce, invece, il principio in base al quale la struttura lessicale dell'art. 1591 c.c. consente al conduttore di evitare di essere costituito in mora anche a mezzo di una offerta «non formale». Pertanto, mentre l'adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., costituita dall'intimazione al creditore di ricevere la consegna nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenterà l'unico mezzo per la costituzione in mora del creditore e per provocarne i relativi effetti (art. 1207 c.c.), l'adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.), purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, sarà, tuttavia, idonea a evitare la mora del conduttore nell'obbligo di adempiere la prestazione, anche ai fini dell'art. 1591 c.c. (tra i precedenti conformi, v. Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2007, n. 18496; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 21004; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2013, n. 15433). L'importante conseguenza di tale affermazione di principio è costituita dall'esclusione della responsabilità del debitore stesso non solo per il risarcimento dei danni, ma anche dall'obbligo di corresponsione dell'indennità di occupazione. Nella prassi, è quanto mai frequente che il conduttore non si avvalga della procedura formale e piuttosto si limiti a contattare il locatore per concordare tempo e luogo della riconsegna delle chiavi. Per costante orientamento giurisprudenziale - confermato dalla pronuncia in oggetto - l'offerta non formale per avere il valore liberatorio sopra enunciato deve presentare i caratteri della serietà esattezza e tempestività. La valutazione della sussistenza dei quali è rimessa al giudice di merito. L'offerta deve mettere il creditore nell'effettiva condizione di ricevere la prestazione e realizzare il suo diritto; deve presentare un contenuto esattamente corrispondente a quello della prestazione dovuta; deve avvenire quando il debitore possa ancora concretamente e giuridicamente adempiere l'obbligazione. La mancanza anche di uno solo di tali requisiti rende legittimo un eventuale rifiuto da parte del creditore di ricevere l'offerta stessa e comporta dunque la mancata realizzazione dell'effetto impeditivo della mora del debitore. Tali requisiti risultano integrati quando sia offerta la restituzione delle chiavi, avvenuta - come nel caso esaminato nella pronuncia in commento - nel corso di un sopralluogo, congiuntamente a un assegno relativo ai canoni rimasti impagati (v., in proposito, Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2013, n. 15433 che ha considerato valida l'offerta di restituzione dell'immobile contenuta nella raccomandata di recesso del conduttore). Ovviamente anche la restituzione delle chiavi potrebbe non essere sufficiente ove non consenta in concreto al locatore di rientrare nella effettiva e immediata disponibilità del bene il quale, pertanto, dovrà risultare non solo libero e vuoto ma anche nelle medesime condizioni in cui era stato originariamente consegnato, salvo l'uso ordinario, conformemente a quanto prevede l'art. 1590 c.c. Sebbene, infatti, l'art.1591 c.c. si riferisca letteralmente alla «mora a restituire la cosa», quindi all'inadempimento dell'obbligazione di «riconsegna», essa è volta a sanzionare anche l'inesatto adempimento, da parte del conduttore, all'obbligazione di restituzione, prevista dall'art. 1590 c.c. che si considera inadempiuta allorché il locatore non riacquisti la completa disponibilità del bene, in modo da poterne fare uso secondo la sua destinazione. Ne consegue che, anche ove il locatore torni in possesso dell'immobile (anche coattivamente ai sensi dell'art. 608 c.p.c. o spontaneamente, mediante consegna delle chiavi da parte del conduttore), ma questo risulti inutilizzabile, la norma di riferimento continua ad essere quella dell'art. 1591 c.c. (Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2017, n. 15146) con le conseguenze ivi disciplinate. Infatti, l'adempimento potrà impedire la mora del conduttore e gli effetti di cui all'art. 1591 cit. solo se “esatto” e, quindi, consistente nel rilascio dell'immobile libero e sgombero da beni che non debbano essere consegnati al locatore, in modo che questi ne possa rientrare nella piena ed effettiva disponibilità. In questo contesto, si comprendono altresì le oscillazioni delle decisioni che hanno, più specificamente, preso in considerazione la condotta del conduttore, il quale, al fine di adempiere al proprio obbligo restitutorio del bene, si limiti a riconsegnare (solo) simbolicamente al locatore le chiavi dell'immobile. Grava, peraltro, sul conduttore, quale debitore della prestazione, la prova positiva di tale attività che integra un fatto estintivo del diritto di credito del locatore (Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2004, n. 7776). Né può omettersi di precisare che l'accettazione delle chiavi senza riserva da parte del locatore non significa affatto implicita rinuncia da parte dello stesso agli eventuali danni: ciò perché, se pure il locatore omette di constatare, all'atto