Danno da perdita di chances e danno biologico possono coesistere? Quale riparto dell’onere della prova?
03 Maggio 2018
Massima
In caso di omessa diagnosi e cura di una malattia che per detta ragione si cronicizzi, non è compatibile la coesistenza del danno da perdita di chances di guarigione con il danno biologico e quello morale. Il caso
Un paziente conviene in giudizio il medico curante chiedendo di accertarne la responsabilità professionale per non aver diagnosticato e curato un processo morboso che si è in seguito cronicizzato (insufficienza renale cronica), chiedendo euro 800.000 quale importo risarcitorio per il danno non patrimoniale (alla salute, morale e da perdita di chances). Il Tribunale rigetta la domanda, mentre il giudice del gravame l'accoglie parzialmente, riconoscendo un danno da perdita di chances di guarigione e quindi un risarcimento pari a euro 15.000. Propone ricorso per cassazione il paziente, censurando la sentenza per aver riconosciuto il solo danno da perdita di chances, omettendo di pronunciarsi sul richiesto danno alla salute e morale. La questione
In ipotesi di danno da omessa diagnosi e cura di una malattia poi cronicizzatasi, può coesistere il danno da perdita di chances con il danno biologico e morale? Le soluzioni giuridiche
Onde evitare di incorrere in fraintendimenti, è bene chiarire come nel caso di specie, il medico abbia omesso di comprendere che una determinata sintomatologia riguardasse un processo morboso in corso di evoluzione, così omettendo la proposizione delle cure necessarie ad impedirne la progressione. Detto inadempimento comportava la cronicizzazione della malattia di cui non era stato compreso il processo evolutivo. La Corte osserva, in primo luogo, che il danneggiato non ha impugnato la sentenza per contestare l'inquadramento del pregiudizio subito nell'alveo della perdita di chances, bensì per lamentare l'omesso ulteriore riconoscimento del danno biologico e morale. I supremi giudici, pertanto, rilevano come sulla qualificazione giuridica del danno in una perdita di chances si sia formato il giudicato, così risultando inammissibile una diversa qualificazione dello stesso. Una volta stabilita la sussistenza di una concreta possibilità di guarire, non è logicamente ipotizzabile la coesistenza con il danno alla salute che presuppone l'accertamento della malattia. È evidente che se si accerta la malattia, non può coesistere anche il danno per la perdita della possibilità di guarire dalla stessa. Delle due l'una: o la malattia non si è ancora sclerotizzata e quindi si può ipotizzare una perdita di possibilità di guarigione, oppure i postumi si sono consolidati e pertanto non è più possibile considerare un danno da perdita di chances di guarigione. I giudici di legittimità ritengono che riconoscere il danno da perdita di una chances di cura di una malattia, unitamente a quello conseguente alla lesione dell'integrità psicofisica in conseguenza della malattia stessa, determinerebbe un'inammissibile duplicazione delle voci risarcitorie. Osservazioni
Il caso in esame, in realtà, nasce da un errore commesso dell'avvocato difensore del paziente che invece di impugnare la sentenza di secondo grado per errato inquadramento del danno da tardiva diagnosi in una perdita di chances anziché in un danno biologico, ha chiesto alla Corte di legittimità di riconoscere anche il danno da lesione del diritto alla salute. Essendo passato in giudicato il capo della sentenza che accerta la perdita di chances di guarire, gli ermellini hanno potuto solamente rilevare l'incongruenza logica nel richiedere il riconoscimento di un qualcosa (la malattia) che non può che essere collocato temporalmente in un momento successivo rispetto alla perdita della possibilità di guarire. Per ottenere il riconoscimento del danno biologico, il danneggiato avrebbe dovuto chiedere di riformare il capo della sentenza che inquadrava il danno nella perdita di chances. L'aspetto più interessante, sotto il profilo giuridico, concerne il concetto di duplicazione del danno nel caso in cui fosse riconosciuta una somma risarcitoria sia per la perdita di chances che per il danno biologico. Riconoscere il