Insindacabilità delle spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche
07 Maggio 2018
Massima
Le spese di sponsorizzazione, a favore di associazioni sportive dilettantistiche, sono deducibili dal reddito d'impresa per presunzione assoluta con la conseguenza che l'amministrazione finanziaria non può sindacare né sull'inerenza né sulla congruità delle stesse. Il caso
Una società ha impugnato un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate contestava la non congruità delle spese di sponsorizzazione sostenute a favore di un'associazione sportiva dilettantistica. Nello specifico l'Agenzia riteneva che “l'importo di € … si considera non inerente all'attività di impresa in quanto eccessivo e sproporzionato e viene recuperato a reddito ex art. 109, comma 5, del d.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917”. La società eccepiva, tra le altre, l'esistenza di una presunzione assoluta di deducibilità di dette spese introdotta dall'art. 90, comma 8, Legge n. 289/2002, in base al quale “il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche … costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario”. La questione
La controversia trae origine dal mancato riconoscimento di parte dei costi di sponsorizzazione, sostenuti da una società a favore di un'associazione sportiva dilettantistica, in ragione della ritenuta non inerenza degli stessi: in specie, l'ufficio accertatore procedeva al recupero a tassazione del costo sostenuto, per prestazioni pubblicitarie in ragione del fatto che detto costo è stata ritenuto eccessivo e sproporzionato rispetto alla media delle sponsorizzazioni di altre associazioni sportive militanti nel medesimo campionato di "serie C" di basket nell'anno 2012. In particolare, l'ufficio ha ritenuto l'operazione di sponsorizzazione reale ma per un importo abnorme in relazione alla prestazione resa e al contesto della predetta prestazione e quindi non inerente; il fondamento di tale ripresa a tassazione andrebbe individuato nelle disposizioni generali in tema di deducibilità dei costi, con particolare riferimento ai requisiti di effettività (di cui all'art. 109, comma1, d.P.R. n. 917/1986) e di inerenza (ex art. 109, comma 5, d.P.R. n. 917/1986).
La società al contrario in sede di ricorso contestava da un lato l'assoluta congruità dei costi sostenuti e dunque la piena inerenza degli stessi, l'impossibilità da parte dell'Agenzia di sindacare sulla congruità di un costo attesa l'esistenza della libera scelta imprenditoriale e in ogni caso l'esistenza di una presunzione assoluta di deducibilità delle spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche in ragione dell'art. 90, comma 8, Legge n. 289/2002.
La CTP di Padova ha ritenuto che non occorre una valutazione di inerenza in ordine alla congruità dei costi atteso che la norma testé citata ha introdotto una presunzione assoluta oltre che sulla natura delle spese di pubblicità anche sull'inerenza delle stesse sino alla soglia di € 200.000 con la conseguenza che è irrilevante ogni valutazione circa la antieconomicità della spesa.
Le soluzioni giuridiche
La sentenza in esame offre lo spunto per alcune riflessioni sul tema della deducibilità delle spese di sponsorizzazione sia con riferimento alla presunzione assoluta di cui all'art. 90, comma 8, L. n. 289/2002 sia con riferimento al concetto di inerenza.
La presunzione assoluta di deducibilità Le spese di sponsorizzazione sono riconducibili alle spese di pubblicità di cui all'art. 90, comma 8, Legge n. 289/2002, se erogate nei confronti di associazioni sportive o di enti di promozione sportiva e finalizzate alla promozione dell'immagine della società che sostiene la spesa, fino all'ammontare di € 200.000. Sul punto si è espressa la giurisprudenza di legittimità, la quale conferma la qualificazione delle spese de quibus come spese di pubblicità.
Afferma, nello specifico, la Suprema Corte di Cassazione: “gli importi corrisposti da un'impresa ad un'associazione S.D., a titolo di sponsorizzazione, costituiscono, fino a 200,000 Euro, spese di pubblicità integralmente deducibili per presunzione assoluta di legge, a condizione che la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine e i prodotti dell'impresa e che l'associazione abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale” (Cass. civ., 23 marzo 2016, n. 5720).
In particolare, i Giudici di legittimità, con la sentenza da ultimo richiamata, statuiscono che il comma 8 dell'art. 90 qualifica ex lege tali spese come pubblicitarie, qualora: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) se la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale.
