Stalking in condominio

Gianluigi Frugoni
09 Aprile 2018

Integra la fattispecie del reato di «stalking» o di «atti persecutori» previsto dall'art. 612 bis c.p, la condotta perdurante di persecuzione, posta in essere con numerose aggressioni fisiche e verbali, molestie, offese minatorie e volgari, rendere le persone offese bersaglio di appostamenti, di danneggiamenti ripetuti, senza dare tregua alle vittime, tali da ingenerare loro uno stato perdurante di ansia e di paura...
Massima

Integra la fattispecie del reato di «stalking» o di «atti persecutori» previsto dall'art. 612 bis c.p., la condotta perdurante di persecuzione, posta in essere con numerose aggressioni fisiche e verbali, molestie, offese minatorie e volgari, rendere le persone offese bersaglio di appostamenti, di danneggiamenti ripetuti, senza dare tregua alle vittime, tali da ingenerare loro uno stato perdurante di ansia e di paura, con condotta che induce a modificare le proprie abitudini di vita, evitando di uscire il più possibile di casa, nel timore di subire aggressioni fisiche e verbali.

In relazione alla fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p. (reato di stalking o atti persecutori) può essere affermata la penale responsabilità di un soggetto anche sulla scorta delle sole dichiarazioni della persona offesa, purché queste siano sottoposte ad un rigoroso vaglio critico.

Il caso

Due coniugi coabitanti in un appartamento di un condominio avevano sporto nei confronti di un altro condomino varie querele, con le quali denunciavano di aver subito numerosi atti persecutori consistiti in minacce, frasi ingiuriose, danneggiamenti a beni mobili, percosse, appostamenti, con intervento in alcuni casi dei sanitari del 118.

Tali condotte si sono originate da un conflitto insorto tra le parti: la coppia di coniugi aveva installato sulla porta della propria abitazione un faretto ed una telecamera, impianto che, secondo il vicino, non poteva essere installato e, per questo motivo, l'aveva ripetutamente danneggiato anche dopo la sua riparazione ad opera dei proprietari.

La situazione era poi degenerata e la condotta del vicino aveva assunto gli estremi della vera intimidazione e persecuzione con i comportamenti sopra descritti.

A causa delle intimidazioni del vicino, nel figlio minore della coppia, si era ingenerato il terrore di uscire di casa, per il timore di incontrarlo e subire delle aggressioni e gli stessi genitori, erano ricorsi a delle cure psichiatriche.

Questi ultimi, interrogati sui fatti durante il dibattimento, avevano confermato di aver subito i predetti atti persecutori mediante anche l'ausilio di filmati registrati dall'impianto di videosorveglianza posto avanti l'ingresso della loro abitazione.

Il Tribunale di Bari ha affermato la penale responsabilità dell'imputato avendo accertato che quest'ultimo aveva tenuto nei confronti della famiglia di vicini una condotta perdurante di persecuzione, e aveva reso le persone offese bersaglio di appostamenti, di danneggiamenti ripetuti. Ha accertato che tali condotte avevano ingenerato nei due coniugi uno stato perdurante di ansia e di paura, che aveva indotto la moglie a modificare le proprie abitudini di vita, evitando di uscire il più possibile di casa, da sola con il figlio minore, nel timore di subire aggressioni.

La responsabilità dell'imputato è stata riconosciuta dal Tribunale sulla scorta delle sole dichiarazioni delle persone offese.

Ripercorrendo l'indirizzo adottato da Cass. pen., sez. V, 26 aprile 2010, n. 27774, il Giudice monocratico ha sottoposto al vaglio critico le deposizioni rese dalle persone offese, ritenendo che non potesse sussistere dubbio sulla loro credibilità che, nelle denunce sporte nei confronti dell'imputato e, nelle dichiarazioni rese a dibattimento, erano state chiare, lineari, precise e prive di contraddizioni, né ha rinvenuto agli atti alcun intendimento calunnioso in capo alle stesse.

La questione

Il reato di «atti persecutori» di cui all'art. 612 bis c.p. è commesso da chi minacci o molesti taluno, con condotte reiterate, in modo da cagionargli un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerargli un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona a lui legata da relazione affettiva, ovvero da costringerlo ad alterare le proprie abitudini di vita.

