Il ne bis in idem al vaglio della CGUE: quando la normativa nazionale può limitare il principio unionale

Stefano Loconte
25 Maggio 2018

La normativa nazionale che permette di celebrare un procedimento volto ad irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria avente natura “penale” o di avviare procedimenti penali viola il principio del ne bis in idem quando nei confronti della medesima persona o sia già stata pronunciata una sentenza penale definitiva o sia stata irrogata una sanzione amministrativa avente natura penale, avente ad oggetto i medesimi fatti, nei limiti in cui siffatta normativa sia idonea a reprimere il reato in maniera efficace proporzionata e dissuasiva.
Massima

La normativa nazionale che permette di celebrare un procedimento volto ad irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria avente natura “penale” o di avviare procedimenti penali viola il principio del ne bis in idem quando nei confronti della medesima persona o sia già stata pronunciata una sentenza penale definitiva o sia stata irrogata una sanzione amministrativa avente natura penale, avente ad oggetto i medesimi fatti, nei limiti in cui siffatta normativa sia idonea a reprimere il reato in maniera efficace proporzionata e dissuasiva.

Tale principio è direttamente applicabile dai giudici nazionali nell'ambito del procedimento principale, senza un ulteriore intervento da parte del legislatore volto ad eliminare dall'ordinamento la norma incriminante.

Il principio del ne bis in idem

L'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. “Carta di Nizza”) stabilisce il diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato, prevedendo che nessuno possa essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.

Lo stesso principio è riportato altresì all'art. 4 del protocollo n. 7, dellaConvenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in proseguo, la Cedu), il quale garantisce il diritto inviolabile a non essere “perseguito” o “condannato” per un “reato” in relazione al quale è già stata emessa una “sentenza definitiva”.

Il principio del ne bis in idem vieta, quindi, un cumulo sia di procedimenti penali sia di sanzioni amministrative aventi natura penale per i medesime fatti e nei confronti della stessa persona.

Il caso

Il 20 marzo 2018 la Grande Sezione della Corte di Giustizia UE si è espressa, con tre importanti sentenze, sulla corretta interpretazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 50 della Carta di Nizza, letto alla luce dell'art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU, sui suoi limiti, e sulla diretta applicazione del medesimo da parte dei Giudici nazionali.

Nel dettaglio, le domande di pronuncia pregiudiziale sono state presentate, ex art. 267 TFUE, nell'ambito di tre procedimenti, aventi ad oggetto, rispettivamente:

(i) un procedimento di opposizione contro un provvedimento sanzionatorio Consob per violazione della normativa in materia di manipolazione del mercato da parte di due società e di un noto imprenditore, i quali avevano già definito con sentenza di patteggiamento il procedimento penale vertente sullo stesso fatto (causa C-537/16),

(ii) un processo penale nei confronti di un imputato già sanzionato in via definitiva dall'Amministrazione finanziaria in materia di imposta sul valore aggiunto (causa C-524/15) e

(iii) due procedimenti di opposizione contro provvedimenti sanzionatori Consob per abuso di informazioni privilegiate nei riguardi di due contribuenti assolti, invece, in sede penale (cause riunite C-596/16 e C-597/16).

La questione

Con le conclusioni dell'Avvocato Generale Campos Sànchez-Bordona, presentate all'udienza del 12 settembre 2017, la Grande Sezione della Corte di Giustizia UE era stata invitata ad elaborare – a livello euronitario – una nozione uniforme di ne bis in idem, verificando se e come tale diritto fondamentale possa essere limitato in virtù di quanto stabilito dalla clausola orizzontale di cui all'art. 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, la quale prevede la possibilità di bilanciare i diritti contenuti nella Carta medesima nel rispetto dei principi di legalità, pubblico interesse e proporzionalità.

Le soluzioni giuridiche

I criteri per individuare la natura “penale” della sanzione amministrativa

I Giudici, sulle orme della giurisprudenza consolidatasi negli ultimi anni, ricordano che l'indagine sulla natura “penale” dei procedimenti e delle sanzioni come quelli di cui ai procedimenti principali, deve essere condotta utilizzando i seguenti tre criteri (emersi per la prima volta nella giurisprudenza della Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi): qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, natura dell'illecito e grado di severità della sanzioni in cui il soggetto interessato rischia di incorrere (sentenze del 5 giugno 2012, caso Bonda, C-489/10 e del 26 febbraio 2013, caso Åkerberg Fransson, C-617/10).

In relazione al primo dei tre criteri, la Corte ha ribadito che la denominazione nazionale del procedimento è irrilevante: l'applicazione dell'art. 50 della Carta si estende, indipendentemente dalla qualificazione, a tutti i procedimenti ed alle sanzioni che possono considerarsi “penali” alla luce degli ulteriori due criteri.

Il secondo criterio impone di verificare se la sanzione persegua o meno finalità repressive in quanto solo in tal caso avrà natura penale. La circostanza che essa si prefigga una contestuale finalità preventiva non basta a far venir meno detta natura, poiché è pacifico che le sanzioni penali tendano sia alla prevenzione sia alla repressione di comportamenti illeciti.

Relativamente al terzo criterio, il giudice potrà constatare, ad esempio, che nell'ambito di “manipolazione del mercato”, di cui all'art. 187-ter del D.Lgs. n. 58/1998, la sanzione pecuniaria presenta indubbiamente un grado di gravità elevato, in quanto aumentabile fino al dieci volte il prodotto/profitto dell'illecito. Circostanza abbastanza frequente in materia di sanzioni tributarie.

Inoltre, a ciò si aggiunga che la formulazione dell'art. 50 della Carta vieta di perseguire o condannare una medesima persona più di una volta per uno stesso reato. A tal fine, il criterio rilevante consiste nella identità dei fatti materiali, da intendere come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro che hanno condotto alla condanna o assoluzione definitiva del soggetto interessato.

