Operazione complessa e ruolo del rappresentante IVA

Fabrizio Papotti
26 Aprile 2018

L'Autore commenta la decisione presa dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 3872/2018, dove viene sancito che il soggetto non residente non può utilizzare il rappresentante IVA italiano solo per determinate transazioni (in ispecie, gli acquisti) e non per altre (le cessioni), qualora tali transazioni facciano parte di un'operazione complessa, com'è un subappalto affidato per la realizzazione di una piattaforma petrolifera.
Massima

Il soggetto non residente non può utilizzare il rappresentante IVA italiano solo per determinate transazioni (in ispecie, gli acquisti) e non per altre (le cessioni), qualora tali transazioni facciano parte di un'operazione complessa, com'è un subappalto affidato per la realizzazione di una piattaforma petrolifera.

La natura unitaria, propria dell'operazione complessa, comporta, fra l'altro, il divieto di frazionamento e scomposizione, che si verificherebbe se il soggetto non residente decidesse di operare tramite rappresentante IVA per alcune transazioni e direttamente dall'estero per altre.

Il caso

La vicenda, oggetto della sentenza in commento, risale al 2004, anno nel quale la società croata Brodo More D.o.o. ha nominato un rappresentante IVA in Italia (con conseguente apertura di partita italiana) per eseguire un subappalto affidatole per la costruzione di una piattaforma petrolifera, commissionata da quattro società riunite in associazione temporanea di imprese.

Per gli acquisti dei beni occorrenti per il lavoro, la società croata ha utilizzato la partita IVA italiana, coinvolgendo il rappresentante IVA. I fornitori italiani hanno, pertanto, fatturato IVA le vendite con addebito di IVA al rappresentante medesimo.

Una volta lavorati, i beni stessi, che si trovavano in Italia, sono stati ceduti alle società italiane direttamente dalla società non residente senza utilizzare il rappresentante IVA. Le società acquirenti hanno, quindi, provveduto ad emettere autofattura per gli acquisti.

Poiché la posizione IVA italiana della società croata era creditoria, la medesima aveva chiesto il rimborso, mediante la procedura riservata ai soggetti residenti. Tuttavia, l'Agenzia aveva negato il rimborso ritenendo elusivo il comportamento della società, colpevole di aver generato volutamente un credito IVA.

La questione

La questione verte sull'obbligo di utilizzo del rappresentante IVA per tutte le operazioni poste in essere in un Paese.

In particolare, come indicato nell'ordinanza di rimessione, la Corte è stata chiamata a verificare se il soggetto non residente, una volta che abbia provveduto alla nomina di rappresentante IVA o che si sia identificato direttamente ai fini IVA, ai sensi dell'art. 35-ter del d.P.R. n. 633/1972, abbia l'obbligo o meno di utilizzare tale rappresentante per tutte le operazioni che effettua sul territorio nazionale e se, di conseguenza, gli sia preclusa la possibilità di compiere direttamente le operazioni di cessione nei confronti di soggetti residenti nel territorio nazionale.

La soluzione giuridica

La risposta della Corte prende le mosse dalla constatazione che la fattispecie ha riguardato l'esecuzione di un contratto, (qualificato di appalto o subappalto) relativo alla costruzione di una piattaforma petrolifera, comprensivo di attività di varia natura. Si è, quindi, trattato di un'operazione economica complessa, ma oggettivamente unitaria, in quanto i singoli atti compiuti dalla società contribuente sono “strettamente connessi e riconducibili ad una prestazione unica, sotto il profilo – che è quel che rileva in materia – della sua sostanza economica”.

Ai fini IVA, un'operazione che si qualifichi come operazione economica complessa, non può essere oggetto di scomposizione o scissione. Tale conclusione è supportata anche da copiosa giurisprudenza soprattutto della Corte di Giustizia. In quella sede è stato, infatti, affermato in più occasioni che ciascuna operazione dev'essere considerata di regola come autonoma e indipendente, ma che l'operazione costituita da un'unica prestazione sotto il profilo economico non dev'essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell'IVA.

Tale principio è consolidato e si ritrova in numerose pronunce (come, tra le altre, la sentenza 27 ottobre 2005, C-41/04, Levob).

Ne deriva che il soggetto non residente, una volta avvalsosi del rappresentante fiscale per l'acquisto di beni costituente il primo segmento di una complessa ma oggettivamente unitaria operazione economica e, quindi, optato, in ordine a questa, per l'applicazione dell'IVA secondo il regime ordinario, non può poi agire direttamente, con applicazione del regime del reverse charge, in relazione ad altri atti o prestazioni inerenti alla medesima unica operazione, causandone in tal modo un artificioso frazionamento.

Osservazioni

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione fornisce una risposta all'interrogativo se sia ravvisabile un obbligo in capo al soggetto non residente di utilizzo del rappresentante IVA italiano (ovvero, che è lo stesso, della partita IVA italiana) per compiere tutte le operazioni attive e passive poste in essere nel Paese.

La risposta, affermativa, resta però volutamente circoscritta all'ipotesi, oggetto della controversia, delle operazioni economiche complesse, come il subappalto. Infatti, la Corte stessa afferma che “resta priva di rilievo, pertanto, la questione, di più vasta portata, sollevata con l'ordinanza di rimessione” e rinuncia ad affrontare il tema, più ampio, dell'obbligatorietà di utilizzo della partita IVA da parte del soggetto non residente.

Occorre, inoltre, mettere in evidenza che la controversia de qua è sorta nel 2004, quindi in vigenza della normativa anteriore a quella introdotta con il D.Lgs. n. 18/2010.

