Apporti in conto capitale, a fondo perduto e a copertura perdite

Martino Liva
04 Aprile 2018

Esiste una prassi diffusa tra i soci di società di capitali, soprattutto quelle a ristretta base personale, di effettuare attribuzioni patrimoniali in danaro, in assenza di particolari formalità e di precisa causale, finalizzate ad apportare, spontaneamente, causa societatis e senza vincolo di rimborso, mezzi propri alla società idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa. Si tratta di conferimenti "atipici", che generalmente incrementano il patrimonio netto della società ma non determinano una variazione del capitale sociale nominale. Sono versamenti ammessi dal nostro ordinamento ma non disciplinati dal legislatore. Si distinguono tra loro, per denominazione e disciplina, in base alla ragione giustificatrice sottostante l'apporto e alla causale espressa. Pur riscontrandosi diverse denominazioni ci si riferisce generalmente a (i) versamenti a fondo perduto (tra cui, i versamenti a copertura perdite), (ii) versamenti in conto capitale (generati dalle cd. "riserve targate") (iii) versamenti in conto aumento di capitale, (iv) versamenti in conto futuro aumento di capitale.

Inquadramento

Esiste una prassi diffusa tra i soci di società di capitali, soprattutto quelle a ristretta base personale, di effettuare attribuzioni patrimoniali in danaro, in assenza di particolari formalità e di precisa causale, finalizzate ad apportare, spontaneamente, causa societatis e senza vincolo di rimborso, mezzi propri alla società idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa.

Si tratta di conferimenti "atipici", che generalmente incrementano il patrimonio netto della società ma non determinano una variazione del capitale sociale nominale.

Sono versamenti ammessi dal nostro ordinamento ma non disciplinati dal legislatore. Si distinguono tra loro, per denominazione e disciplina, in base alla ragione giustificatrice sottostante l’apporto e alla causale espressa. Pur riscontrandosi diverse denominazioni ci si riferisce generalmente a (i) versamenti a fondo perduto (tra cui, i versamenti a copertura perdite), (ii) versamenti in conto capitale (generati dalle cd. "riserve targate") (iii) versamenti in conto aumento di capitale, (iv) versamenti in conto futuro aumento di capitale.

Gli apporti sub (i) e (ii), pur con differenziazioni, sono acquisiti nel patrimonio netto della società, alla voce "Altre Riserve", mentre gli apporti sub (iii) e (iv), pur differenziandosi dai prestiti e finanziamenti, sono appostati nel passivo dello stato patrimoniale, tra i debiti, essendo meri anticipi di sottoscrizione di un deliberando aumento di capitale. 

Gli apporti fuori capitale e la preliminare distinzione tra versamenti spontanei e prestiti

La struttura patrimoniale delle società di capitali è imperniata sulla centralità del capitale sociale, cui è destinata una disciplina dettagliata a tutela della sua integrità. A protezione del capitale sociale trovano posto, nel patrimonio netto, le riserve. Tra quelle non specificatamente disciplinate dal codice civile vi sono le "Altre Riserve", generatesi da apporti effettuati dai soci fuori capitale. Si tratta, più precisamente, di apporti eseguiti al di fuori degli schemi giuridico-formali previsti dal codice civile, versati spontaneamente, causa societatis e senza vincolo di rimborso, in grado conferire alla società mezzi propri idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa, senza essere imputati al capitale sociale e, dunque, sottratti alla relativa disciplina.

In evidenza: conferimenti a rischio
Nell'ordinamento societario, come e ormai ampiamente riconosciuto, deve ritenersi pienamente ammissibile l'effettuazione, da parte dei soci, di versamenti societatis causa - ossia di veri e propri conferimenti «a rischio», che confluiscono nel patrimonio sociale come componenti del netto - non imputati, o non imputati nell'immediato, a capitale: non essendo desumibile, per vero, dalla disciplina positiva alcun generale principio che imponga l'imputazione a capitale di tutti i conferimenti. (Cass., Sez. I, 14 aprile 2006, n. 8876)

Esiste una preliminare distinzione che va messa in luce, vale a dire quella tra gli apporti fuori capitale e i finanziamenti dei soci. Entrambe le tipologie, infatti, garantiscono un beneficio finanziario alla società ricevente la somma erogata. Tuttavia, i primi sono versamenti effettuati causa societatis e senza obbligo di rimborso, in grado garantire anche un rafforzamento patrimoniale e dunque non danno luogo a crediti esigibili, se non per effetto dello scioglimento della società. I secondi, al contrario, trattasi di veri e propri prestiti frutto di un finanziamento del socio, da cui deriva un obbligo di rimborso della società; sono contabilmente inseriti tra i "debiti verso altri finanziatori", nel passivo del conto economico, e assimilabili in tutto - fatta eccezione per la regola della postergazione di cui all'art. 2467 c.c. - a finanziamenti erogati da terzi. In un terreno di confine tra i due tipi di versamento, come meglio analizzato di seguito, si collocano i versamenti in conto aumento (e futuro aumento) di capitale. 