della riconsegna dell'immobile, l'esistenza di danni causati dal conduttore, egli conserva certamente il diritto di chiederne il risarcimento finché la relativa azione non sia estinta per prescrizione o per rinuncia. In questo contesto, si inserisce la ulteriore questione esaminata dalla pronuncia in commento: la valutazione della legittimità del rifiuto del locatore di ricevere l'immobile sull'assunto che esso sia “danneggiato”. Sul punto la giurisprudenza ha ritenuto di distinguere a seconda della gravità dei danni provocati nel corso della locazione sul presupposto che ai sensi dell' art. 1227, comma 2, c.c., il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio e con la propria condotta il pregiudizio subito, ma non ha l'obbligo di esplicare una straordinaria e gravosa attività, cioè un facere non corrispondente all'id quod plerumque accidit esorbitando tale attività dai limiti dell'ordinaria diligenza. Di conseguenza, il rifiuto del locatore viene considerato ingiustificato sulla base del dovere di buona fede ex art. 1375 c.c. quando l'accettazione non comporterebbe per il locatore alcun sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 21004; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2013, n. 15433; Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2013, n. 15876; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12977). Infatti, l'art. 1590 c.c. va coordinato con l'art. 1227, comma 2, c. c., secondo cui il creditore - in virtù della regola dell'ordinaria diligenza - ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subìto. Pertanto, il locatore, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento del conduttore all'obbligo di compiere le riparazioni di piccola manutenzione ai sensi dell'art. 1576 c.c. non potrà rifiutare la consegna ma soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all'immobile comprendente le spese necessarie per la rimessione in pristino e per la mancata percezione del reddito nel tempo occorrente ai lavori. Sicché sarebbe illegittimo il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione dell'immobile; mentre potrà rifiutare la consegna della res locata nell'ipotesi in cui il conduttore non abbia adempiuto all'obbligo contrattuale di prevedere alle riparazioni eccedenti l'ordinaria manutenzione o abbia di sua iniziativa, apportato trasformazioni o innovazioni (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 7992; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12977; Trib. Roma 12 aprile 2017, n. 7523). Coerentemente con tale enunciato, appare condivisibile la sentenza in commento che ha ritenuto ingiustificato il comportamento del locatore che aveva rifiutato la riconsegna dell'immobile locato, subordinandola all'accertamento in contraddittorio dei danni asseritamente causati nel corso della locazione. Il locatore, infatti, come si legge nella parte motiva «ben avrebbe potuto e dovuto, nell'ottica della conformità a correttezza e buona fede del suo comportamento, accettare la riconsegna dell'immobile con riserva di chiedere il risarcimento dei danni cagionati dal conduttore. Il locatore avrebbe potuto agevolmente avvalersi al fine di cristallizzare la situazione esistente a quell'epoca allo strumento processuale dell'a.t.p. salvaguardando così appieno la propria posizione». In proposito, del resto, la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che deve ritenersi adempiuta l'obbligazione di restituzione «mediante la restituzione delle chiavi oppure con l'incondizionata messa a disposizione dell'immobile, senza che sia necessaria la redazione di un relativo verbale» (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5841; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 550). Osservazioni
La sentenza in esame va segnalata perché offre la chiave di interpretazione per risolvere quel “tira e molla” cui troppo spesso assistiamo nelle aule di giustizia. Da un lato, il conduttore che si vuole “liberare” della res per non essere costretto a corrispondere ulteriormente il canone relativo ad un immobile “di fatto” rilasciato e verso il quale ha perso interesse, per essere la locazione cessata o il contratto risolto; dall'altro lato, il proprietario che pretende la redazione di un formale verbale di restituzione, possibilmente in contraddittorio e - perché no? - con l'elencazione e descrizione dei danni asseritamente causati. Soccorre - come spesso nel nostro ordinamento - il dovere di “buona fede” nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) che opera come criterio di reciprocità, imponendo a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico delle parti contrattuali, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge. In tema di contratti, in altri termini, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione e alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, - sicché la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.) quanto sul piano del complessivo La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno o obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. |