Imposta unica sulle scommesse: le ricevitorie non scontano il prelievo ma solo per le annualità precedenti al 2011

Gabriella Antonaci
23 Marzo 2018

La CTP di Rieti, con quattro ordinanze di identico tenore del 17 dicembre 2015, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 del D.Lgs. n. 504/98, e 1, comma 66, lettera b), della Legge di Stabilità 2011, nella parte in cui prevedono che soggetti passivi dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse siano anche le ricevitorie operanti come centri di trasmissione dati (Ctd) per conto di bookmakers privi di concessione, ma che possano lecitamente raccogliere scommesse sul territorio nazionale.
Massima

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 3 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse) e 1, comma 66 lett. b) L. 13 dicembre 2010, n. 220 (Legge di Stabilità 2011) nella parte in cui prevedono che – nelle annualità di imposta precedenti al 2011 – siano assoggettate all'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione.

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 D.Lgs. n. 504/1998 e dell'art. 1, comma 66, lett. b) L. n. 220/2010 nella parte in cui prevedono che – nelle annualità d'imposta successive al 2011 – siano assoggettate all'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla CTP di Rieti.

Il caso

La Commissione tributaria provinciale di Rieti, con quattro ordinanze di identico tenore del 17 dicembre 2015, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 del D.Lgs. n. 504/98, e 1, comma 66, lettera b), della Legge di Stabilità 2011, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, prevedono che soggetti passivi dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse siano anche le ricevitorie operanti come centri di trasmissione dati (Ctd) per conto di bookmakers privi di concessione, ma che possano lecitamente raccogliere scommesse sul territorio nazionale.

Ad avviso del giudice rimettente, considerare tra i soggetti passivi dell'imposta unica anche i Ctd violerebbe il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. e il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.

La violazione del principio di capacità contributiva sarebbe evidente atteso che il reale titolare è lo scommettitore privato.

L'unico modo per non violare tale principio sarebbe dare la possibilità ai Ctd di traslare sui giocatori l'onere dell'imposta.

Tuttavia, la ricevitoria non può effettuare tale traslazione, nè rivalersi sul giocatore o effettuare la ritenuta sulle puntate ricevute o sulle vincite versate, per espresso divieto in tal senso stabilito dal decreto MEF 1 ° marzo 2006, n. 11. Inoltre, ai Ctd sarebbe inibita anche una traslazione indiretta, poiché il contratto stipulato con i bookmakers esteri prevede espressamente che le quote di scommessa o le percentuali di vincita siano stabilite direttamente dai primi, sicchè, in definitiva, i Ctd restano esclusi dal rapporto di imposta che si crea tra i bookmakers e i singoli scommettitori.

L'impossibilità di operare la traslazione, anche in via indiretta, avrebbe in definitiva come effetto quello di tassare un soggetto differente dal giocatore, unico titolare della capacità contributiva.

La violazione del principio di uguaglianza, invece, sarebbe evidente, attesa la diversità dell'attività svolta dal bookmaker rispetto alla ricevitoria, nonché le differenti utilità ritraibili da entrambi i soggetti. Infatti, mentre il gestore reale della scommessa sarebbe il bookmaker, che sceglie gli eventi su cui scommettere, fissa le quote, stipula in nome proprio con gli scommettitori il contratto di scommessa, la ricevitoria si limiterebbe a fornire un mero supporto logistico esterno, mettendo a disposizione i locali e i terminali per la trasmissione dei dati al bookmaker, rimanendo pertanto, terza ed estranea al rapporto di scommessa.

Anche le utilità di ambo i soggetti sarebbero differenti, in quanto il ricavo del bookmaker è costituito dal valore delle scommesse stipulate, mentre quello della ricevitoria dalla provvigione riconosciutagli contrattualmente dal primo.

Inoltre, la violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe evidente anche per difetto di proporzionalità e di ragionevolezza. Infatti, l'intervento legislativo del 2010 (che equiparava la tassazione dei bookmakers nazionali muniti di concessione a quella dei bookmakers esteri che ne erano privi) era dettata dalla necessità di recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di evasione e di elusione. Obiettivo, tuttavia, che le disposizioni censurate non avrebbero raggiunto in concreto.