In evidenza: Trib. Roma
[…] è bene peraltro chiarire che l'individuazione del titolo giustificativo di un esborso effettuato dai soci in favore della società è della massima importanza: e invero il riconoscere che si tratti di somme erogate a titolo di mutuo, comporta l'obbligo di restituzione nel termine stabilito dalla parti o, in mancanza, in quello fissato dal giudice ex art. 1917 c.c., laddove dalla loro qualificazione come conferimenti destinati ad incrementare il patrimonio delle società, fuori del capitale, deriverebbe, almeno in via di principio, e a meno che non sia stato stabilito un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio o dai soci e un prossimo e determinato aumento (Cass., 23124 del 1996; Trib. Napoli 25 febbraio 1998, in Foro it., 1999, I, 1026), non solo la facoltà, ma l'obbligo degli amministratori di restituirli solo all'esito della conversione in denaro dell'attivo e del pagamento dei creditori sociali (Trib. Roma, 21 maggio 2001 , in Giur. comm. 2003, II, 690)

Per valutare la preliminare differenziazione tra apporti spontanei e prestiti si evidenzia che dottrina e giurisprudenza ormai consolidate (il punto d'approdo della giurisprudenza deve considerarsi Cass., 19 marzo 1996, n. 2314), ritengono non ci si debba arrestare alla mera denominazione con cui la somma è stata appostata nelle scritture contabili, ma sia necessario procedere innanzitutto a interpretare l'effettiva volontà delle parti, secondo i normali criteri di interpretazione del contratto con particolare riguardo al modo in cui il rapporto si è creato, alle finalità pratiche cui esso appare essere diretto agli interessi sottesi (con riferimento alla giurisprudenza precedente, che tendeva ad attribuire valore decisivo a elementi più formali, quali il tenore del verbale del Consiglio di Amministrazione o la contabilizzazione operata in sede di bilancio, si veda Cass. 3 dicembre 1980, n. 6315 in Riv. Trim. dir. e proc. civ. 1984, 1347, o Cass. 31 marzo 1989, n. 1583, in Soc., 1989, 642). Solo in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, torna significativa l'analisi dell'appostamento a bilancio che è pur sempre un documento soggetto all'approvazione dei soci (si veda in particolare Cass. 23 marzo 2017, n. 7471).

L'orientamento oggi prevalente, di tipo sostanzialistico, è fatto proprio dalla giurisprudenza, nonostante esista una previsione fiscale (art. 46 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917), che opera solamente nei rapporti tra gli imprenditori collettivi e il fisco, secondo cui le somme versate dai soci alle società «si considerano date a mutuo, se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo».

Oltre che per quanto già messo in luce, tale distinzione circa la qualifica delle somme apportate alla società rileva anche in sede di cessione della partecipazione.

Infatti, come regola generale, la partecipazione sociale può ben essere ceduta separatamente dal credito del socio nei confronti della società. Tuttavia, nelle ipotesi in cui il socio cedente sia anche creditore di una somma derivante da finanziamento verso la società (o, come meglio si dirà di seguito, versamento in conto futuro aumento di capitale), allora trattasi di un diritto di credito, per così dire "autonomo", che può formare oggetto di diritti in via indipendente rispetto alla quota e, pertanto, non sottoposto alla garanzia di cui all'art. 1266 c.c.. Al contrario, invece, laddove la quota di partecipazione oggetto di cessione abbia, quale "bene di secondo grado", un versamento in conto capitale o, in generale, assimilabile a capitale di rischio opera, a detta della giurisprudenza (cfr. di seguito) la garanzia di cui all'art. 1266 c.c..

