Inesistenza dell’avviso di accertamento notificato in forma cartacea e firmato digitalmente

13 Marzo 2018

In caso di notifica di un avviso di accertamento cartaceo firmato digitalmente, la sottoscrizione deve essere considerata inesistente, con la conseguenza che non può ritenersi che alcuna volontà dell'ente si sia formata.
Massima

In caso di notifica di un avviso di accertamento cartaceo firmato digitalmente, la sottoscrizione deve essere considerata inesistente, con la conseguenza che non può ritenersi che alcuna volontà dell'ente si sia formata.

Il caso

Il contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, deducendo, per quanto qui di interesse, l'omessa sottoscrizione dell'avviso di accertamento, con violazione dell'art. 42 del d.p.R. n. 600/1973, in quanto l'avviso di accertamento era stato firmato digitalmente, ma notificato in cartaceo.

Il ricorrente evidenziava che l'avviso era stato notificato tramite raccomandata e che l'atto recava stampigliata una firma con la dicitura “firmato digitalmente”, senza però recare alcuna sottoscrizione in originale, laddove, tuttavia, la possibilità di sostituire la firma autografa con l'indicazione del nominativo “a stampa” è prevista e consentita solo qualora gli atti siano prodotti da sistemi informativi automatizzati e derivino da attività di carattere seriale, effettuate con modalità di lavorazione accentrata.

Nel caso di specie si trattava invece di un atto cartaceo, la cui notifica era stata effettuata in via ordinaria, dovendo pertanto necessariamente recare una firma autografa, come appunto previsto dall'art. 42 citato.

Solo infatti nell'ipotesi in cui la notifica fosse avvenuta via PEC la firma avrebbe potuto essere digitale, consentendo la verifica della correttezza della sottoscrizione da parte del ricevente.

Verifica non possibile nel caso in esame, mancando le chiavi crittografiche che avrebbero consentito il controllo.

La questione

L'atto in questione, secondo il ricorrente (e come poi confermato dai giudici di merito) non risultava dunque in realtà sottoscritto, dato che era firmato digitalmente, senza però che sussistessero i requisiti previsti dalla norma per effettuare la firma digitale, che doveva pertanto considerarsi tamquam non esset.

E la mancanza di sottoscrizione comportava la carenza di volontà certificativa del soggetto che aveva emanato l'atto.

In assenza di sottoscrizione del provvedimento non era del resto nemmeno possibile invocare il principio del raggiungimento dello scopo, in quanto, se l'atto, come poi affermato nella sentenza in commento, è emanazione di una P.A., che, in quanto persona giuridica, fa propria la volontà della persona fisica che si immedesima nell'organo, la sottoscrizione della persona fisica costituisce “la cerniera” tra la volontà della persona fisica e la persona giuridica cui tale volontà viene imputata.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la CTP di Treviso, quindi, in caso di notifica del cartaceo firmato digitalmente la sottoscrizione deve essere considerata inesistente, con la conseguenza che non può ritenersi né che alcuna volontà dell'ente si sia formata, né che la stessa possa essere all'ente imputata.

Mancando la sottoscrizione manca infatti anche “la volontà certificativa, che costituisce un elemento essenziale dell'atto e del provvedimento amministrativo”.

Osservazioni

Probabilmente, se il giudice avesse preso in considerazione l'art. 23 del CAD le conclusioni potevano essere più ponderate, laddove la disposizione citata, al comma 1, stabilisce che le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato e al comma 2, che le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta (fermo restando, ove previsto, l'obbligo di conservazione dell'originale informatico).

Il comma 2-bis dispone del resto anche che sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le regole tecniche di cui all'art. 71, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30560 del 20 dicembre 2017, ha affrontato un contenzioso in tema di sottoscrizione di avvisi di accertamento, che, seppur sotto un profilo parzialmente diverso da quello di cui alla sentenza in commento, può essere di ausilio per meglio inquadrare la questione in oggetto.

Nel caso di specie il motivo di censura poneva una questione di interpretazione della norma sotto il profilo se il timbro del titolare dell'Ufficio, apposto sull'avviso di accertamento, equivalesse al requisito della sottoscrizione, richiesto dalla norma stessa.

La censura, secondo la Corte, era infondata, dato che “… l'autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, quanto meno quando i dati esplicitati nello stesso contesto documentativo dell'atto consentano di accertare la sicura attribuibilítà dello stesso a chi deve esserne l'autore secondo le norme positive, come è confermato dal D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, art. 3, il quale, prevedendo, nel caso di emanazione di atti amministrativi attraverso sistemi informatici e telematici, che la firma autografa sia sostituita dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile, ribadisce sul piano positivo l'inessenzialità ontologica della sottoscrizione autografa ai fini della validità degli atti amministrativi”.

Il fatto anzi che, nel caso della sentenza in commento, la firma, seppure digitale, comunque ci fosse, dovrebbe semmai rafforzare la tesi espressa dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra citata.

Il documento informatico sottoscritto con firma qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche che garantiscano l'identificabilità dell'autore, l'integrità e l'immodificabilità del documento, ha del resto l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c..

Anche se stiamo parlando di una fase amministrativa, preprocessuale, un parallelo con il processo tributario telematico può inoltre essere interessante.

E a tal proposito, a parti inverse e con riferimento alla disciplina ante processo tributario telematico (vigente, si ricorda, in Veneto, dal 15 dicembre 2016), la Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 18321 del 25 luglio 2017, ha chiarito che «In tema di contenzioso tributario, la notifica della sentenza effettuata a mezzo PEC dal difensore del contribuente, munito dell'autorizzazione del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, all'Amministrazione finanziaria, in data 5 dicembre 2014, è inesistente e insuscettibile di sanatoria, per cui non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, atteso che, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992, che richiama il D.M. 23 dicembre 2013, n. 163, le notifiche tramite PEC degli atti del processo tributario sono previste in via sperimentale solo a decorrere dal 1° dicembre 2015 ed esclusivamente dinanzi alle commissioni tributarie della Toscana e dell'Umbria, come precisato dall'art. 16 del D.M. 4 agosto 2015» (Sez. VI-T, Ordinanza n. 17941 del 12 settembre 2016).

Facendo infine un parallelo anche con il Processo Amministrativo telematico, si evidenzia che il Consiglio di Stato, sezione terza, con la decisione n. 4286 dell'11 settembre 2017, facendo propria la pronuncia del 4 aprile 2017, n. 1541, emessa dalla sezione quarta, ha confermato che “…anche dopo l'entrata in vigore del processo amministrativo telematico (1° gennaio 2017), il ricorso redatto in formato cartaceo, privo della firma digitale, senza l'attestazione di conformità ad un originale digitale è viziato da mera irregolarità sanabile, applicandosi l'art. 44, comma 2, c.p.a., secondo cui il giudice deve fissare un termine perentorio entro il quale la parte onerata deve provvedere alla regolarizzazione dell'atto nelle forme di legge, con la comminatoria della declaratoria di irricevibilità del ricorso in caso mancata osservanza del termine...”.

Visto che, nell'ottica della provocatio ad opponendum e del ruolo di parte attrice sostanziale dell'Agenzia, l'avviso di accertamento è considerato in realtà il primo atto del processo, e considerato, peraltro, che, nel caso di specie, la firma digitale era anche presente, quest'ultima potrebbe essere in effetti la soluzione ottimale alla questione, risolta, invece, in senso opposto, dalla CTP di Treviso.

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