Infine, ad avviso del giudice remittente, l'irragionevolezza dell'art. 1, comma 66, lett. b), L. n. 220/2010, sarebbe aggravata dalla previsione della sua retroattività rispetto a situazioni antecedenti la sua entrata in vigore, derivante dalla sua natura di dichiarata norma interpretativa. Infatti, la pretesa di qualificare retroattivamente come soggetti passivi dell'imposta unica anche i titolari delle ricevitorie violerebbe il principio del legittimo affidamento che tali soggetti avevano riposto sul contesto normativo precedente all'entrata in vigore della L. n. 220/2010, in base al quale soggetti passivi di imposta erano unicamente i concessionari.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, tali questioni sarebbero inammissibili o infondate. Rileva l'Avvocatura che l'intervento del legislatore del 2010 era dettato dalla necessità di contrastare il gioco di azzardo, di tutelare i giocatori, in special modo minorenni, e l'ordine pubblico dinanzi a fenomeni di evasione e di elusione. Pertanto, la scelta normativa di tassare anche i Ctd, quali ultimo anello di una filiera che traeva origine dall'attività svolta dai bookmakers esteri, operanti in Italia proprio tramite i Ctd, sarebbe stata giustificata dal legame tra i due soggetti nonché funzionale al raggiungimento delle sopra citate finalità. Interpretando la norma in tale contesto, in definitiva, non vi sarebbe alcuna irragionevolezza.

Con riferimento alla presunta violazione del principio di uguaglianza, non vi sarebbero differenze tra i Ctd e i bookmakers esteri, in quanti i primi sarebbero l'anello finale della filiera di raccolta delle scommesse. Infatti la ricevitoria non sarebbe estranea al rapporto di scommessa proprio perché mette a disposizione i locali e le apparecchiature, trattiene parte delle somme raccolte ed esercita un controllo sul volume delle scommesse raccolte.

Scongiurato, infine, ad avviso dell'Avvocatura di Stato, una paventata violazione del principio di capacità contributiva, atteso che il tributo in questione si qualifica come imposta indiretta, che non colpisce il reddito o il patrimonio dell'operatore (né del bookmaker né della ricevitoria), bensì la manifestazione mediata di ricchezza.

La questione

La questione giuridica sottesa al caso di specie attiene l'esatta individuazione dei soggetti passivi dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse.

Le soluzioni giuridiche

La normativa di riferimento è rappresentata dal D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 il cui art. 3 individua tra i soggetti passivi dell'imposta unica “coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”.

Tale norma è stata oggetto di interpretazione autentica da parte dell'art. 1, comma 66 lett. b) della L. n. 220/2010, la quale aveva chiarito che “soggetto passivo di imposta è chiunque, ancorchè in assenza della concessione rilasciata dal Ministero dell'economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici e scommesse di qualsiasi genere. Se l'attività è esercitata per conto terzi, il soggetto per conto del quale l'attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta e delle relative sanzioni”.

In definitiva, mentre prima dell'intervento operato dalla Legge di Stabilità 2011 erano tenuti al pagamento del tributo solo i soggetti abilitati, adesso sarebbero assoggettati al tributo anche gli operatori non abilitati e i Ctd, meri intermediari.

Ne sono derivati una serie di accertamenti “a pioggia” nei confronti dei titolari dei centri scommesse italiani, ai quali è stato richiesto il pagamento dell'imposta unica in via solidale con il bookmaker estero.

Il punto focale della questione, e sui cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, è se sia corretto o meno l'inserimento dei Ctd nell'ambito dei soggetti passivi di imposta e, dunque, comprendere se il mero intermediario possa qualificarsi “gestore della scommessa”.

La giurisprudenza di merito sulla tassazione dei Ctd

La questione, prima di essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, è stata esaminata dalla giurisprudenza che, se in un primo momento sembrava nettamente orientata a considerare i Ctd quali soggetti passivi di imposta, privilegiando un'interpretazione puramente letterale della normativa, successivamente si è mostrata più sensibile nei confronti dell'argomento e, ponendosi in termini critici e in un'ottica costituzionalmente orientata, in più occasioni ha escluso la soggettività passiva dei Centri trasmissione dati.

In realtà, la Cassazione era già intervenuta sull'argomento ancor prima della novella dettata dalla Legge di Stabilità 2011, chiarendo che esercita attività di gestione del gioco “anche chi, pur non gestendo in prima persona a livello imprenditoriale l'attività, collabori tuttavia ad essa, fornendo servizi di vario genere, ad esempio rappresentando i bookmakers stranieri, o anche solo fornendo informazioni sulle quote, sui moduli necessari per trasmettere le scommesse all'estero” (Cass. civ., 15 febbraio 2004, n. 5914).

Della questione tuttavia si è occupata principalmente la giurisprudenza di merito, che si è pronunciata in termini contrastanti.

