Danno non patrimoniale da inadempimento: il caso del banchetto di nozze rovinato

30 Aprile 2018

In caso di inadempimento, la riparazione del danno non patrimoniale deve aver luogo soltanto ove ricorra una delle ipotesi espressamente previste dalla legge o sussista la lesione di diritti inviolabili della persona, oppure i limiti al risarcimento devono essere esclusivamente quelli posti dalla disciplina contrattuale?
Massima

Il danno non patrimoniale da inadempimento è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza della lesione di un diritto inviolabile ovvero dalla ricorrenza di una previsione di legge, considerato che in ambito contrattuale sono le parti a individuare gli interessi ritenuti meritevoli di tutela.

La risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali appare assoggettata ai limiti previsti dalla disciplina contrattuale, tra i quali è compresa la regola secondo cui non possono trovare tutela le compromissioni non prevedibili al momento in cui il contratto è stato concluso.

Il caso

A fronte del decreto ingiuntivo relativo al pagamento della somma dovuta quale corrispettivo per il proprio ricevimento nuziale, i due sposi propongono opposizione e chiedono in via riconvenzionale, alla società incaricata del servizio di ristorazione, la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti a causa dell'inadempimento della prestazione dovuta. Nel corso del banchetto molti invitati avevano presentato sintomi di intossicazione alimentare, con forti dolori addominali e disturbi gastro-intestinali, a causa del cibo avariato: in effetti, durante il ricevimento sono stati serviti – come confermato dalle successive analisi effettuate dall'Azienda sanitaria – acqua e altri alimenti, in cattivo stato di conservazione, contenenti cariche microbiche ben superiori ai limiti legali. Accertato il grave inadempimento contrattuale, si tratta di stabilire se possa essere accolta la domanda risarcitoria avanzata dalla coppia, in relazione alla richiesta di ristoro del danno morale, per la delusione, rabbia e dispiacere sofferti, ed esistenziale, relativamente al discredito patito presso gli inviati.

La questione

In caso di inadempimento, si tratta di stabilire se la riparazione del danno non patrimoniale debba aver luogo – secondo la medesima regola applicabile in ambito aquiliano – soltanto ove ricorra una delle ipotesi espressamente previste dalla legge o sussista la lesione di diritti inviolabili della persona, oppure se i limiti al risarcimento debbano essere esclusivamente quelli posti dalla disciplina contrattuale.

Le soluzioni giuridiche

Nell'affrontare la richiesta di risarcimento avanzata da una coppia per i danni conseguenti al grave inadempimento della società di ristorazione cui era stato affidato il banchetto di nozze – completamento rovinato in seguito all'intossicazione alimentare sofferta da numerosi invitati - la sentenza in commento rammenta quale sia la posizione enunciata al riguardo dalle Sezioni Unite, nelle celebri pronunce del 2008 (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26973; Cass. civ., Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26974; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26975): secondo i giudici di legittimità, in caso di inadempimento contrattuale il diritto alla riparazione del danno non patrimoniale è ammesso nelle ipotesi previste dalla legge oppure quando vi sia stata la lesione di diritti inviolabili della persona. L'estensione all'inadempimento della medesima regola limitativa applicabile all'illecito civile non viene – tuttavia - ritenuta condivisibile dal tribunale, il quale osserva che in ambito contrattuale non è la legge a stabilire quali siano gli interessi da presidiare, ma sono le parti a individuare gli interessi che ritengono meritevoli di tutela. Si afferma, pertanto, che – qualora alla base del contratto vengano posti interessi non economici, ancorché non inerenti a diritti inviolabili - i pregiudizi di carattere morale e/o esistenziale provocati dalla relativa lesione sono senz'altro suscettibili di ristoro. In caso contrario, ove la tutela fosse limitata alle ipotesi (previste dalla legge ovvero) di lesione di diritti inviolabili, il debitore potrebbe sciogliersi unilateralmente dall'obbligazione senza pagare alcun costo diverso da quello corrispondente alla mancata percezione del corrispettivo.

La sentenza rileva che la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento – una volta sottratta alle limitazioni previste dall'art. 2059 c.c. – non appare incondizionata, in quanto vengono a operare i filtri previsti in ambito contrattuale, in base ai quali risulta che:

  • l'interesse non patrimoniale che si assume leso deve essere desumibile dal contratto;
  • l'inadempimento deve essere grave, per cui non può assumere scarsa importanza;
  • il danno dev'essere conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento;
  • secondo quanto previsto dall'art. 1225 c.c., il danno dev'essere prevedibile al momento in cui il contratto è stato concluso.

In applicazione di tali regole, il tribunale osserva che, nel caso di specie, l'interesse principale perseguito nel contratto corrispondeva alla buona riuscita del banchetto nuziale, per cui andranno senz'altro risarciti di danni non patrimoniali provocati dall'esito disastroso del ricevimento.