Sulla limitazione del ne bis in idem

La Corte europea afferma che è possibile limitare il principio del ne bis in idem in forza di quanto stabilito dall'art. 52, paragrafo 1, delleCarta di Nizza, quando, in primis, il cumulo tra procedimenti/sanzioni penali e procedimenti/sanzioni amministrative aventi natura penale sia disposto espressamente dalla legge che abbia un carattere strettamente necessario e che rispetti le condizioni qualitative prescritte dal c.d. “principio di legalità” consistenti, nella precisione e prevedibilità della legge medesima (principio di legalità).

Occorre, in secondo luogo, che la limitazione del principio risponda ad una finalità di interesse generale (pubblico interesse). A titolo esemplificativo, nella causa C-537/16, l'interesse generale perseguito dalla normativa nazionale, consistente nella tutela dell'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, è stato ritenuto idoneo a giustificare il cumulo di sanzioni e procedimenti di natura penale.

Il terzo passo consiste nel valutare il rispetto del principio di proporzionalità, il quale esige che il cumulo di procedimenti e sanzioni con natura penale non debba eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra diverse misure, debba essere scelta la misura meno restrittiva, i cui effetti non risultino sproporzionati rispetto gli scopi perseguiti. Ritornando al caso sovra citato – causa C-537/16 – la Corte osserva che, con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, la disciplina italiana non rispetta il principio di proporzionalità in quanto autorizza l'avvio di un procedimento amministrativo di natura penale per fatti già penalmente puniti con una sanzione idonea a reprimere l'infrazione in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva. In presenza di tali condizioni, prevedere l'irrogazione di sanzioni amministrative di natura penale per i medesimi fatti eccederebbe quanto strettamente necessario a realizzare l'obiettivo consistente nella tutela dei mercati.

Tuttavia, il vaglio degli elementi sovraesposti è rimesso al giudice del rinvio (a differenza del sistema di tutela delineato dalla CEDU, dove siffatta verifica spetta alla Corte EDU), il quale dovrà anche verificare che gli oneri scaturenti da detto cumulo, a carico dell'interessato, non siano eccessivi rispetto alla gravità della condotta incriminata.

Un discostamento della sentenza della Grande Camera (Corte EDU) A e B c. Norvegia?

Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia ha accolto l'invito, contenuto nelle conclusioni dell'Avvocato Generale a non uniformarsi all'orientamento emerso recentemente nella Corte EDU, con la sentenza A. e B. c. Norvegia (sentenza del 15 novembre 2016, ricorsi nn. 24130/11 e 29758/11).

I giudici di Strasburgo avevano, in tale sede, statuito che l'art. 4 prot. 7 CEDU potesse non risultare violato dal cumulo di procedimenti penali e amministrativi per lo stesso fatto, purché esistesse tra essi una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta (c.d. test della “sufficient connection in substance and time”), tale da far ritenere le due risposte dell'ordinamento – sanzione penale e sanzioni amministrativa penale – come un'unica risposta integrata dell'ordinamento contro il medesimo fatto illecito.

A tal fine, la Corte EDU enunciava i seguenti criteri, in presenza dei quali ritener superato il test della connessione sufficientemente stretta:

  • scopi differenti ed esame di profili diversi della medesima condotta antisociale dei procedimenti previsti per la violazione;
  • prevedibilità dei diversi procedimenti;
  • conduzione dei procedimenti in modo da evitare “per quanto possibile” ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove, nel senso di garantire un adeguato scambio di informazioni tra le autorità competenti, tale da far sì che l'accertamento dei fatti in un procedimento venga utilizzato anche nell'altro;
  • considerazione della sanzione imposta nel primo procedimento conclusosi nel secondo procedimento, in modo da rispettare la proporzionalità complessiva della pena.

L'Avvocato Generale Campos Sànchez-Bordona aveva, infatti, sostenuto che il criterio de quo aggiunge “notevole incertezza e complessità al diritto delle persone di non essere giudicate né condannate due volte per gli stessi fatti”. Invito accolta dalla Corte di Giustizia che non accenna, nelle tre pronunce in esame, minimamente al criterio utilizzato dai colleghi di Strasburgo.

Osservazioni

In conclusione, l'applicazione congiunta di una sanzione amministrativa pecuniaria avente natura penale e di una sanzione penale comporta la violazione del principio del ne bis in idem nel momento in cui la sola condanna penale o la sola sanzione amministrativa penale definitiva – tenuto conto del danno causato dalla condotta sanzionata – risulti di per sé già idonea a reprimere il reato posto in essere, in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva, circostanza che dovrà essere valutata dal giudice del rinvio.

Tale principio non vien meno neppure nel caso in cui la pena definitiva si sia estinta, come nel caso dell'imprenditore Ricucci (causa C-537/16), per effetto di indulto.

Il raggio di azione del principio del ne bis in idem si estende alle persone assolte o condannate con sentenza penale definitiva, indipendentemente dalla circostanza che la sanzione penale inflitta si sia successivamente estinta. L'indulto rappresenta una circostanza del tutto irrilevante nella valutazione del carattere strettamente necessario della normativa nazionale.

Infine, sulla questione relativa alla diretta applicazione del principio in esame da parte dei Giudici nazionali, la Corte non ha alcun dubbio nel ribadire che il giudice nazionale ha l'obbligo di garantire la piena efficacia delle norme di diritto europeo, disapplicando, quando occorre e di propria iniziativa, le disposizioni interne contrastanti, senza chiedere o aspettare la rimozione delle stesse in via legislativa o secondo qualsiasi altro procedimento costituzionale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.