In un primo momento, infatti, le Commissioni hanno ritenuto legittima l'imposizione in capo al soggetto intermediario residente in Italia (cfr. CTP Cagliari, 19 luglio 2013; CTP Bergamo, 24 settembre 2013, n. 166; CTP Como, 29 maggio 2013; CTP Brescia, 20 settembre 2013, n. 75; CTP Sondrio, 31 marzo 2015), vigendo una sostanziale equiparazione tra i soggetti, abilitati e non, che pongono in essere l'attività di raccolta (CTR Milano, 09 luglioi 2015; CTR Napoli, 15 settembre 2016).

ex multis, pro fisco

CTR Napoli, 15 settembre 2016, n. 7966

In ordine alla assoggettabilità dei centri trasmissione dati a tale normativa, il dato letterale appare inequivocabile nel senso di assoggettare a responsabilità colui il quale gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o per conto di terzo, anche ubicato all'estero, concorsi pronostici o scommesse di qualunque genere; è proprio il riferimento alla gestione per conto terzi ad apparire specificatamente descrittivo dell'attività dei Ctd in ragione delle loro essenziali attività (acquisizione dei dati della giocata, trasmissione della stessa all'operatore estero, emissione della ricevuta che ne attesta l'accettazione, raccolta delle somme di poste di gioco, pagamento delle vincite) e tanto indipendentemente dal potere di ingerenza nella determinazione delle condizioni di scommesse e della estraneità al contratto che ha come parti lo scommettitore e la società estera per conto della quale agisce”.

CTR Roma, 18 maggio 2017, n. 2859

Anche a voler far propria un'interpretazione ristretta della nozione di “gestione”, appare pacifico che in essa vi rientrino le diverse attività esercitate dalla ricorrente: non solo la trasmissione dei dati al bookmaker, l'incasso delle somme puntate e il pagamento delle vincite, ma anche la predisposizione di locali aziendali finalizzati all'esercizio dell'impresa e di apparecchiature informatiche, nonché – sotto un profilo più prettamente formalistico – l'invito a scommettere mediante l'indicazione di quote, la ricezione delle proposte di scommessa da parte dei giocatori e l'accettazione da parte del bookmaker, a seguito della giocata, comprovata dal rilascio di ricevuta da parte del gestore. La nozione di “gestione” non implica dunque necessariamente l'assunzione del rischio della scommessa, come invece postulato dalla società appellante, ma è riferita alla attività di impresa di raccolta delle scommesse, in relazione alla quale sussiste infatti uno specifico rischio, connesso al volume delle giocate ricevute, per le quali è pagata la provvigione (cfr. in tal senso, la decisione di questa Commissione, Sezione 28. n. 354/28/2016)”.

Non manca, tuttavia, nella giurisprudenza di merito un orientamento più garantista nei confronti dei Ctd, tendente ad evidenziare la sostanziale differenza tra le attività svolte e le utilità percepite dagli allibratori esteri e dagli intermediari italiani.

ex multis, pro contribuente

CTP Brindisi,15 giugno 2016, n. 2633

“La materiale raccolta delle scommesse presso i vari punti vendita di gioco rappresenta unicamente una fase, che non può da sola riassumere la gestione dei giochi e delle scommesse”. Infatti “il tratto essenziale dell'attività di gioco e delle scommesse è costituito dalla reciproca assunzione del rischio del gioco, ragion per cui, qualsiasi attività che non comporti l'assunzione dell'alea propria del fenomeno ludico non può considerarsi quale attività di gioco e di scommesse, concretizzandosi dette attività nel fornire il personale, i locali e le attrezzature necessarie per la raccolta delle scommesse(nello stesso senso, CTP Mantova, 22/01/2014, n. 43)

CTP Brindisi, 30 dicembre 2015, n. 1170

“L'attività di prestazione di offerta del servizio dalla postazione internet-computer a terzo può rientrare solo in un'attività di intermediazione nella quale la società broker (estero) ed il cliente scommettitore realizzano una loro reciproca prestazione (offerta di scommesse e richiesta di scommesse)… per la quale è contrattualmente concordato solo il pagamento di provvigioni e le caratteristiche di operatività non possono dare adito ad alcun equivoco; il reddito prodotto dall'attività appartiene alla società con la quale viene stabilito il rapporto di collaborazione con il CED e il reddito dell'intermediario è individuabile solo nelle provvigioni che egli percepisce per le sue prestazioni CED… Le richieste a lui rivolte perciò costituiscono violazione del principio di doppia imposizione perché pretenderebbero su di lui la tassazione di ricavi prodotti dalla società titolare dell'attività e tassabili solo in capo alla stessa” (nello stesso senso, CTP Lecce, 10 giugno 2016, n. 3138; CTP Roma, 6 marzo 2015, n. 5077; CTP Livorno, 26 giugno 2014, n. 352; CTP Caserta, 16 novembre 2015, n. 9).

