Apporti in conto capitale, a fondo perduto e a copertura perditeFonte: Cod. Civ. Articolo 2342
04 Aprile 2018
Inquadramento Esiste una prassi diffusa tra i soci di società di capitali, soprattutto quelle a ristretta base personale, di effettuare attribuzioni patrimoniali in danaro, in assenza di particolari formalità e di precisa causale, finalizzate ad apportare, spontaneamente, causa societatis e senza vincolo di rimborso, mezzi propri alla società idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa. Si tratta di conferimenti "atipici", che generalmente incrementano il patrimonio netto della società ma non determinano una variazione del capitale sociale nominale. Sono versamenti ammessi dal nostro ordinamento ma non disciplinati dal legislatore. Si distinguono tra loro, per denominazione e disciplina, in base alla ragione giustificatrice sottostante l’apporto e alla causale espressa. Pur riscontrandosi diverse denominazioni ci si riferisce generalmente a (i) versamenti a fondo perduto (tra cui, i versamenti a copertura perdite), (ii) versamenti in conto capitale (generati dalle cd. "riserve targate") (iii) versamenti in conto aumento di capitale, (iv) versamenti in conto futuro aumento di capitale. Gli apporti sub (i) e (ii), pur con differenziazioni, sono acquisiti nel patrimonio netto della società, alla voce "Altre Riserve", mentre gli apporti sub (iii) e (iv), pur differenziandosi dai prestiti e finanziamenti, sono appostati nel passivo dello stato patrimoniale, tra i debiti, essendo meri anticipi di sottoscrizione di un deliberando aumento di capitale. Gli apporti fuori capitale e la preliminare distinzione tra versamenti spontanei e prestiti La struttura patrimoniale delle società di capitali è imperniata sulla centralità del capitale sociale, cui è destinata una disciplina dettagliata a tutela della sua integrità. A protezione del capitale sociale trovano posto, nel patrimonio netto, le riserve. Tra quelle non specificatamente disciplinate dal codice civile vi sono le "Altre Riserve", generatesi da apporti effettuati dai soci fuori capitale. Si tratta, più precisamente, di apporti eseguiti al di fuori degli schemi giuridico-formali previsti dal codice civile, versati spontaneamente, causa societatis e senza vincolo di rimborso, in grado conferire alla società mezzi propri idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa, senza essere imputati al capitale sociale e, dunque, sottratti alla relativa disciplina.
Esiste una preliminare distinzione che va messa in luce, vale a dire quella tra gli apporti fuori capitale e i finanziamenti dei soci. Entrambe le tipologie, infatti, garantiscono un beneficio finanziario alla società ricevente la somma erogata. Tuttavia, i primi sono versamenti effettuati causa societatis e senza obbligo di rimborso, in grado garantire anche un rafforzamento patrimoniale e dunque non danno luogo a crediti esigibili, se non per effetto dello scioglimento della società. I secondi, al contrario, trattasi di veri e propri prestiti frutto di un finanziamento del socio, da cui deriva un obbligo di rimborso della società; sono contabilmente inseriti tra i "debiti verso altri finanziatori", nel passivo del conto economico, e assimilabili in tutto - fatta eccezione per la regola della postergazione di cui all'art. 2467 c.c. - a finanziamenti erogati da terzi. In un terreno di confine tra i due tipi di versamento, come meglio analizzato di seguito, si collocano i versamenti in conto aumento (e futuro aumento) di capitale.
Per valutare la preliminare differenziazione tra apporti spontanei e prestiti si evidenzia che dottrina e giurisprudenza ormai consolidate (il punto d'approdo della giurisprudenza deve considerarsi Cass., 19 marzo 1996, n. 2314), ritengono non ci si debba arrestare alla mera denominazione con cui la somma è stata appostata nelle scritture contabili, ma sia necessario procedere innanzitutto a interpretare l'effettiva volontà delle parti, secondo i normali criteri di interpretazione del contratto con particolare riguardo al modo in cui il rapporto si è creato, alle finalità pratiche cui esso appare essere diretto agli interessi sottesi (con riferimento alla giurisprudenza precedente, che tendeva ad attribuire valore decisivo a elementi più formali, quali il tenore del verbale del Consiglio di Amministrazione o la contabilizzazione operata in sede di bilancio, si veda Cass. 3 dicembre 1980, n. 6315 in Riv. Trim. dir. e proc. civ. 1984, 1347, o Cass. 31 marzo 1989, n. 1583, in Soc., 1989, 642). Solo in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, torna significativa l'analisi dell'appostamento a bilancio che è pur sempre un documento soggetto all'approvazione dei soci (si veda in particolare Cass. 23 marzo 2017, n. 7471). L'orientamento oggi prevalente, di tipo sostanzialistico, è fatto proprio dalla giurisprudenza, nonostante esista una previsione fiscale (art. 46 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917), che opera solamente nei rapporti tra gli imprenditori collettivi e il fisco, secondo cui le somme versate dai soci alle società «si considerano date a mutuo, se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo». Oltre che per quanto già messo in luce, tale distinzione circa la qualifica delle somme apportate alla società rileva anche in sede di cessione della partecipazione. Infatti, come regola generale, la partecipazione sociale può ben essere ceduta separatamente dal credito del socio nei confronti della società. Tuttavia, nelle ipotesi in cui il socio cedente sia anche creditore di una somma derivante da finanziamento verso la società (o, come meglio si dirà di seguito, versamento in conto futuro aumento di capitale), allora trattasi di un diritto di credito, per così dire "autonomo", che può formare oggetto di diritti in via indipendente rispetto alla quota e, pertanto, non sottoposto alla garanzia di cui all'art. 1266 c.c.. Al contrario, invece, laddove la quota di partecipazione oggetto di cessione abbia, quale "bene di secondo grado", un versamento in conto capitale o, in generale, assimilabile a capitale di rischio opera, a detta della giurisprudenza (cfr. di seguito) la garanzia di cui all'art. 1266 c.c..