danno per la perdita della possibilità di guarire oltre al danno per la malattia stessa, sarebbe come riconoscere, nel caso di aggravamento di una patologia, non il danno differenziale, bensì tutta la somma risarcitoria corrispondente alla nuova e maggiore percentuale di invalidità permanente, così comportando una duplicazione delle poste di danno e quindi un ingiustificato arricchimento del danneggiato. Precisato quanto sopra, si ritiene utile fare il punto su quella che appare una delle problematiche più discusse in tema di danno da tardiva diagnosi tumorale, ovverossia quale debba essere la prova da raggiungere per il riconoscimento del diritto al risarcimento. In ottemperanza a quanto stabilito dalla medicina legale sull'importanza della tempestiva diagnosi rispetto all'evoluzione della malattia, la giurisprudenza, nelle ipotesi in cui si accerta la tardiva diagnosi, riconosce, quale conseguenza dell'inadempimento/fatto illecito, la perdita di chances di guarigione o di sopravvivenza. Il bene tutelato, la cui lesione non può non essere fonte di risarcimento, è la probabilità in sé di godere di una vita più lunga; ciò che necessita, ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno, non è la effettiva prova di quanto incida effettivamente la tardiva diagnosi, sulla vita residua (vivrò solo altri cinque anni rispetto ai dieci prevedibili), bensì la possibilità di mettere in relazione causale la tardiva diagnosi con la lesione del diritto ad una probabile più lunga aspettativa di vita che una tempestiva diagnosi e cura avrebbe comportato secondo quelle che sono le regole scientifiche della medicina in ordine alla regolarità causale degli eventi. Altra questione è la quantificazione effettiva della diminuzione degli anni di vita residua, in considerazione della tardiva diagnosi e cura. Il diritto ad una probabile più lunga aspettativa di vita è stato leso e va risarcito; la quantificazione del danno potrà variare in più o in meno a seconda della possibilità di provare, secondo il principio del più probabile che non, l'effettiva diminuzione dell'aspettativa di vita in termine di giorni, mesi o anni. In estrema sintesi, la perdita di chances si sostanzia di un doppio accertamento causa/effetto: il primo e più importante è quello che dalla tardiva diagnosi consegua la lesione del diritto ad una più lunga aspettativa di vita; il secondo, che rileva unicamente ai fini di una quantificazione maggiore o minore del danno, concerne la prova dell'effettiva possibilità di quantificare in termine di giorni, mesi o anni, la diminuzione dell'aspettativa di vita rispetto a quella prevedibile nel caso le cure fossero state tempestivamente poste in essere. In proposito, anche per quanto concerne il riparto dell'onere della prova, si può azzardare un parallelismo con quanto deciso dai Supremi Giudici in relazione alla causalità giuridica nell'ambito della responsabilità professionale dell'avvocato (Cass. civ., sent., n. 25112/2017). In quell'occasione, si differenziava l'errore dell'avvocato nell'impostazione della causa, da quello conseguente all'aver tardivamente proposto impugnazione; il primo caso rientrerebbe nella violazione di un obbligo di mezzi e il secondo di risultato. La conseguenza di questa impostazione, porterebbe al fatto che nell'ipotesi di violazione di un obbligo di risultato (il mancato rispetto di termini decadenziali) sarà il professionista a dover provare che in caso di corretto adempimento il risultato non sarebbe stato comunque conseguito. Applicando il predetto principio al caso oggetto del presente commento, si potrebbe ben ipotizzare che una volta che il paziente abbia provato il contratto e la tardività della diagnosi, provando la mera perdita di chances di sopravvivenza (senza essere onerato di quantificare il periodo temporale di vita andato perduto), sarà onere del medico dare la prova che se la cura fosse stata tempestiva, l'aspettativa di vita non sarebbe mutata. Con ogni evidenza, ove non sia possibile raggiungere detta prova, la circostanza si ripercuoterà sul medico, con conseguente diritto del paziente ad essere risarcito.
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