Sul versante del danno morale, il pregiudizio viene identificato con la rabbia e il dispiacere sofferti per la festa di nozze rovinata, nonché l'imbarazzo provato nei confronti degli invitati: danno che viene liquidato dal tribunale nell'importo di duemila euro per ciascuno dei due coniugi (richiamando un parallelismo con la somma usualmente liquidata per ingiurie e diffamazioni non gravi).

Per quel che concerne il danno esistenziale, il tribunale mette in evidenza la brutta figura cui sono andati incontro gli sposi di fronte ai propri ospiti, considerato che durante il ricevimento gran parte degli invitati era finita rinchiusa nei bagni, o addirittura costretta ad abbandonare il banchetto anzitempo per recarsi al Pronto Soccorso. A fronte del discredito e della cattiva impressione lasciata ai propri ospiti, il pregiudizio viene liquidato in una somma pari a tremila euro per ciascuno dei coniugi.

La sentenza in commento ricalca, in larga parte, le argomentazioni in precedenza messe in campo da una pronuncia del tribunale romano (Trib. Roma 13 luglio 2009), anch'essa riguardante l'inadempimento relativo a un banchetto di nozze. Emerge, peraltro, una differenza sostanziale tra le due sentenze. Il giudice romano – benché propenso a risarcire il danno anche in assenza di lesione di un diritto inviolabile – si sforza comunque di individuare la ricorrenza di una posizione del genere in capo agli sposi, rilevando che il momento delle nozze costituisce manifestazione della realizzazione personale dei coniugi, tutelata dall'art. 2 Cost. (contra Trib. Modena 19 giugno 2012, che – a fronte dell'intossicazione alimentare degli invitati al banchetto di nozze – rileva come la mancata riuscita del ricevimento non incida su interessi di rango costituzionale, per cui il pregiudizio non patrimoniale non appare suscettibile di ristoro). Nessuna forzatura volta a configurare la lesione, in capo agli sposi, di una posizione costituzionalmente protetta si ritrova invece nella sentenza annotata, ove il giudice non si preoccupa per alcun verso di ricondurre la fattispecie entro i confini previsti dall'art. 2059 c.c., assumendo che le regole da applicare saranno esclusivamente quelle dettate in materia di inadempimento.

Osservazioni

In passato il dibattito in materia di risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento è apparso piuttosto scarno: e ciò in ragione delle caratteristiche che assume il nostro sistema di risarcimento, all'interno del quale è ammesso il concorso tra tutela contrattuale ed extracontrattuale. Pertanto, a fronte di un inadempimento contrattuale, il risarcimento del danno non patrimoniale risultava ammesso in applicazione delle regole aquiliane. Quanto all'eventualità di individuare un danno non patrimoniale quale conseguenza dell'inadempimento, si registravano indirizzi opposti: da un lato vi era chi dubitava della stessa possibilità di prospettare il verificarsi di pregiudizi non economici a fronte dell'inadempimento di una prestazione, alla luce del carattere necessariamente patrimoniale assunto dalla stessa; dall'altro lato, le voci di segno favorevole evidenziavano che, ai sensi dell'art. 1174 c.c., l'obbligazione può essere rivolta a soddisfare anche interessi non patrimoniali. La ricorrenza di pregiudizi non economici è stata perciò prospettata, in ambito contrattuale, nei casi in cui gli interessi non patrimoniali abbiano influito sulla stipulazione del contratto e sulla determinazione del suo contenuto.

Una volta ammessa la possibilità che l'inadempimento provochi danni di carattere non patrimoniale, si è aperta la discussione circa l'applicabilità in tale ambito della regola restrittiva di cui all'art. 2059 c.c. Una parte degli interpreti si è pronunciata in senso affermativo, osservando che il legislatore, all'atto di risolvere l'annoso problema della risarcibilità del danno non patrimoniale, non può aver inteso circoscrivere la soluzione accolta alla sfera extracontrattuale. Un diverso orientamento ha sostenuto la necessità di risolvere la questione esclusivamente attraverso le norme riguardanti la responsabilità contrattuale. In particolare, è stato affermato che il termine perdita - di cui all'art. 1223 c.c. - deve essere inteso non soltanto in senso economico, potendo lo stesso riguardare la privazione di qualsiasi vantaggio, anche non oggettivamente valutabile. Il ristoro del danno non patrimoniale derivante da inadempimento sarebbe ammesso nei limiti previsti dall'art. 1225 c.c. in materia di danni prevedibili, dal momento che il debitore deve poter prevedere - quando sorge l'obbligazione - le conseguenze di carattere non patrimoniale suscettibili di scaturire dal proprio inadempimento. In questa prospettiva, la sottrazione del danno non patrimoniale da inadempimento all'applicazione dell'art. 2059 c.c. non implicherebbe il riconoscimento di una sua illimitata riparabilità: sarebbe infatti la regola dell'irrisarcibilità dei danni imprevedibili a costituire il filtro selettivo operante a fronte di tale fattispecie.