Analisi e disciplina delle diverse tipologie degli apporti fuori capitale Effettuata la principale distinzione tra apporti fuori capitale e finanziamenti, occorre ora passare in rassegna i diversi tipi di tali apporti, precisando come non esiste una classificazione terminologica unanimemente condivisa e assodata, essendo peraltro silente il legislatore al riguardo. Si utilizza di seguito quella maggiormente diffusa dalla giurisprudenza e dottrina più attenta, propendendo per una articolazione dettagliata.
Versamenti a fondo perduto (e versamenti a copertura perdite) I versamenti a fondo perduto sono versamenti che i soci effettuano, appunto, a fondo perduto, a beneficio della società. Perdono ogni legame con il soggetto erogante, restando invece degli apporti acquisiti nel patrimonio sociale (i.e. il netto "comune" della società), e appartengono idealmente alla collettività dei soci. Più precisamente, si tende a distinguere i versamenti a fondo perduto in due tipologie, a seconda della loro finalità:
I versamenti a fondo perduto, una volta acquisiti dalla società, creano poste di patrimonio netto attribuibili in maniera indifferenziata a tutti i soci, indipendentemente dalla circostanza per cui tali versamenti siano stati effettuati in via proporzionale tra i soci oppure no. Non sorgono particolari questioni circa i versamenti a fondo perduto del primo tipo: ricevono allocazione nel patrimonio netto alla voce "Altre riserve", incrementando lo stesso e possono essere oggetto di successiva distribuzione al pari di ogni altra riserva di netto della società. Con riferimento ai versamenti a fondo perduto effettuati a copertura delle perdite della società, è possibile distinguere le seguenti ipotesi:
Per quanto riguarda l'ultima fattispecie elencata - da un punto di vista di natura più strettamente contabile - la posizione più tradizionale è quella per cui le operazioni effettuate tra la società e i soci hanno natura patrimoniale, e, quindi i loro effetti devono essere rilevati direttamente nel patrimonio netto (cfr. seppur in via generale, principio contabile O.I.C. n. 28, par. 21, che apre la sezione denominata: "Rilevazione iniziale e movimentazioni successive in occasione di operazioni tra società e soci operanti in qualità di soci"). Tuttavia, occorre interpretare tale regola differenziando il caso in cui il versamento a fondo perduto a copertura perdite venga effettuato nel corso dell'esercizio in cui si verifica la perdita oppure nell'esercizio successivo. Nel primo caso, infatti, appare ammissibile che il versamento vada contabilizzato direttamente a conto economico, ove si dovrebbe riportare uno sbilancio (negativo) di esercizio riassorbito immediatamente, e dunque neutralizzato, dal versamento a fondo perduto di carattere straordinario, senza dunque che si debbano appostare i versamenti a fondo perduto tra le "Altre Riserve" del patrimonio netto. Il versamento, in altri termini, verrebbe immediatamente "eroso" dalle perdite dello stesso esercizio. Al contrario, nel secondo caso, il versamento a fondo perduto transiterebbe nel patrimonio netto, tra le "Altre Riserve", e solo con la chiusura del bilancio regolarmente approvato sarebbe portato a copertura perdite, neutralizzandole. (Segue) Versamenti in conto capitale (e le cd. "riserve targate") I versamenti in conto capitale presentano una significativa somiglianza con i versamenti a fondo perduto. Anche per tali tipi di apporti, infatti, vale quanto espresso nell'analisi dei versamenti a fondo perduto: sono somme acquisite dal patrimonio netto della società senza alcun obbligo di restituzione, erogate dai soci spontaneamente al di fuori di ogni procedura prevista per i conferimenti. Anche i versamenti in conto capitale, pertanto, sono idonei a (i) incrementare patrimonialmente la società, senza modificare il valore nominale del capitale sociale, e (ii) coprire le perdite di esercizio. La differenza con i versamenti a fondo perduto, tuttavia, si verifica per il fatto che sono apporti idonei, ricorrendone le circostanze, a dare vita alle cd. "riserve targate". Più precisamente, quando gli apporti spontanei sono effettuati tra i soci in via non proporzionale, si possono alimentare poste di