Tale ultimo filone giurisprudenziale pone sostanzialmente l'accento sulla circostanza che gestore della scommessa sia unicamente il bookmaker estero, in quanto tale concetto è collegato all'assunzione del rischio di impresa del bookmaker che di fatto gestisce l'alea del gioco e di riflesso subisce l'eventuale decurtazione patrimoniale conseguente all'attribuzione di una possibilità di guadagno concessa agli scommettitori. L'attività dei Ctd, invece, sarebbe strumentale e di contorno all'attività principale del bookmaker.

Del resto, tale differenza sostanziale emergerebbe già dagli stessi contratti di stabilimento che vengono stipulati tra i Ctd e gli allibratori esteri, in cui chiaramente viene specificato che la gestione delle scommesse è posta in tutti i suoi aspetti a carico solo del bookmaker estero, il quale gestisce tale attività in assoluta autonomia e rischio autonomo, mentre il Ctd si limita a fornire un supporto logistico esterno, mettendo in contatto i giocatori con il bookmaker, trasmettendo le rispettive volontà contrattuali e, in definitiva, eseguendo tutte le direttive ed istruzioni ricevute dal bookmaker.

Tali considerazioni sono state riassunte nelle quattro ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale con cui la CTP Rieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 del D.Lgs. n. 504/1998 e 1, comma 66 lett. b) L. n. 220/2010 per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzionenella parte in cui vengono interpretati come applicabili ai centri di raccolta dati, facendo di questi ultimi soggetti passivi dell'imposta unica sulle scommesse”.

CTP Rieti, ordinanze. nn. 290, 291, 296 del 2015

Secondo la CTP Rieti, “assumendo che anche il centro di raccolta dati è soggetto passivo dell'imposta ne conseguono inevitabili effetti incostituzionali, discendenti proprio dall'avere ricompreso le ricevitorie tra i soggetti tenuti al pagamento del tributo.

L'unica alternativa possibile è ritenere le norme suddette non applicabili alle ricevitorie, di talchè rispetto alla interpretazione che ne dà il diritto vivente si solleva la questione di legittimità costituzionale”.

In conclusione

Conformemente al maggioritario orientamento giurisprudenziale magistralmente riassunto nelle ordinanze della CTP Rieti, la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza di parziale accoglimento, disponendo l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, come interpretato dall'art. 1, comma 66 lett. b) L. 13 dicembre 2010, n. 220, ma solo per le annualità antecedenti al 2011 (data di entrata in vigore della legge di Stabilità 2011), mantenendo la solidarietà di imposta per le annualità successive.

Con riferimento alle annualità successive al 2011, ad avviso della Corte, la violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe scongiurata atteso che non vi sarebbe alcuna irragionevolezza nell'equiparare la ricevitoria (c.d. “gestore per conto terzi”) al bookmaker (c.d. “gestore in conto proprio”), atteso che i Ctd altro non sono se non l'anello finale della complessa struttura della gestione della scommessa.

Infatti, secondo la Corte, “le differenze tra il contributo prestato dalla ricevitoria e dal bookmaker alla complessiva attività di raccolta delle scommesse non escludono affatto - anzi presuppongono,- che entrambi i soggetti partecipino, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento di quell'attività di organizzazione ed esercizio della scommessa sottoposta ad imposizione”.

Nella nozione di gestione della scommessa, infatti, rientrerebbe anche l'attività della ricevitoria che attraverso la propria struttura imprenditoriale assicura la disponibilità dei locali idonei alla ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell'accettazione della scommessa, dell'incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite. Inoltre, anche nell'attività propria della ricevitoria sarebbe presente l'assunzione del rischio di gioco proprio del gestore, ravvisabile proprio nella raccolta della scommessa per conto del bookmaker, il cui volume determina anche la provvigione della ricevitoria e, quindi, il suo rischio imprenditoriale.

Ad avviso della Corte, non vi sarebbe, inoltre, alcuna irragionevolezza della normativa per difetto di congruità e di proporzione dell'intervento legislativo rispetto alle finalità perseguite (contrasto al gioco di azzardo e recupero del gettito fiscale), atteso che la scelta legislativa di tassare in via solidale la ricevitoria ed il bookmaker risponderebbe ad un'esigenza di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l'irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione, ovvero di operare per conto di chi ne sia privo”.