Nell'affrontare la questione, le Sezioni Unite del novembre 2008 hanno riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale – inteso nell'ampia accezione comprensiva dei rivolti morali, biologici ed esistenziali – provocato dall'inadempimento. I giudici di legittimità sono partiti dalla constatazione che le obbligazioni possono, in base alla previsione dell'art. 1174 c.c., corrispondere anche ad un interesse non patrimoniale del creditore. Si tratta, perciò, di accertare la causa concreta del negozio, al fine di valutare se quest'ultimo sia finalizzato a realizzare interessi di quest'ultimo tipo. Laddove ciò avvenga, viene ritenuto ammissibile il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, con la precisazione che la posizione colpita deve assumere la veste di diritto inviolabile oppure l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto dev'essere previsto dalla legge. In buona sostanza, si ritiene debba essere applicata la regola prevista dall'art. 2059 c.c. anche nell'area dell'inadempimento contrattuale.

Verso una simile lettura sono state mosse le critiche di chi osserva come - una volta verificata la causa concreta del contratto, al fine di valutare se essa preveda la realizzazione di interessi non patrimoniali - tanto basta a rendere rilevanti questi ultimi, al di là di qualunque valutazione delle posizioni colpite in termini di inviolabilità. Un limite al risarcimento viene, peraltro, a operare in applicazione del criterio della prevedibilità di cui all'art. 1225 c.c.: le implicazioni di ordine non patrimoniale correlate alla prestazione oggetto del contratto devono, cioè, aver trovato spazio nell'ambito dell'economia dello scambio - per la natura del contratto o per specifica pattuizione della parti - al momento della conclusione dello stesso. Fuori da tale ipotesi, la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali andrà esclusa; dovranno, cioè, essere considerate quali danni imprevedibili tutte quelle conseguenze non patrimoniali che esorbitino dall'operazione economica messa in atto dalle parti.

La scelta di criteri selettivi interni alle regole della responsabilità da inadempimento appare del tutto condivisibile, in vista della necessità di fornire un riscontro risarcitorio alla lesione di interessi non patrimoniali i quali – al di là di un'eventuale rilevanza costituzionale – risultano essere posti alla base dell'operazione contrattuale. Paradigmatica, a tale proposito, appare la vicenda del danno da vacanza rovinata, che – nella sua veste di pregiudizio non economico – assume rilievo quale perno essenziale intorno al quale far ruotare la tutela risarcitoria in caso di inadempimento del contratto di viaggio, posto che quest'ultimo risulta concluso con lo scopo esclusivo di far godere al turista un periodo di relax e riposo. Il danno tipico, in questo caso, consisterà proprio nel mancato godimento di tale attività realizzatrice della persona, che si trasfonde in ripercussioni sia di carattere esistenziale che morale: soprattutto laddove l'occasione di vacanza presenti caratteristiche di irripetibilità, come nel caso di viaggio di nozze. Il diritto al risarcimento di tale pregiudizio – in precedenza riconosciuto a livello giurisprudenziale - è stato suggellato a livello legislativo, dall'art. 47 cod. turismo: norma all'interno della quale la tutela risarcitoria non risulta per alcun verso agganciata al riconoscimento della rilevanza costituzionale dell'interesse leso. Un analogo ragionamento andrà praticato per tutti i casi in cui emerge che alla base del contratto è stata posta la soddisfazione di un interesse non patrimoniale: come appare indubbio nel caso affrontato dalla sentenza in commento, considerato che il banchetto nunziale rappresenta un'occasione unica, in relazione alla quale gli sposi nutrono un interesse non patrimoniale alla perfetta riuscita di una giornata destinata a rimanere indelebile nei loro ricordi e in quelli degli invitati.

Nella misura in cui le parti abbiano inteso rendere rilevanti determinati interessi non patrimoniali all'interno dell'economia del contratto, la lesione di questi ultimi deve trovare necessario riscontro sul piano risarcitorio in caso di inadempimento, in quanto conseguenze del genere appaiono del tutto prevedibili. È quest'ultimo filtro, allora, a rappresentare il limite al ristoro dei pregiudizi non economici, e non già il sistema selettivo congegnato dall'art. 2059 c.c. Resta da osservare, peraltro, come l'estensione di quest'ultima al settore contrattuale avviene, da parte delle Sezioni Unite del 2008, in maniera non del tutto coerente: mentre in campo aquiliano si prevede che la lesione dei diritti inviolabili generi un danno risarcibile soltanto quando vengano integrati i parametri della gravità dell'offesa e della serietà del pregiudizio, di tali filtri non si fa menzione nel caso di inadempimento. Più in generale, si tratta di osservare che - sullo stesso terreno aquiliano – una limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale correlata al novero delle ipotesi di rilevanza costituzionale dell'interesse leso apre dubbi più radicali, quanto alla differenza di trattamento tra pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali: non risulta, in effetti, essere stato ad oggi individuato dalla giurisprudenza un criterio ragionevole tramite il quale giustificare una simile disparità. Di qui l'opportunità di non traslare una regola del genere sul terreno contrattuale, considerato che le disposizioni in materia di responsabilità da inadempimento pongono comunque argini sicuri rispetto al rischio di inopinate alluvioni risarcitorie.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.