Contratti simulati tra società sportiva e società erogatrice di servizi: annullati atti impositivi in mancanza di prova

27 Aprile 2018

In assenza di prova idonea a dimostrare che un contratto tra una società sportiva e una società erogatrice di servizi nei confronti del calciatore sia simulato, non è possibile ascrivere i compensi percepiti dalla società erogatrice dei servizi al reddito di lavoro dipendente del calciatore.
Massima

In assenza di prova idonea a dimostrare che un contratto tra una società sportiva e una società erogatrice di servizi nei confronti del calciatore sia simulato, non è possibile ascrivere i compensi percepiti dalla società erogatrice dei servizi al reddito di lavoro dipendente del calciatore.

Il caso

A seguito di verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Lecce, provvedeva a notificare all'Unione Sportiva Lecce s.p.a.:

  • un avviso di accertamento con il quale veniva contestato alla società sportiva di aver omesso di effettuare e versare ritenute d'acconto sui compensi erogati a favore di più società che avevano affiancato e assistito i calciatori durante la stagione calcistica 2008/2009/2010;
  • un atto di contestazione con il quale venivano irrogate sanzioni relative all'omesso versamento delle ritenute alla fonte, di cui all'art.13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, per gli anni d'imposta 2008-2009-2010, relative a eventuali fringe benefit corrisposti ai vari calciatori.

Avverso tali atti impositivi, l'U.S. Lecce proponeva due distinti ricorsi innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, deducendo:

  • da un lato, l'illegittimità dei suddetti atti, poiché frutto di mere presunzioni non sorrette da alcuna certezza probatoria;
  • dall'altro, la non debenza della sanzione irrogata con atto di contestazione, poiché essa presupponeva il mancato pagamento/versamento di quanto autoliquidato dal contribuente nella propria dichiarazione dei redditi (e tanto nel caso di specie non si era verificato).

In entrambi i procedimenti, si costituiva l'Agenzia delle Entrate, insistendo sulla debenza delle ritenute alla fonte sui compensi erogati alla società facente capo ai procuratori dei singoli calciatori, in quanto configuranti veri e propri fringe benefit. L'Ufficio, infatti, presumeva che i contratti tra l'U.S. Lecce e alcune società facenti capo ai procuratori, fossero in realtà contratti simulati, poiché le prestazioni di servizi resi in favore dei calciatori, oggetto di tali contratti, in realtà, non sarebbero mai state eseguite e le relative somme sarebbero state finalizzate a elargire un compenso al procuratore, per conto del singolo calciatore. In buona sostanza l'A.F. ribadiva che tali costi fossero da considerare componenti della retribuzione del calciatore (fringe benefit) da assoggettare a ritenuta ai sensi dell'art. 23 d.P.R. n. 600/1973.

Di seguito, l'Unione Sportiva Lecce, a conforto della propria difesa, depositava ulteriori memorie, ribadendo come i contratti in oggetto non fossero contratti simulati, bensì c.d. contratti di affiancamento. Sul punto venivano citate anche due precedenti pronunce della CTP Lecce – sez. 5 – 14 dicembre 2015, n. 4000 e 29 giugno 2017, n. 2250 con le quali, in casi analoghi, era stato correttamente posto in evidenza:

  • che non poteva non riconoscersi l'interesse della società sportiva ad assicurare ai calciatori tesserati il massimo confort psico-fisico; e che tanto poteva avvenire solo attraverso la stipula di un contratto tra la società sportiva e le società di intermediazioni dei calciatori (c.d. contratto di affiancamento). In buona sostanza, a dire della ricorrente, si trattava di contratti “veritieri”, tesi ad assicurare che gli intermediari garantissero alla U.S. Lecce il massimo rendimento dei calciatori.

Ebbene, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce – sez. 5 – investita delle controversie, ha accolto le tesi difensive dell'Avvocato Maurizio Villani.

I giudici di merito hanno ritenuto che, in assenza di prova che il contratto tra la società sportiva e la società erogatrice di servizi nei confronti del calciatore fosse simulato, non era possibile ascrivere i compensi percepiti dalla società erogatrice dei servizi al reddito di lavoro dipendente del calciatore.

La questione

La questione ha origine dall'impugnazione di due atti impositivi (avviso di accertamento e atto di contestazione) emessi nei confronti della società l'U.S. Lecce a seguito di controllo della Guardia di Finanza. Quest'ultima aveva, infatti, accertato che la società aveva omesso di effettuare e versare ritenute d'acconto su compensi corrisposti ad agenti/procurati di alcuni calciatori, che in realtà si riferivano a compensi che i singoli giocatori avrebbero dovuto corrispondere ai propri agenti.

Sosteneva, invero, l'Ufficio che le suddette somme costituivano debito del singolo calciatore nei confronti del proprio agente e che, quindi, il costo sostenuto dalla U.S. Lecce doveva considerarsi remunerazione in natura corrisposta al calciatore (c.d. fringe benefits) e per la quale avrebbe dovuto essere versata la ritenuta d'acconto dell'IRPEF.

