La sottile differenza tra modificazioni e innovazioni: è consentito trasformare il tetto in terrazza?
14 Marzo 2018
Massima
Il consenso all'alterazione della struttura del tetto di un edificio condominiale, mediante la creazione di una terrazza “a tasca”, a servizio di un appartamento di proprietà esclusiva, deve essere espresso con un atto avente la forma scritta ad substantiam, trattandosi di consenso alla realizzazione di un'innovazione sulla cosa comune. Il caso
Tizio e Caia convengono in giudizio Mevio, Sempronio e Filano, al fine di ottenerne la condanna all'eliminazione della terrazza "a tasca" e della copertura "pompeiana" realizzata da questi ultimi sul tetto comune dell'edificio condominiale, mediante la rimozione parziale di quest'ultimo. Rigettata in primo grado, la domanda viene accolta dalla Corte d'Appello, sulla scorta di una serie di rilievi: a) per la rimozione parziale del tetto e la realizzazione della terrazza a tasca occorre il consenso scritto di tutti i condomini, non potendosi discorrere di uso più intenso della cosa comune, ex art. 1102 c.c. «stante l'avvenuta appropriazione in via esclusiva di una parte del bene comune, definitivamente sottratta ad ogni possibile futuro godimento o utilizzazione da parte degli altri»; b) la rimozione della parte di tetto a falde in questione non è necessaria neppure per la realizzazione dell'erigendo ascensore, né il summenzionato consenso può ritenersi espresso attraverso la variante progettuale intestata anche alla società Alfa, di cui Tizio e Caia sono soci, trattandosi di atto non sottoscritto da costoro; c) anche a voler seguire l'orientamento giurisprudenziale che consente, in determinati casi, la trasformazione del tetto in terrazza, non risultano compiute opere adeguate a salvaguardare la primaria funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture. Avverso quest'ultima sentenza Mevio, Sempronio e Filano propongono ricorso, affidato a quattro motivi, il secondo e il terzo dei quali insistono sulla superfluità del consenso degli altri condomini alla realizzazione dell'opera in questione. La questione
La questione in esame è la seguente: entro che limiti è necessario il consenso degli altri condomini alla realizzazione di interventi sulla cosa comune?
Le soluzioni giuridiche
La possibilità, per il condomino, di agire sulle parti comuni, apportandovi “modificazioni” - in senso lato intese - trova il proprio fondamento principalmente in tre disposizioni del codice civile e, precisamente, negli artt. 1102, 1120 e 1117-ter c.c. Tralasciando (siccome estranee al thema decidendum della decisione in rassegna) le questioni problematiche afferenti lo spazio di operatività dell'ultima delle menzionate disposizioni - volta, come noto, a regolamentare la modifica della destinazione d'uso delle parti comuni - le altre due norme hanno tradizionalmente interessato, rispettivamente, i due istituti delle “modificazioni” (in senso stretto), la prima, e delle “innovazioni”, la seconda. In particolare, le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una delibera dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 4 settembre 2017, n. 20712). Questo, dunque, il punto di partenza da cui muovere per comprendere la soluzione adottata, nella specie, dalla Corte. In particolare, rappresenta ius receptum il principio per cui le semplici “modificazioni” alle cose comuni richiedono, per la loro legittimità, il rispetto di due condizioni e, cioè, che
Nell'evoluzione giurisprudenziale, peraltro, tali limiti sono stati intesi in termini sempre più elastici, essendo stato recentemente chiarito che la nozione di «pari uso della cosa comune» cui fa riferimento l'art. 1102 c.c. «non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri». Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (così Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8808). Osservazioni