Si tratta di individuare quali siano le condotte tipiche che, in ambito delle relazioni condominiali, possano essere ricondotte alla fattispecie degli atti persecutori di cui al predetto art. 612 bis c.p.

Infine è necessario stabilire anche sulla base di quali prove possa essere affermata la sussistenza del reato e la colpevolezza.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, l'ambiente condominiale genera conflitti di vario tipo. La forzata vicinanza tra le persone e l'inevitabile condivisione di spazi comuni, unite ad una sempre più diffusa diversità razziale, sociale, economica e culturale dei nuclei umani che vivono in condominio, causano alterazioni psicologiche tali da mettere in crisi la loro serenità emotiva.

Il reato di atti persecutori, previsto per dare adeguata risposta alle situazioni che confluiscono in condotte di seriali intimidazioni, è strutturato in modo da condurre ad una notevole flessibilità applicativa i cui estremi sono rappresentati da un lato dal persecutore ossessivo e violento che prende di mira una persona nota, ma con la quale non ha rapporti interpersonali, e dall'altro il persecutore che ha con la vittima una relazione interpersonale affettiva o, meglio, vorrebbe averla, ed i cui metodi di corteggiamento diventano così invadenti da divenire inaccettabili.

Nell'ambito condominiale, come nel caso di cui si discute, gli atti persecutori sono conseguenza dell'alterazione della psiche dell'autore, non sempre derivante da fattori patologici, ma anche da situazioni conflittuali occasionali.

Il fattore generatore può dipendere a volte da un motivo legittimo che diviene tuttavia teatro di condotte sproporzionate, che possono condurre anche all'esercizio arbitrario delle ragioni, ma, molto più spesso dipende da motivi immaginari o futili.

Nel condominio l'altrui fare, l'altrui usare gli spazi comuni, può generare fastidio, risentimento, invidia e propositi vendicativi, condotte che in taluni casi sfociano in molestie, minacce e intimidazioni che portano, se degenerano, agli atti persecutori.

D'altronde anche il caso trattato ne è un esempio: l'installazione di un servizio di videosorveglianza sull'antistante spazio comune da parte del singolo condomino ha causato una spropositata reazione del vicino il quale, per farsi giustizia da sé, ha dapprima effettuato avvertimenti e minacce verbali e, successivamente, ha posto in essere una condotta che è sfociata in danneggiamenti e in atti di violenza privata, degenerando sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, fino al punto di intimorire e minare gravemente la psiche delle sue vittime.

Il legislatore nell'introdurre il reato di cui all'art. 612 bis c.p. ha indirizzato la propria attenzione più che sulle condotte, sulle conseguenze di queste ultime che in concreto possano rendere applicabile la disposizione.

Una certa tipizzazione delle condotte è stata invece attuata dalla giurisprudenza la quale ha ricompreso nel reato varie ipotesi di minacce, molestie, violenza privata commesse in ambito condominiale con serialità o reiterazione.

L'estensione applicativa è assolutamente opportuna poiché lo spettro degli atti persecutori che un condomino possa compiere nei confronti di un altro nell'ambito di spazi comuni condivisi è ampio ed è riconducibile ad un'area complessa di condotte che superano quelle molestie che da sole rientrerebbero in un quadro di difficile punibilità.

In effetti ciò che distingue il reato di cui all'art. 612 bis c.p. rispetto a quelli contravvenzionali di cui agli artt. 660 c.p. (molestie), 612 c.p. (minaccia) è, innanzitutto, la reiterazione delle condotte e, in secondo luogo, il fatto che esse trasmodino in un clima intimidatorio tale da indurre nelle vittime uno stato di ansia o di paura, che le spinge a mutare le condizioni di vita.

Nella fattispecie in commento, il Tribunale di Bari ha accertato che l'imputato aveva, coscientemente e volontariamente, nonché reiteratamente molestato i vicini di casa facendone oggetto di una attenzione ossessiva, imposta attraverso minacce e continui atti di violenza fisica e verbale e di intrusione nella vita privata degli stessi ed aveva esercitato intimidazioni tali da indurli a denunciare più volte l'accaduto alle forze dell'ordine.