Di conseguenza i contratti conclusi tra l'Unione Sportiva Lecce e le società facenti capo ad alcuni procuratori dovevano ritenersi meri contratti simulati.

I fringe benefits

I fringe benefit sono beni e servizi concessi ai dipendenti costituenti una forma di retribuzione aggiuntiva finalizzata ad agevolare o incentivare i soggetti beneficiari nello svolgimento delle proprie mansioni. I fringe benefits sono definiti nel c.c. all'art. 2099 come parte della retribuzione "con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”. Si tratta, quindi, di beni e servizi aggiuntivi o integrativi liberamente dati o contrattualmente previsti aventi lo scopo di incentivare e fidelizzare i dipendenti. Tali compensi in natura costituiscono costi deducibili per la società che li corrisponde, ma devono essere inclusi nella retribuzione del dipendente, operando su di essi le ritenute di acconto da parte del sostituto d'imposta.

Nel caso in commento, a parere dell'Ufficio, la natura di fringe benefit doveva farsi derivare dal pagamento da parte della società sportiva di un servizio reso da parte dei procuratori sportivi nei confronti di alcuni calciatori.

Presunzione e contratti simulati

Alla base dell'accertamento de quo vi è poi la presunzione che i contratti tra l'U.S. Lecce e le società facenti capo ad alcuni procuratori fossero in realtà contratti simulati, perché le prestazioni in favore dei calciatori non sarebbero mai state eseguite e le relative somme elargite al fine ultimo di corrispondere un compenso al procuratore, per conto del singolo calciatore. La presunzione si è basata unicamente sul presupposto che dette società fossero riconducibili ai rappresentanti di calciatori che per regolamento Fifa non possono rappresentare più di una parte. Ebbene, i giudici tributari, con la sentenza in commento, hanno disatteso la tesi dell'Ufficio e chiarito che il regolamento della Federazione italiana gioco calcio, con le modifiche intervenute dal 1° aprile 2015, ha specificato che il procuratore sportivo può operare sia nell'interesse di una sola parte contrattuale, che nell'interesse di più parti, purché ci sia il consenso scritto tra le parti (tale modifica regolamentativa automaticamente dispone la non assoggettabilità in capo al calciatore dei compensi percepiti dall'agente).

È evidente, pertanto, come nel caso de quo la presunzione posta alla base dell'attività accertativa sia risultata priva dei requisiti necessari di gravità, precisione e concordanza e, dunque, anche carente di certezza probatoria.

La soluzione giuridica

Sulla base di tali argomentazioni i giudici della V sezione della CTP di Bari – sez. distaccata di Lecce - con le sentenze. nn. 1058 e 1061 hanno accolto la tesi della ricorrente e sono pervenuti alla conclusione che “(…) in assenza di prova certa che il contratto tra la società sportiva e la società erogatrice di servizi nei confronti del calciatore fosse simulato non era possibile ascriverei compensi percepiti dalla società erogatrice dei servizi a reddito di lavoro dipendente del calciatore”.

In buona sostanza, a parere della Commissione, l'Ufficio non aveva fornito adeguata prova a sostegno della sussistenza dei contratti simulati e quindi del presunto rapporto trilaterale tra la società sportiva, la società di intermediazione e i calciatori.

A sostegno di tanto, i primi giudici hanno anche stabilito che la società beneficiaria di tali compensi era una società di capitali con propria personalità giuridica che aveva percepito i compensi da parte dell'Unione Sportiva LECCE S.p.A. e, quindi, non soggetta al versamento delle ritenute in qualità di sostituto di imposta.

Di conseguenza, non potendosi configurare l'esistenza di obbligo di versamento di ritenuta d'acconto sui redditi di lavoro dipendente, perché i rapporti commerciali erano intercorsi tra società le cui prestazioni non generavano il pagamento delle ritenute d'acconto, non poteva essere applicata, altresì, la sanzione per omesso versamento delle ritenute alla fonte, né potevano essere ascritti i compensi percepiti dalla società erogatrice dei servizi al reddito di lavoro dipendente del calciatore.

Osservazioni

In conclusione, occorre rilevare che con le sentenze in commento, i giudici tributari hanno correttamente ritenuto, che in assenza di prova che il contratto tra una società sportiva e la società erogatrice di servizi nei confronti del calciatore fosse simulato, non è possibile ascrivere i compensi percepiti dalla società erogatrice dei servizi al reddito di lavoro dipendente del calciatore; di converso, la prova che i contratti in oggetto non fossero simulati, bensì di affiancamento è risultata essere insita nel fatto che il benessere psico-fisico dei calciatori è una priorità e che tali contratti stipulati tra le società sportive e le società di intermediazione dei calciatori sono spesso finalizzati a garantire una migliore prestazione sul campo di calcio con conseguente incremento economico per la società nella quale il calciatore è tesserato.

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