Nè vi sarebbe alcuna violazione del principio di capacità contributiva, atteso che la scelta di sottoporre a prelievo fiscale le ricevitorie unitamente ai bookmakers esteri tiene conto della circostanza che il rapporto tra i due soggetti è regolato sulla base di un contratto nel quale sono specificate anche le provvigioni dovute dal bookmaker al Ctd, tramite le quali il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. Infatti, le commissioni dovute alla ricevitoria rappresentano un elemento di costo che entra a far parte delle valutazioni economiche del bookmaker, il quale ne tiene conto nella determinazione delle quote e, quindi, dell'importo che lo scommettitore deve corrispondere per la scommessa.

Sulla base di tali presupposti, pertanto, con riferimento ai rapporti sorti successivamente al 2011, non vi sarebbe alcuna impossibilità di traslare l'imposta per la ricevitoria e, dunque, non vi sarebbe alcuna violazione dell'art. 53 Cost.

Non altrettanto, invece, può dirsi con riferimento ai rapporti sorti antecedentemente al 2011, prima della modifica operata dalla Legge di Stabilità 2011. Benchè, infatti, l'art. 1, comma 66 lett. b) L. 220/2010 avesse portata interpretativa, non può avere luogo la traslazione dell'imposta per i rapporti ante 2011, in quanto le commissioni pattuite tra ricevitoria e bookmaker si sono già cristallizzate sulla base del quadro normativo previgente, che escludeva le ricevitorie dal novero dei soggetti passivi di imposta. Pertanto, attesa l'impossibilità della traslazione dell'imposta per gli esercizi anteriori al 2011, l'imposizione solidale in capo al bookmaker e alle ricevitorie violerebbe l'art. 53 Cost.

Osservazioni

Con la sentenza in oggetto la Corte Costituzionale ha mostrato un atteggiamento alquanto cauto e prudente sull'argomento.

Sicuramente meritevole è la pronuncia di incostituzionalità della norma con riferimento ai rapporti ante 2011, soluzione, tuttavia, che non poteva essere diversa, a meno di non avallare un'applicazione retroattiva di una normativa solo dichiaratamente interpretativa, ma di fatto innovativa, in totale contrasto con il principio comunitario del legittimo affidamento.

Dal punto di vista pratico, la pronuncia di incostituzionalità ha avuto l'effetto di calmierare l'atteggiamento fin troppo aggressivo che avevano assunto gli Uffici fin dall'indomani dell'entrata in vigore della Legge di Stabilità 2011, mediante l'emissione indiscriminata di accertamenti con cui l'AAMS aveva tentato il maggior recupero possibile di imposta basandosi una solidarietà alquanto discutibile.

Ci si sarebbe auspicati invece una pronuncia più coraggiosa anche con riferimento alle annualità successive al 2011. E ciò non solo perché le premesse sembravano esserci tutte, considerato lo spessore delle motivazioni sollevate nelle ordinanze di rimessione, ma anche perché, da un punto di vista pratico, dal 2016, per effetto della Legge di Stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208) l'imposizione dei Ctd è nuovamente cambiata. Infatti, adesso le scommesse sportive non sono più tassate sull'ammontare della singola giocata, ma sulla differenza tra le somme giocate e le vincite pagate. In tal modo il legislatore ha modificato l'imposta da indiretta, basata sul consumo di ricchezza dello scommettitore, a diretta, basato sull'esercizio dell'attività economica, prescrivendo che sia solo il bookmaker che svolge l'attività a dover pagare il tributo, mentre alle ricevitorie non verrà più richiesto il pagamento dell'imposta unica.

Ragioni di coerenza legislativa, pertanto, avrebbero auspicato che la Corte Costituzionale estendesse anche alle annualità successive al 2011 la propria censura di incostituzionalità, considerando anche che le ulteriori modifiche adottate dalla Legge di Stabilità 2016 sono state dettate per eliminare in radice ulteriori problematiche di incostituzionalità cui, invece, la legge di Stabilità del 2011 aveva prestato il fianco. Coerenza legislativa che, tuttavia, sembra essere stata superata dalle ragioni erariali. La soluzione data dalla Corte Costituzionale, pertanto non convince del tutto e lascia parecchi scontenti, al punto che non si esclude che altri giudici di merito riproporranno in un prossimo futuro ulteriori questioni di fronte alla Corte.