Poco importa se il fatto generatore sia stato l'installazione da parte delle vittime di un impianto di videosorveglianza sulla parte comune e se tale installazione costituisca o meno il legittimo esercizio di un diritto.

L'eventuale lesione della altrui privacy (ammesso che nel caso di specie l'installazione dell'impianto di videosorveglianza non fosse avvenuto nel rispetto delle cautele di cui d.lgs. n. 196/2003, c.d. «codice privacy») non giustifica in alcun modo la condotta del vicino, ossessiva (spesso sfociata anche in atti di violenza su cose e persone) che ha ingenerato nei coniugi paura e ansia per 1'incolumità propria e del figlio minore, nonché per la propria libertà personale.

A differenza delle ipotesi di cui agli artt. 612 e 660 c.p., il reato di cui all'art. 612 bis c.p. non si consuma per il solo fatto che l'azione intimidatoria sia portata a conoscenza della vittima, ma essendo reato di evento, si richiede il prodursi di una delle conseguenze descritte e tipizzate, ovvero il causare nella vittima stessa un perdurante e grave stato di ansia o di paura o ingenerarle un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona a lui legata da relazione affettiva, o infine il costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.

Il Tribunale ha anche accertato a carico dell'imputato il concorrente reato di cui all'art. 393 c.p. in quanto invece di adire le vie legali per esercitare il preteso diritto di far rimuovere l'impianto di videosorveglianza ha preferito agire da sé con le ripetute minacce rivolte alle vittime.

La decisione offre spunti interessanti in tema di prova. Il Giudice monocratico si è ispirato a quella giurisprudenza della Suprema Corte che, proprio in relazione alla fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p., ha chiarito che la penale responsabilità di un soggetto può essere affermata anche sulla scorta delle sole dichiarazioni della persona offesa, purché queste siano sottoposte ad un rigoroso vaglio critico (cfr. Cass. pen., sez. V, 26 aprile 2010, n. 27774).

Nella fattispecie il Giudice ha ritenuto credibili le persone offese osservando che nelle denunce sporte nei confronti dell'imputato e nelle dichiarazioni rese a dibattimento erano state chiare, lineari, precise e prive di contraddizioni.

Il contenuto delle dichiarazioni rese dalle persone offese risultava peraltro anche supportato da significativi elementi oggettivi di riscontro costituiti dalle immagini estrapolate dai filmati della telecamera di videosorveglianza e dai certificati medici in atti.

Osservazioni

La pronuncia in esame riafferma alcuni principi già resi dalla Suprema Corte in relazione al reato di stalking.

In particolare, ribadisce che integrano il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p. anche due sole condotte di minaccia o di molestia come tali idonee a costituire la reiterazione richieste dalla norma incriminatrice (Cass. pen., sez. V, 21 gennaio 2010, n. 6417) e che sono idonee ad integrare la fattispecie in questione anche ripetute comunicazioni telefoniche, ovvero mediante reiterato invio alla persona offesa di sms e di messaggi di posta elettronica o postati sui cosiddetti social network, come ad esempio Facebook (Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 32404).

Il reato di stalking è un reato abituale, caratterizzato dalla reiterazione di più condotte minacciose e moleste, tali da ingenerare nella vittima un perdurante stato di ansia o di timore per sé o per le persone care o tale da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita. Perché sussista la fattispecie delittuosa è quindi necessario in primo luogo il ripetersi e la reiterazione della condotta ed inoltre i comportamenti devono avere l'effetto di provocare in capo alla vittima disagi psichici o timore per la propria incolumità e quella di persone care ovvero pregiudizi per le abitudini di vita (Cass. pen., sez. V, 22 giugno 2010, n. 34015).

Per prima Cass. pen., sez. V, 15 maggio 2013 n. 39933 ha ricondotto alla figura dello stalking condominiale le condotte che si traducono nei reati di molestie e di minacce ripetute indistintamente ai danni di tutti i soggetti di uno stesso condominio in misura da indurre in ciascuno di loro uno stato di ansia.