In evidenza
La cessione, separatamente dalla vendita della partecipazione sociale, del credito vantato dal socio nei confronti della società quale restituzione di un'erogazione del primo in favore della seconda dà luogo alla garanzia per inesistenza del credito di cui all'art. 1266 c.c. solo qualora risulti che la causa concreta del negozio societario posto in essere sia riconducibile ad un versamento assimilabile a capitale di rischio, in quanto, in tal caso, il trasferimento della partecipazione sociale include, quale bene "di secondo grado", quello di ogni posta esistente nel patrimonio sociale, incluso il denaro ricevuto dalla società; la garanzia non opera, invece, nelle ipotesi di finanziamento del socio o di versamento finalizzato ad un futuro aumento del capitale nominale, dai quali deriva il diritto di credito del socio alla restituzione, l'uno ai sensi dell'art. 1813 c.c. in tema di mutuo e l'altro qualora venga successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale eseguita in favore della società, onde il trasferimento della partecipazione sociale di regola non include anche tale credito, che può formare oggetto autonomo di diritti (Cass. sez. I, 29 luglio 2015, n. 16049, in questo portale, con nota di Molgora)

Analisi e disciplina delle diverse tipologie degli apporti fuori capitale

Effettuata la principale distinzione tra apporti fuori capitale e finanziamenti, occorre ora passare in rassegna i diversi tipi di tali apporti, precisando come non esiste una classificazione terminologica unanimemente condivisa e assodata, essendo peraltro silente il legislatore al riguardo. Si utilizza di seguito quella maggiormente diffusa dalla giurisprudenza e dottrina più attenta, propendendo per una articolazione dettagliata.

In evidenza: O.I.C. - Principi Organismo Italiano Contabilità

Il principio contabile O.I.C. n. 28 (Patrimonio Netto) distingue, nel novero della voce di patrimonio netto "Riserve per versamenti effettuati dai soci", tra:

  • Versamenti in conto aumento di capitale
  • Versamenti in conto futuro aumento di capitale
  • Versamenti in conto capitale
  • Versamenti a copertura perdite

Versamenti a fondo perduto (e versamenti a copertura perdite)

I versamenti a fondo perduto sono versamenti che i soci effettuano, appunto, a fondo perduto, a beneficio della società. Perdono ogni legame con il soggetto erogante, restando invece degli apporti acquisiti nel patrimonio sociale (i.e. il netto "comune" della società), e appartengono idealmente alla collettività dei soci.

Più precisamente, si tende a distinguere i versamenti a fondo perduto in due tipologie, a seconda della loro finalità:

  • i versamenti a fondo perduto aventi la funzione di incrementare la base patrimoniale della società, apportando nuove risorse finanziarie da utilizzare nell'attività di impresa, senza formalmente aumentare il capitale nominale;
  • i versamenti a fondo perduto a copertura perdite, operati dai soci al fine di ripianare le perdite che impattano sul capitale sociale, al di fuori di una formale procedura secondo le regole degli artt. 2446 e 2447 c.c..

I versamenti a fondo perduto, una volta acquisiti dalla società, creano poste di patrimonio netto attribuibili in maniera indifferenziata a tutti i soci, indipendentemente dalla circostanza per cui tali versamenti siano stati effettuati in via proporzionale tra i soci oppure no.

Non sorgono particolari questioni circa i versamenti a fondo perduto del primo tipo: ricevono allocazione nel patrimonio netto alla voce "Altre riserve", incrementando lo stesso e possono essere oggetto di successiva distribuzione al pari di ogni altra riserva di netto della società.

Con riferimento ai versamenti a fondo perduto effettuati a copertura delle perdite della società, è possibile distinguere le seguenti ipotesi:

  • versamenti a fondo perduto effettuati in "via preventiva", utilizzati solo successivamente rispetto al loro apporto a copertura di perdite, con erosione da parte di queste ultime della riserva - già esistente - costituita dai versamenti a fondo perduto;
  • versamenti a fondo perduto effettuati contestualmente all'operazione di ricostituzione del capitale in sede di delibera assembleare adottata ai sensi dell'art. 2447 c.c., funzionali a ripianare le perdite eccedenti il capitale, per la parte "sottozero", in misura almeno sufficiente a riportarlo a zero;
  • versamenti spontanei effettuato dai soci a copertura di perdite di esercizio, in alternativa e in sostituzione dei provvedimenti previsti dagli artt. 2446 e 2447 c.c..