Muovendo da questi principi, che contengono pertinenti richiami al principio solidaristico, si impone una rilettura delle applicazioni dell'istituto di cui all'art. 1102 c.c., che sia quanto più favorevole possibile allo sviluppo delle esigenze abitative. Questo sviluppo si ripercuote favorevolmente sulla valorizzazione della proprietà del singolo, ma mira soprattutto a moderare le istanze egoistiche che sono sovente alla base degli ostacoli frapposti a modifiche delle parti comuni come quella in esame. In una visione del regime condominiale tesa a depotenziare i poteri preclusivi dei singoli e a favorire la correntezza dei rapporti - si pensi a Cass. civ., sez. un., n. 4806/2005 in tema di delibere nulle o annullabili - non è coerente, nè credibile, intendere la clausola del «pari uso della cosa comune» come veicolo per giustificare impedimenti all'estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo. Qualora non siano specificamente individuabili i sacrifici in concreto imposti al condomino che si oppone, non si può proibire la modifica che costituisca uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione. Non lo si può chiedere in funzione di un'astratta o velleitaria possibilità di alternativo uso della cosa comune o di un suo ipotetico depotenziamento (v. Cass. civ., sez. II, n. 4617/2007), ma solo ove sia in concreto ravvisabile che l'uso privato «toglierebbe reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti» (così, in motivazione, Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14107). Discende da quanto precede, dunque, che la destinazione della cosa - di cui è vietata l'alterazione sub specie di modificazione ex art. 1102 c.c. - va intesa in una prospettiva dinamica del bene considerato, salvaguardandone la funzione complessiva e non la mera consistenza materiale. Tanto premesso ed osservato che - nel caso di specie - nell'ambito delle opere di trasformazione parziale del tetto a falde in terrazza a livello, la Corte territoriale aveva rilevato la mancata realizzazione, da parte di Mevio, Sempronio e Filano, di opere adeguate per garantire l'isolamento termico dell'edificio, la S.C. non ha potuto che constatare come le opere realizzate avessero pregiudicato la funzione primaria di copertura e protezione svolta dal'originario tetto e, dunque, escludere l'operatività dell'art. 1102 c.c., riconducendo piuttosto la fattispecie concreta sottoposta al proprio vaglio alla disciplina delle innovazioni e, in specie, quelle “vietate”, ex art. 1120, ultimo comma, c.c., per la cui realizzazione occorre il consenso (unanime e) scritto dei condomini (v. anche Cass. civ., sez. II, 4 luglio 1981, n. 4364). La nuova “interpretazione” dell'art. 1102 c.c. ha trovato successiva conferma nella giurisprudenza di legittimità, grazie a Cass. civ., sez. VI, 4 febbraio 2013, n. 2500, a proposito della trasformazione parziale, ad opera del proprietario dell'ultimo piano di un edificio, di un tetto in terrazza di proprio uso esclusivo (purché risulti salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione svolta dal tetto e che gli altri potenziali condomini-utenti non siano privati di reali possibilità di farne uso), e a Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2017, n. 6253, che ha riconosciuto il diritto del condomino che abbia in uso esclusivo il lastrico di copertura dell'edificio e che sia proprietario dell'appartamento sottostante ad esso di collegare l'uno e l'altro mediante il taglio delle travi e la realizzazione di un'apertura nel solaio, con sovrastante bussola, non potendosi ritenere, salvo inibire qualsiasi intervento sulla cosa comune, che l'esecuzione di tali opere, necessarie alla realizzazione del collegamento, di per sé violi detti limiti e dovendosi, invece, verificare se da esse derivi un'alterazione della cosa comune che ne impedisca l'uso (come, ad esempio, una diminuzione della funzione di copertura o della sicurezza statica del solaio).
Scripelletti, Condomino e parti comuni dell'edificio - La lenta evoluzione dei principi in tema di uso individuale delle parti comuni dell'edificio, in Giur. it., 2016, 1323; De Tilla, La trasformazione di un tetto in terrazza esclusiva, in Arch. loc. e cond., 2013, 622; Salciarini, Il cielo in una stanza: possibile realizzare una terrazza sul tetto, in Immob. & proprietà, 2012, 632; De Tilla, La sopraelevazione non va confusa con la trasformazione del tetto, in Immob. & diritto, 2009, fasc. 2, 26; De Tilla, Sopraelevazione: non si può sostituire il tetto con una terrazza, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 6, 28; Lenzi, Costruzione di una terrazza privata in luogo del tetto in edificio condominiale: legittimo esercizio del diritto di sopraelevazione?, in Arch. loc. e cond., 1990, 795; Samperi, Trasformazione del tetto in terrazza: sopraelevazione o innovazione?, in Giust. civ., 1986, I, 2248. |