All'epoca dei fatti, il ruolo del rappresentante IVA era quello di qualificare come “stabilito” il soggetto non residente. Ciò comportava che:

  • gli acquisti di beni, rilevanti in Italia, erano fatturati con addebito di IVA al rappresentante IVA del soggetto estero;
  • le cessioni di beni, rilevanti in Italia, erano fatturate con addebito di IVA dal rappresentante IVA italiano, con utilizzo ovviamente della partita IVA italiana. Solo nel caso in cui il soggetto non residente non avesse una partita IVA in Italia (aperta a seguito di nomina di rappresentante IVA o di identificazione diretta), il cliente italiano (soggetto passivo IVA) doveva procedere ad auto fatturare l'operazione.

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 18/2010:

  • gli acquisti di beni, rilevanti in Italia, sono ancora fatturati con addebito di IVA al rappresentante IVA;
  • le cessioni di beni, rilevanti in Italia, sono autofatturate dal cliente italiano, se soggetto passivo IVA.

Quanto sopra può essere riassunto nella seguente Tabella:

Regime previgente

(in vigore all'epoca della fattispecie oggetto della sentenza n. 3872/2018)

Regime successivo al D.Lgs. n. 18/2010

Acquisti di beni effettuati in Italia dal non residente dotato di un rappresentante IVA

Il fornitore italiano fatturava con addebito di IVA italiana al rappresentante IVA italiano

Il fornitore italiano fattura con addebito di IVA al rappresentante IVA italiano

Cessioni di beni effettuate in Italia dal non residente dotato di un rappresentante IVA

Il rappresentante IVA italiano fatturava con IVA italiana all'acquirente italiano

L'acquirente italiano, se soggetto passivo IVA, autofattura l'operazione di acquisto. Le operazioni non passano per la partita IVA italiana del soggetto non residente

È evidente, pertanto, che, sulla base della normativa IVA vigente, mentre gli acquisti effettuati in Italia dal soggetto non residente, transitano per il suo eventuale rappresentante IVA italiano, le cessioni sono comunque oggetto di autofattura da parte dell'acquirente Italiano (sempreché soggetto passivo IVA) e ciò si verifica:

  • sia che il cedente non residente abbia una posizione IVA in Italia (rappresentante IVA o identificazione diretta);
  • sia che ne sia privo.

L'ambito oggettivo e temporale della pronuncia non deve, tuttavia, far sottovalutarne l'importanza, anche considerato che non risultano altre pronunce sull'argomento.

Non si possono che condividere le considerazioni svolte dalla Corte in merito all'operazione economica complessa, anche alla luce delle interpretazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria italiana in alcune occasioni.

In proposito, si può ricordare quanto affermato dall'Amministrazione finanziaria nella Risoluzione 23 maggio 2002, n. 153/E, secondo la quale “l'esatta qualificazione della fattispecie dovrebbe essere desunta principalmente dal contenuto del contratto stipulato con il committente, ed in particolare dal fatto che le diverse attività vengano dedotte in contratto come prestazioni autonome o invece come attività interne strumentali al risultato finale (…). In quest'ultima ipotesi, la separata evidenza in fattura delle singole attività delle quali si compone la complessa prestazione, rileva solo ai fini della individuazione degli elementi da cui è composto il corrispettivo della stessa”.

Coerentemente, secondo quanto espresso nella Risoluzione 6 agosto 2002, n. 267/E, la qualificazione giuridica delle prestazioni di servizi “complesse” richiede uno sforzo interpretativo, da parte dell'interprete, volto a considerare “tutte le circostanze nelle quali si svolge l'operazione considerata, tenendo conto che ciascuna prestazione di servizio deve essere considerata, di regola, autonoma ed indipendente e che, d'altro canto, la prestazione costituita da un unico servizio sotto il profilo economico non deve essere suddivisa in più parti per non alterare il sistema di funzionalità dell'IVA”.

Questi orientamenti manifestati dall'Amministrazione italiana appaiono in linea con gli arresti giurisprudenziali della Corte di Giustizia UE, secondo i quali è indispensabile evitare arbitrarie segmentazioni della prestazione “complessa” qualora la volontà delle parti sia quella di considerare la prestazione eseguita quale unicum inscindibile e tale considerazione derivi dal rapporto di dipendenza funzionale che lega tra loro le singole prestazioni.

Tale unicum inscindibile sembra essere ben presente in contratti come l'appalto dove tutte le prestazioni e cessioni sono convogliate verso la realizzazione del risultato atteso.

Nella sinteticissima argomentazione svolta dalla Corte sembra però mancare l'anello di congiunzione tra il divieto di frazionamento dell'operazione complessa e l'obbligo di utilizzo della partita IVA italiana, da parte del subappaltatore non residente, per tutte le transazioni poste in essere in relazione a tale operazione complessa.

Sotto questo profilo sembra però possibile affermare che, una volta assodata la complessità dell'operazione, tale caratteristica produce effetti anche sulla fatturazione, imponendo la coerenza delle sue modalità.

Sembrerebbe potersi dedurre, allora, che tale coerenza non debba essere garantita nei casi di operazioni che non si configurano come complesse. In queste circostanze, il soggetto non residente ben potrebbe optare per la spendita della partita IVA per alcune operazioni e non per altre, sempreché il suo operato non sia dettato da finalità elusive o dal tentativo di realizzare una frode.

Ma conferma (o meno) di questo si sarebbe avuta se la Corte si fosse pronunciata su tutta la domanda posta dall'ordinanza di rimessione.

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