Per quanto riguarda l'ultima fattispecie elencata - da un punto di vista di natura più strettamente contabile - la posizione più tradizionale è quella per cui le operazioni effettuate tra la società e i soci hanno natura patrimoniale, e, quindi i loro effetti devono essere rilevati direttamente nel patrimonio netto (cfr. seppur in via generale, principio contabile O.I.C. n. 28, par. 21, che apre la sezione denominata: "Rilevazione iniziale e movimentazioni successive in occasione di operazioni tra società e soci operanti in qualità di soci").

Tuttavia, occorre interpretare tale regola differenziando il caso in cui il versamento a fondo perduto a copertura perdite venga effettuato nel corso dell'esercizio in cui si verifica la perdita oppure nell'esercizio successivo. Nel primo caso, infatti, appare ammissibile che il versamento vada contabilizzato direttamente a conto economico, ove si dovrebbe riportare uno sbilancio (negativo) di esercizio riassorbito immediatamente, e dunque neutralizzato, dal versamento a fondo perduto di carattere straordinario, senza dunque che si debbano appostare i versamenti a fondo perduto tra le "Altre Riserve" del patrimonio netto. Il versamento, in altri termini, verrebbe immediatamente "eroso" dalle perdite dello stesso esercizio.

Al contrario, nel secondo caso, il versamento a fondo perduto transiterebbe nel patrimonio netto, tra le "Altre Riserve", e solo con la chiusura del bilancio regolarmente approvato sarebbe portato a copertura perdite, neutralizzandole.

(Segue) Versamenti in conto capitale (e le cd. "riserve targate")

I versamenti in conto capitale presentano una significativa somiglianza con i versamenti a fondo perduto. Anche per tali tipi di apporti, infatti, vale quanto espresso nell'analisi dei versamenti a fondo perduto: sono somme acquisite dal patrimonio netto della società senza alcun obbligo di restituzione, erogate dai soci spontaneamente al di fuori di ogni procedura prevista per i conferimenti.

Anche i versamenti in conto capitale, pertanto, sono idonei a (i) incrementare patrimonialmente la società, senza modificare il valore nominale del capitale sociale, e (ii) coprire le perdite di esercizio.

La differenza con i versamenti a fondo perduto, tuttavia, si verifica per il fatto che sono apporti idonei, ricorrendone le circostanze, a dare vita alle cd. "riserve targate". Più precisamente, quando gli apporti spontanei sono effettuati tra i soci in via non proporzionale, si possono alimentare poste di patrimonio netto dotate di una "targa" o "personalizzazione", vale a dire dotate di un collegamento con il soggetto apportante, dandosi luogo, quindi, a un versamento in conto capitale anziché un versamento a fondo perduto che, per definizione, è sempre acquisito dalla società a beneficio dell'intera compagine sociale, indipendentemente dal fatto che sia stato eseguito in via proporzionale o no.

Giurisprudenza e dottrina maggioritaria (ma non unanime) tendono ad escludere che sia necessaria una preventiva deliberazione assembleare per consentire ai soci un versamento non proporzionale: ogni volta che vengano effettuati tali versamenti (purché non abbiano le caratteristiche dei versamenti di cui al successivo Paragrafo), si darà di per sé luogo alla creazione di una riserva "targata".

In evidenza: sui versamenti in conto capitale

[I versamenti in conto capitale] sono, quindi, destinati a costituire frazioni del "capitale di rischio", ovverosia "mezzi propri" della società beneficiaria. Non essendo imputabili a capitale nel senso appena chiarito, i versamenti in discorso, una volta eseguiti, vanno a costituire una riserva non di utili ma, come usa dirsi, "di capitale", soggetta, secondo la condivisibile opinione della dottrina prevalente, alla stessa disciplina della riserva da soprapprezzo, seppure, si precisa, "personalizzata" o "targata" in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all'entità delle somme da ciascuno erogate.

(Cass. 24 luglio 2007 n. 16393)

Pur essendo le riserve targate riconducibili non alla pluralità dei soci ma solo a quei soci che le hanno versate - fermo restando il loro appostamento a patrimonio netto - la giurisprudenza (cfr. Cass. 24 luglio 2007 n. 16393, sopra citata) ha operato una peculiare ricostruzione della disciplina di tali riserve, come segue:

  • in caso di utilizzo delle riserve targate per un aumento gratuito del capitale, le azioni o quote di nuova emissione sono da attribuirsi a beneficio di tutti i soci proporzionalmente alla loro partecipazione al capitale, senza tenere in conto quanto da ciascun socio versato; si tratta, infatti, non di anticipi sulla sottoscrizione di un aumento di capitale (cfr. infra) ma di una vera e propria posta di patrimonio netto, pur alimentata non proporzionalmente; fatto salvo che l'assemblea si esprima per un'assegnazione non proporzionale seguendo la proporzionalità dei versamenti (così, non la cassazione citata, ma M. Maugeri, Versamenti dei soci, in Enc. Giur. Sole24Ore, XXVI, Milano, 2008);
  • in caso di distribuzioni delle riserve targate effettuate durante la vita della società, a differenza di quanto previsto per l'aumento gratuito del capitale, devono essere invece distribuite secondo la proporzionalità dei versamenti effettuati, beneficiando quindi ciascun socio di quanto versato.

Resta da valutare con che modalità le riserve targate debbano essere intaccate dalla perdite. La soluzione più condivisa - seppur non di derivazione giurisprudenziale - è quella per cui le riserve targate debbano essere erose dalle perdite per ultime, solo dopo che tutte le riserve "comuni" del patrimonio netto, compresa la riserva legale, siano esaurite, e residuando solo il capitale sociale, che, evidentemente, non può che essere l'ultima posta del patrimonio netto a essere intaccata.

(Segue) Versamenti in conto aumento (e futuro aumento) di capitale

Dai versamenti in conto capitale devono essere distinti i versamenti in conto aumento di capitale, che costituiscono una distinta categoria, caratterizzata da veri e propri acconti su versamenti che saranno dovuti, in ragione dell'intenzione di sottoscrivere un determinato aumento di capitale. In altre parole, i versamenti in conto aumento di capitale si presentano quali anticipi di versamenti funzionali alla sottoscrizione di azioni o quote di nuova emissione (ma ancora non emesse). Può infatti capitare che, per esigenze pratiche o necessità finanziaria della società, i soci - o i terzi cui la società intende offrire la sottoscrizione di un futuro (o deliberato ma non ancora eseguito) aumento di capitale - effettuino il versamento funzionale alla sottoscrizione dell'aumento del capitale secondo una procedura temporale "inversa", al fine di dotare immediatamente la società di nuovi mezzi finanziari, senza dover attendere i tempi di perfezionamento dell'operazione sul capitale. E così, in particolare:

  • ci si riferisce, generalmente, a "versamenti in conto futuro aumento di capitale", qualora l'apporto sia messo a disposizione della società prima della delibera di aumento del capitale, con l'espresso intento di anticipare alla società la provvista destinata alla sottoscrizione del relativo ammontare, a liberazione delle future emittende partecipazioni;
  • ci si riferisce, generalmente, a "versamenti in conto aumento di capitale" qualora l'apporto sia messo a disposizione della società dopo la delibera di aumento del capitale ma prima della sua esecuzione (e dunque nel lasso di tempo intercorrente tra la data della delibera e la data di iscrizione della stessa o la data di apertura delle sottoscrizioni), sempre con la finalità di anticipare la provvista per la sottoscrizione delle nuove emittende partecipazioni.

In evidenza: Versamenti in conto capitale e in conto futuro aumento capitale

“Non può farsi a meno di notare - e la dottrina infatti lo ha ben rilevato - che altro sono i versamenti genericamente effettuati "in conto capitale", altro quelli che si riferiscono ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale. Mentre per i primi non sembra dubbio che si tratti di apporti di patrimonio dei quali la società è libera di disporre come di qualsiasi altra riserva (anche, ma non necessariamente, adoperandoli in futuro per aumentare il capitale nominale), senza che possa venire in questione alcun diritto al rimborso del socio fin quando non sia stata liquidata l'impresa collettiva, la situazione si presenta in termini diversi nella seconda delle due fattispecie sopra ipotizzate.

Quando, infatti, le parti abbiano stabilito un chiaro collegamento casuale tra il versamento eseguito dal socio ed un prossimo aumento del capitale sociale, è in genere da ritenere che esse abbiano inteso condizionare risolutivamente l'acquisizione patrimoniale della società alla futura deliberazione di aumento del capitale nominale.”

(Cass. 19 marzo 1996, n. 2314, in Riv. dir. comm. 1996, II, 329).

