Immobile in comodato destinato ad uso familiare: l'erede del comodante non può chiederne la restituzione ad nutum

Maurizio Tarantino
23 Aprile 2018

Chiamato ad accertare la fondatezza della domanda di restituzione ad nutum di un immobile concesso in comodato, la Corte d'Appello di Salerno, ritenendo la domanda infondata, ha evidenziato che, in presenza di un immobile concesso per soddisfare le esigenze abitative della famiglia...
Massima

Il coniuge separato e assegnatario dell'abitazione già attribuita in comodato, che opponga alla richiesta di rilascio del comodante l'esistenza di una destinazione dell'immobile a casa familiare, ha l'onere di provare che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento, mentre spetta a chi invoca la cessazione del comodato dimostrare il sopraggiungere del termine fissato per relationem e, dunque, l'insorgere della sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.

Il caso

Tizia (erede di Sempronio) aveva proposto appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno con la quale veniva rigettata la sua domanda di restituzione dell'immobile concesso in comodato. Tale richiesta era fondata sul presupposto della morte dell'originario comodante (Sempronio) e sulla base della considerazione che il bene non era stato utilizzato secondo la sua destinazione. Per meglio dire, a parere dell'appellante, il giudice di primo grado aveva errato nella statuizione circa la legittima destinazione ad uso abitativo impressa al bene originariamente concesso in comodatoad uso deposito, in violazione del disposto di cui all'art 1804 c.c. e delle norme urbanistiche che non consentono un mutamento di fatto della destinazione d'uso del bene. Inoltre veniva contestata la erronea pronunzia di rigetto della domanda anche sotto il profilo dello scioglimento del vincolo contrattuale per morte del comodante in quanto, nel comodato in esame, non era stata indicata alcuna scadenza e dunque gli eredi, a parere della appellante, dovevano subentrare nel diritto di richiedere la restituzione ad nutum come previsto dall'art. 1810 c.c. Infine, l'appellante contestava il generico riferimento contenuto in sentenza alle esigenze familiari e precisava di aver comprovato l'urgente ed imprevedibile bisogno ex art. 1809 c.c.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: è nullo il contratto di comodato di un immobile indicato come deposito e di fatto utilizzato ad uso abitativo? Alla morte del comodante, l'erede può chiedere la restituzione ad nutum dell'immobile concesso in comodato nei confronti dei comodatari per esigenze familiari?

Le soluzioni giuridiche

Dall'espletata istruttoria di causa era emerso che la originaria domanda di rilascio risultava formulata sotto due differenti profili, entrambi rigettati dal Tribunale e oggetto di doglianze specifiche in appello: il primo relativo al mutamento di destinazione d'uso dell'immobile concesso in comodato per uso deposito e poi adibito ad uso abitativo; il secondo relativo al decesso del comodante come causa di estinzione del comodato.

In ordine al primo motivo di gravame - a parere della Corte di merito - il contestato mutamento di destinazione dell'immobile non era di per sé causa di nullità del contratto anche se effettuato in dispregio delle norme urbanistiche che hanno valore ed effetto a fini diversi. Difatti, sul piano civilistico (art. 1804 c.c.), opera solo il principio secondo cui il comodatario non può servirsi del bene che per l'uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa. Proprio in merito all'uso determinato, la deduzione fattuale a sostegno della domanda dell'appellante non ha trovato riscontro in quanto l'immobile era stato destinato dal comodatario ad uso abitativo per esigenze familiari.

Quanto al secondo motivo di gravame (restituzione del bene ad nutum a seguito della morte del comodante), i giudici della Corte territoriale hanno evidenziato che l'immobile, oggetto del contratto di comodato stipulato tra Sempronio (comodante e dante causa della parte appellante Tizia) e Mevio, figlio di Sempronio ed ex marito della parte appellata Caia, risultava essere stato assegnato a quest'ultima in sede di separazione. Si trattava, dunque, nel caso di specie di fare piena applicazione del tipo contrattuale al quale era stato ricondotto il comodato di casa familiare (art. 1809 c.c.).

A tal proposito, la Corte d'appello di Salerno, richiamando i principi consolidati in giurisprudenza, ha evidenziato che il comodato di immobile pattuito per la destinazione a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, può essere individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista da inquadrare nella generale fattispecie di contratto in cui il termine risulta dall'uso cui la cosa è stata destinata. Pertanto il coniuge assegnatario della casa familiare può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale, è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile (Cass. civ., sez. un., 29 settembre 2014, n. 20448; Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 2016, n. 2506).