Tale importante pronuncia ha stabilito il principio per cui gli atti molesti non devono essere rivolti necessariamente contro la stessa persona, ma anche contro una collettività di persone, come nel caso del condomino, essendo sufficiente che gli stessi si manifestino come ripetizione di atti definibili come persecutori e che, nel loro insieme, cagionino l'evento.

Nella fattispecie è stato ritenuto colpevole del reato chi, con ripetute condotte persecutorie, consistenti nell'insozzare con rifiuti di ogni genere e quasi quotidianamente l'abitazione e il cortile della persona offesa, induce nella medesima un perdurante e grave stato d'ansia e il fondato pericolo per la sua incolumità al punto da costringerla a trasferirsi altrove per alcuni periodi e a rinunciare ad intrattenere relazioni sociali presso la propria abitazione.

Si evidenzia anche che ai fini della integrazione del reato non si richiede l'accertamento di uno stato patologico in capo alla vittima ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Cass. pen., sez. V, 17 febbraio 2017, n. 18646).

Indubbiamente la condanna alla pena della reclusione dello stalker può in taluni casi non fungere da deterrente per evitare la perpetrazione del reato in futuro, specie nel caso in cui la pena venga sospesa e non vengano applicate misure alternative cautelari, come è il caso affrontato dal Tribunale di Bari qui in commento.

In ambito condominiale, la vicinanza tra autore del reato e vittima è tale che le condotte criminose potrebbero essere continuate e conseguentemente potrebbe essere vanificata la tutela della vittima stessa.

E allora quest'ultima, in alternativa alla querela o, in via preventiva, quando ancora l'evento non si sia consumato negli stati psicologici di cui all'art. 612 bis c.p., potrebbe rivolgersi al Questore al fine di chiedere l'ammonimento dello stalker (previsto dall'art. 8 del d.l. n. 11/2009), onde dissuaderlo dalle condotte poste in essere.

In quest'ultima ipotesi, in effetti, non si è ancora in presenza né di una notizia di reato in senso tecnico, né (conseguentemente) di un formale procedimento penale. Tuttavia qualora le condotte dell'agente iniziassero a trasformarsi in atti persecutori, esse potrebbero essere fermate in ambito amministrativo.

L'ammonimento, infatti, potrebbe esaurire i suoi effetti all'interno del procedimento amministrativo davanti al Questore e il procedimento penale non essere mai instaurato. L'istituto dell'ammonimento, infatti, nasce proprio allo scopo di evitare il procedimento penale, con una risposta extragiudiziale che sia, al contempo, tempestiva per la persona che chiede tutela, e non sanzionatoria per il presunto stalker.

Ma anche in sede di condanna potrebbero essere efficacemente disposte delle misure cautelari che, in concreto, appaiano funzionalmente predisposte a contrastare il pericolo di reiterazione del reato (e, quindi, ad evitare le possibilità di contatto o di comunicazione tra lo stalker e la vittima), come il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e, se necessario, anche di quelli abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva (cfr. art. 282 ter c.p.p.; norma inserita dall'art. 9 dello stesso d.l. n. 11/2009 che ha introdotto il delitto di stalking.

Guida all'approfondimento

Marcelli, Escluso l'ordine di allontanamento per lo "stalker" condominiale: quale tutela cautelare? in Cassazione penale, 2016, fasc. 4, pag. 1668

Macrì, Stalking condominiale: progressiva tipizzazione giurisprudenziale di un reato a forma libera, in Resp. Civ. e Prev., 2014, fasc. 1, pag. 122

Luini, “Stalking” condominiale, in Archivio delle locazioni e del condominio, 2013, fasc. 3, pag. 277

Minnella, Spazi sempre più ampi per lo ''stalking'' condominiale e la sua tutela cautelare, in Il Corriere del Merito, 2013, fasc. 6, pag. 652

Pulvirenti, Note problematiche su alcuni profili procedimentali del delitto di “atti persecutori” (Stalking), in Dir. Famiglia, 2011, fasc. 2, pag. 939

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