Da un punto di vista civilistico si tende a classificare i versamenti in conto aumento (e futuro aumento) di capitale, alla stregua di apporti risolutivamente condizionati alla mancata esecuzione (per i versamenti in conto aumento) o deliberazione (per i versamenti in conto futuro aumento), dell'operazione sul capitale nominale della società. Al riguardo, tanto più è preciso il nesso causale tra il versamento e il deliberato (o deliberando) aumento di capitale, quanto più si è di fronte a un genuino “versamento in conto aumento (o futuro aumento) di capitale”. Peraltro, proprio al fine di preservare il più possibile la genuinità del versamento, e non confonderlo con i versamenti in conto capitale, da un punto di vista pratico appare sempre consigliabile che il finanziatore individui una data ultima di delibera, oltre la quale l'apporto dovrà essere restituito al finanziatore.

Da ciò, derivano due conseguenze principali:

  • tali apporti rappresentano per la società dei debiti (seppur connotati dalla postergazione se vi siano i requisiti di legge), fino a quando non sia avvenuta la "conversione" in conferimenti, a sottoscrizione e liberazione dell'aumento di capitale; pertanto l'appostazione patrimoniale più corretta è tra i debiti (Quadro D del passivo) e non nel patrimonio netto della società, circostanza che talvolta è posta in essere con il fine (fraudolento) di voler mostrare un valore patrimoniale della società più elevato di quanto non sia nella realtà;
  • nel caso in cui l'operazione sul capitale in funzione della quale è stato effettuato il versamento in conto aumento (o futuro aumento) non venga eseguito o deliberato dalla società, sorge il correlato diritto alla restituzione per il finanziatore, sia esso socio o terzo, essendo cessata la causa dell'attribuzione patrimoniale. Fermo restando che nulla vieta, in questa ipotesi, che le erogazioni possano poi essere riqualificate dal finanziatore stesso come contributi in conto capitali o a versamento perduto, "transitando" quindi idealmente nel patrimonio netto della società, e divenendo peraltro anche idonee, se del caso, a coprire eventuali perdite.

Quanto alla proporzionalità di tali versamenti, si tende ad ammettere il versamento da parte di uno dei soci (o un terzo) di un ammontare in conto aumento (o futuro aumento) del capitale, per un ammontare idoneo a sottoscrivere in via integrale l'aumento (deliberato o deliberando), al fine di assicurare a priori il buon esito dell'operazione sul capitale. Si tratta, in tal caso, di un versamento sottoposto a duplice condizione: l'approvazione o esecuzione della delibera e la rinuncia all'opzione degli altri titolari del diritto.

In evidenza: Corte di Cassazione

“[…] nella prima ipotesi - impegno ad esercitare il diritto di opzione - la condizione è semplice, concretandosi nell'approvazione della deliberazione di aumento del capitale entro il termine stabilito o desumibile dalle circostanze mentre nella seconda - impegno a sottoscrivere anche le nuove azioni sulle quali il socio non vanta l'anzidetto diritto - la condizione è complessa, sostanziandosi non solo nell'approvazione della delibera, ma anche nel mancato esercizio del diritto di opzione da parte degli altri soci nel termine all'uopo assegnato (art. 2441 c.c., comma 2).

In questa prospettiva, e conclusivamente sul punto, deve ritenersi, dunque, pienamente valido il patto con il quale un socio, che pure non disponga di una partecipazione totalitaria, si vincoli, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, a sottoscrivere per intero un aumento di capitale programmato dalla società. Il medesimo impegno potrebbe essere peraltro assunto - sotto la condizione complessa dianzi evidenziata - addirittura da un terzo estraneo, a dimostrazione del fatto che la previsione del diritto di opzione non interferisce in alcun modo sulla validità del negozio in questione, ma - eventualmente - solo sulla sua efficacia, per l'appunto quale evento condizionante (sub specie di mancato esercizio del diritto nel termine da parte dei suoi titolari).”

(Cass. 14 aprile 2006, n. 8876).

Riferimenti

Normativi:

  • Art. 2424 c.c.
  • Artt. 2446, 2447 c.c.
  • Art. 46 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917

Giurisprudenza:

  • Cass. 23 marzo 2017, n. 7471
  • Cass. 29 luglio 2015, n. 16049
  • Cass. 9 dicembre 2015, n. 24861
  • Cass. 24 luglio 2007 n. 16393
  • Cass. 14 aprile 2006, n. 8876
  • Cass. 19 marzo 1996, n. 2314
  • Trib. Milano, 7 febbraio 2017 n. 1468

Prassi

  • Organismo Italiano Contabilità, Principio n. 28, Patrimonio netto

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