Premesso quanto innanzi esposto, a fronte di questa scelta (comodato con destinazione familiare), a parere della Corte di Salerno, nella fattispecie in esame non può trovare tutela l'intenzione dell'appellante di rimuovere l'occupante (beneficiario) dall'immobile in comodato in quanto non è stato dimostrato in giudizio la sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809, comma 2, c.c.); invero, solo in sede di gravame, la parte appellante aveva eccepito che a seguito del decesso del coniuge e dello stato di disoccupazione del figlio si sarebbe determinata la necessità di disporre dell'immobile. Tuttavia, tali deduzioni fattuali, rappresentate per la prima volta, sono state dichiarate tardive e comunque non dirimenti in quanto la sola morte del coniuge non determina lo stato di necessità e lo stato di disoccupazione del figlio non appariva connesso alla necessità dedotta dalla madre.

Per i motivi esposti, l'appello è stato rigettato e, di conseguenza, è stata confermata la sentenza di primo grado.

Osservazioni

Il codice civile prevede due tipi di comodato: con e senza determinazione di durata.

Il primo si ha quando le parti hanno espressamente convenuto il tempo in cui il comodatario potrà utilizzare la cosa o comunque quando il termine, entro cui restituirla, risulti dall'uso a cui la stessa deve essere destinata. In questo caso, il comodante potrà chiedere la restituzione della cosa, prima dello spirare del termine stabilito o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, solo laddove sia sopravvenuto un suo urgente e imprevedibile bisogno (art. 1809 c.c.).

Se invece i contraenti non hanno convenuto un temine, né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodante potrà richiedere in ogni momento la restituzione del bene (art. 1810 c.c.).

Premesso ciò, è importante sottolineare che in caso di comodato con uso determinato (casa familiare), possono sorgere problemi nel momento in cui i coniugi decidano di separarsi con assegnazione dell'immobile al coniuge a cui vengono affidati i figli; in questo caso non è del tutto chiaro quando il comodante possa chiedere la restituzione dell'immobile.

Sin dal 2004 i giudici di legittimità avevano affermato che con il contratto di comodato stipulato in favore di un nucleo familiare, ove le parti avevano inteso destinare l'immobile alle esigenze abitative della famiglia e conseguentemente conferire a tale uso il carattere implicito della durata del rapporto, legittimava la richiesta di restituzione solo per un grave e impreveduto bisogno del comodante (Cass. civ., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13603, c.d. orientamento “familiarista”).

Successivamente, la Corte di Cassazione si era espressa in senso diametralmente opposto, affermando che il contratto con cui viene concesso un immobile a una coppia di sposi, affinché gli stessi lo adibiscano a casa familiare, è un comodato senza determinazione di durata («comodato precario» previsto dall'art. 1810 c.c.) e quindi il comodante può chiedere in ogni momento la restituzione della cosa, non assumendo, per tale indirizzo, alcun rilievo il fatto che l'immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato in sede di separazione (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2010, n. 15986, c.d. orientamento «contrattualista»).

A distanza di dieci anni, le Sezioni Unite con la sentenza n. 20448 del 29 settembre 2014 hanno chiarito e risolto meglio l'empasse degli orientamenti contrastanti. Secondo quest'ultimo orientamento, mentre nel comodato precario ex art. 1810 c.c., è consentito il rilascio al comodatario ad nutum; invece con il comodato con termine di durata (1809 c.c.), il contratto è caratterizzato dalla facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell'immobile solo in caso di sopravvenienza di un urgente e sopravvenuto bisogno. Sicché, a quest'ultima forma contrattuale, deve essere ricondotto quel comodato di immobile destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario.

Quindi, con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite del 2014 hanno confermato la prevalenza dell'orientamento «familiarista» su quello «contrattualista»: «La risposta è nel segno di rispettare il potere di disposizione del bene, quale esercitato al sorgere del contratto. Se il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario, corrisponde al diritto che esso perduri fino al venir meno dell'esigenza della famiglia».

Tale ultimo orientamento ha trovato conferma nelle successive pronunce di merito e di legittimità; tra queste, di particolare importanza vi è l'ordinanza della Cassazione secondo la quale nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, la volontà di assoggettare il bene a vincoli d'uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positivamente accertata, dovendo, in mancanza, essere adottata la soluzione più favorevole alla sua cessazione; parimenti, nell'ipotesi in cui il vincolo matrimoniale del comodatario sopravvenga in corso di rapporto, occorre la prova che il proprietario abbia inteso, in virtù di scelta sopravvenuta, trasformare la natura del comodato, rispetto alla sua precedente finalità, ancorando la destinazione del bene alle esigenze del gruppo familiare neocostituito (Cass. civ., sez. III, 18 agosto 2017, n. 20151).

In conclusione, si evidenzia che il proprietario dell'immobile, in sede processuale, potrà chiedere la restituzione dell'immobile solo «in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno» inteso come imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione che consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare; in tal caso, è importante che il giudice eserciti con la massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.

Guida all'approfondimento

Frivoli - Tarantino, Immobile ad uso abitativo: locazione e comodato, Admaiora, 2017, 240;

Frivoli - Tarantino, Il contratto di comodato nei rapporti di famiglia, Milano, 2014, 31;

Contiero, L'assegnazione della casa coniugale, Milano, 2007, 251.

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