Anche la giurisprudenza di merito è conforme a detto orientamento della Cassazione laddove ha ritenuto che in base all'art. 90 richiamato e nei limiti del suddetto importo, “si dovrebbe ritenere escluso qualsiasi sindacato di merito da parte degli organi verificatori con riferimento all'utilità di tali spese, all'inerenza e alla capacità di apportare maggiori ricavi o proventi a chi li eroga” (CTP Novara, 18 settembre 2015, n. 267). Secondo la CTP di Vicenza, “il chiaro tenore letterale della norma non lascia spazio a dubbi o residui interpretativi, "in claris non fit interpretatio", tanto più che per la sponsorizzazione rivolta ad associazioni sportive dilettantistiche non è necessario il nesso inferenziale tra l'attività dello sponsor e quella dello sponsee, proprio perché le stesse spese sostenute sono qualificabili come pubblicità. Non può essere accettata, sul piano della correttezza e della coerenza della norma, la pretesa dell'Amministrazione finanziaria di fissare la deducibilità dei costi di sponsorizzazione riportandola ai parametri di comparazione dei tariffari generalmente applicati dalle associazioni dilettantistiche del territorio, tra l'altro diverse da quelle sostenute dalla Società ricorrente” (CTP Vicenza, 29 marzo 2017, n. 247).
Sul punto, l'orientamento giurisprudenziale, tanto di legittimità quanto di merito, sembra aver adottato un indirizzo ormai costante nel ritenere non superabile la presunzione stabilita dall'art. 90, comma 8, L. Legge n. 289/2002 (da ultimo: Cass. civ., 19 gennaio 2018, n. 1420).
L'evoluzione del concetto di inerenza La sentenza in esame offre lo spunto per evidenziare come il concetto di inerenza sia stato oggetto di “rivisitazione” da parte della Corte di Cassazione che in una recente pronuncia ha affermato che deve essere disattesa la nozione di inerenza, utilizzata dalla giurisprudenza di legittimità, formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente e indirettamente, una utilità all'attività d'impresa, e costituente requisito generale della deducibilità dei costi, con richiamo all'art. 109 del TUIR. In particolare, a detta dei Giudici di legittimità, “tale orientamento, se, da un lato, correla l'inerenza al rapporto tra costi e attività d'impresa (non riducibile, perciò, ad una relazione necessaria del costo con il reddito o con i ricavi), dall'altro pone erroneamente un necessario legame tra il costo e l'attività d'impresa secondo un parametro d'utilità, all'interno di una relazione deterministica che sottende rapporti di causalità. In altri termini, secondo la tesi criticata, l'utilità deve essere apprezzata considerando anche la dimensione quantitativa della spesa, per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte” (Cass. civ., 11 gennaio 2018, n. 450).
Al contrario, il “nuovo” principio di inerenza deve essere valutato attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo. In particolare, l'evidenziazione di un comportamento antieconomico in relazione all'imposta sui redditi e dell'iva non può giustificarsi identificando l'inerenza con la sproporzione o l'incongruità dei costi: l'inerenza si risolve in un giudizio qualitativo, non quantitativo, e non si ricollega art. 109, d.P.R. n. 917/1986, ma è strettamente correlata alla nozione stessa di reddito d'impresa.
Evidente che tale nuovo inquadramento del concetto di inerenza può avere notevoli ripercussioni in tutte quelle occasioni, e sono molte, in cui l'Agenzia delle Entrate contestata l'antieconomicità di costi sostenuti dalle aziende ponendo a fondamento della ripresa la carenza del requisito dell'inerenza. Osservazioni
In conclusione, ai sensi dell'art. 90, comma 8, L. 289/2002, il corrispettivo in denaro o in natura in favore di determinati soggetti (quali ad esempio le società e associazioni sportive dilettantistiche), di importo annuo non superiore a 200.000,00 euro, costituisce, per il soggetto erogante, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti di quest'ultimo mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell'art. 108, comma 2, d.P.R. n. 917/1986. Tale disposizione introduce, ai fini delle imposte dirette, una presunzione assoluta circa la natura dei suddetti costi, che vengono considerati, nel limite dell'importo di 200.000,00 euro, comunque spese di pubblicità.
Nonostante ciò, la prassi dell'Agenzia delle Entrate ha sempre richiesto che ai fini della deducibilità dal reddito d'impresa delle spese in argomento debbano essere soddisfatti i requisiti della competenza, della certezza, quanto all'esistenza del costo, e dell'oggettiva determinabilità dello stesso, quanto al relativo ammontare, nonché dell'inerenza della spesa ad attività o beni da cui derivino ricavi o altri proventi imponibili (Risoluzione, Agenzia Entrate, 23 giugno 2010 n. 57).
Appare evidente che quanto affermato dall'Agenzia non abbia più alcuna valenza atteso che secondo l'orientamento della Cassazione la presunzione legale assoluta prevista dall'art. 90, comma 8, L. n. 289/2012, deve essere interpretata nel senso che l'Agenzia delle Entrate non ha potere di sindacare l'inerenza e la congruità delle spese di sponsorizzazione, sempre nei limiti quantitativi previsti dalla norma.
A ciò si aggiunga che, per effetto della “nuova” interpretazione del concetto di inerenza sopra richiamato, un comportamento antieconomico non può giustificarsi identificando l'inerenza con la sproporzione o l'incongruità dei costi. |