patrimonio netto dotate di una "targa" o "personalizzazione", vale a dire dotate di un collegamento con il soggetto apportante, dandosi luogo, quindi, a un versamento in conto capitale anziché un versamento a fondo perduto che, per definizione, è sempre acquisito dalla società a beneficio dell'intera compagine sociale, indipendentemente dal fatto che sia stato eseguito in via proporzionale o no. Giurisprudenza e dottrina maggioritaria (ma non unanime) tendono ad escludere che sia necessaria una preventiva deliberazione assembleare per consentire ai soci un versamento non proporzionale: ogni volta che vengano effettuati tali versamenti (purché non abbiano le caratteristiche dei versamenti di cui al successivo Paragrafo), si darà di per sé luogo alla creazione di una riserva "targata".
Pur essendo le riserve targate riconducibili non alla pluralità dei soci ma solo a quei soci che le hanno versate - fermo restando il loro appostamento a patrimonio netto - la giurisprudenza (cfr. Cass. 24 luglio 2007 n. 16393, sopra citata) ha operato una peculiare ricostruzione della disciplina di tali riserve, come segue:
Resta da valutare con che modalità le riserve targate debbano essere intaccate dalla perdite. La soluzione più condivisa - seppur non di derivazione giurisprudenziale - è quella per cui le riserve targate debbano essere erose dalle perdite per ultime, solo dopo che tutte le riserve "comuni" del patrimonio netto, compresa la riserva legale, siano esaurite, e residuando solo il capitale sociale, che, evidentemente, non può che essere l'ultima posta del patrimonio netto a essere intaccata. (Segue) Versamenti in conto aumento (e futuro aumento) di capitale Dai versamenti in conto capitale devono essere distinti i versamenti in conto aumento di capitale, che costituiscono una distinta categoria, caratterizzata da veri e propri acconti su versamenti che saranno dovuti, in ragione dell'intenzione di sottoscrivere un determinato aumento di capitale. In altre parole, i versamenti in conto aumento di capitale si presentano quali anticipi di versamenti funzionali alla sottoscrizione di azioni o quote di nuova emissione (ma ancora non emesse). Può infatti capitare che, per esigenze pratiche o necessità finanziaria della società, i soci - o i terzi cui la società intende offrire la sottoscrizione di un futuro (o deliberato ma non ancora eseguito) aumento di capitale - effettuino il versamento funzionale alla sottoscrizione dell'aumento del capitale secondo una procedura temporale "inversa", al fine di dotare immediatamente la società di nuovi mezzi finanziari, senza dover attendere i tempi di perfezionamento dell'operazione sul capitale. E così, in particolare:
Da un punto di vista civilistico si tende a classificare i versamenti in conto aumento (e futuro aumento) di capitale, alla stregua di apporti risolutivamente condizionati alla mancata esecuzione (per i versamenti in conto aumento) o deliberazione (per i versamenti in conto futuro aumento), dell'operazione sul capitale nominale della società. Al riguardo, tanto più è preciso il nesso causale tra il versamento e il deliberato (o deliberando) aumento di capitale, quanto più si è di fronte a un genuino “versamento in conto aumento (o futuro aumento) di capitale”. Peraltro, proprio al fine di preservare il più possibile la genuinità del versamento, e non confonderlo con i versamenti in conto capitale, da un punto di vista pratico appare sempre consigliabile che il finanziatore individui una data ultima di delibera, oltre la quale l'apporto dovrà essere restituito al finanziatore. Da ciò, derivano due conseguenze principali:
Quanto alla proporzionalità di tali versamenti, si tende ad ammettere il versamento da parte di uno dei soci (o un terzo) di un ammontare in conto aumento (o futuro aumento) del capitale, per un ammontare idoneo a sottoscrivere in via integrale l'aumento (deliberato o deliberando), al fine di assicurare a priori il buon esito dell'operazione sul capitale. Si tratta, in tal caso, di un versamento sottoposto a duplice condizione: l'approvazione o esecuzione della delibera e la rinuncia all'opzione degli altri titolari del diritto.
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