Verifiche fiscali ed autorizzazione all'accesso domiciliare
28 Maggio 2018
Massima
L'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta ai fini dell'accesso dell'Amministrazione finanziaria a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente, ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest'ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo. Tale ultima destinazione ricorre non soltanto nell'ipotesi in cui gli ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l'attività professionale, ma ogni qual volta l'agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell'attività commerciale nei locali abitativi.
Il caso
Il d.P.R. n. 633/1972, art. 52, co.1, disciplina l'accesso nei locali adibiti all'esercizio di attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero ad uso promiscuo, limitandosi a richiedere l'autorizzazione del capo dell'ufficio e quella del Procuratore della Repubblica, senza però fissare specifici presupposti, in entrambi i casi trattandosi di un mero adempimento procedimentale, mentre il co.2 dello stesso articolo, attinente all'accesso in locali ad uso esclusivamente abitativo, richiede, anche in considerazione dell'art. 14 Cost. sull'inviolabilità del domicilio, non solo l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ma anche la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, previsione che conferisce all'autorizzazione la portata, non di semplice nulla-osta, bensì di provvedimento valutativo della ricorrenza di specifici presupposti giustificativi dell'ingresso nell'abitazione.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 28 marzo 2018, n. 7723, ha chiarito quali sono i presupposti di legittimità per effettuare un accesso domiciliare nell'ambito di una verifica fiscale, quando vi sia un collegamento fisico tra il domicilio e il luogo dove si svolge l'attività imprenditoriale. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia aveva respinto l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, che aveva accolto il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008. La CTR osservava in particolare che risultava corretto il giudizio del primo giudice sull'eccezione, pregiudiziale, della contribuente sulla invalidità dell'atto impositivo impugnato per carenza motivazionale del provvedimento del PM di autorizzazione all'accesso presso la contribuente medesima, essendo stato lo stesso effettuato presso la sua abitazione privata e non avendo l'A.G. autorizzante motivato in ordine alla sussistenza di "gravi indizi" di violazione delle norme tributarie, escludendo peraltro che si trattasse di un locale "promiscuo" rispetto a quello nel quale era esercitata l'attività imprenditoriale (di ristorazione) oggetto della verifica.
L'Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione, denunciando la violazione dell'art. 52, d.P.R. n. 633/1972, laddove la CTR aveva affermato l'invalidità dell'avviso di accertamento impugnato a causa del difetto motivazionale dell'autorizzazione giudiziaria all'accesso presso la contribuente, essendosi il medesimo esteso alla sua abitazione privata, senza che in detto provvedimento si trattasse la questione della sussistenza di "gravi indizi" di illeciti fiscali. La questione
La censura, secondo la Suprema Corte, era fondata. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che «In tema di accertamento dell'IVA, l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall'art. 52, primo e secondocomma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini dell'accesso degli impiegati dell'Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell'esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest'ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo. Tale ultima destinazione ricorre non soltanto nell'ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l'attività professionale, ma ogni qual volta l'agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell'attività commerciale nei locali abitativi» (cfr. Cass. civ., Ordinanza n. 28068 del 16 dicembre 2013).
Il giudice tributario di appello si era espresso in ordine all'autonomia delle due parti dell'edificio presso il quale era stato operato l'accesso, essendo il piano terra adibito ad attività di pubblico esercizio e il piano primo a residenza famigliare della contribuente, eludendo tuttavia la questione della "promiscuità" dei due distinti locali ed in particolare non valutando l'allegazione dell'Agenzia che ricorreva tale circostanza per il fatto che esisteva un collegamento interno che consentiva l'accesso dal piano terra al piano primo.
Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione si è più volte pronunciata sulla questione in esame, relativa ai limiti e presupposti per l'accesso, ai fini di controllo fiscale, presso il domicilio del contribuente. Con la sentenza n. 8547 del 29 aprile 2016, per esempio, la Suprema Corte, respingendo, in quel caso, il ricorso dell'Agenzia, aveva evidenziato che l'accesso aveva riguardato la privata abitazione del contribuente e non l'ufficio, con conseguente illegittimità dell'accertamento basato sugli elementi rinvenuti in sede di accesso.
Del resto, se è vero che, in materia tributaria, per quanto concerne l'accesso presso locali destinati all'esercizio di attività commerciali, l'irritualità nell'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento per mancanza dell'autorizzazione prevista dal d.P.R. n. 633/1972, art. 52, comma 1, non comporta, di per sè, l'inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso (cfr. Cass. civ. n. 8344/2001; 14058/2006; 27149/2011), atteso che l'atto di autorizzazione ad accedere ai locali dell'impresa, è reso in esito ad una valutazione della necessità di incidere sull'andamento e sulla riservatezza della gestione imprenditoriale al fine di riscontrare eventuali evasioni ed infrazioni alla disciplina fiscale (cfr Cass. civ., n. 18155/2009; 4066/2015), è però anche vero che sono da ritenersi esclusi da tale principio i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come, appunto, l'inviolabilità della libertà personale o del domicilio.
Le stesse conclusioni in merito al domicilio privato di persona fisica, dovrebbero valere, peraltro, nel caso di enti non commerciali, laddove, per accedere ai relativi locali, è necessario per i funzionari dell'Amministrazione Finanziaria premunirsi della previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Secondo la dottrina prevalente, infatti, nei confronti dei soggetti associativi non titolari di redditi di impresa, l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria è presupposto essenziale ai fini della legittimità dell'accesso. Da sottolineare, però, che, nel caso in cui l'associazione svolga anche attività commerciale (per esempio di ristorazione o somministrazione di bevande) le modalità di controllo attuabili sarebbero invece quelle di cui al comma 1 dell'art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 e non quelle di cui al comma 2 dello stesso articolo.
L'accesso nei locali dove non si svolge alcuna attività commerciale può essere invece eseguito solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica e comunque:
La tutela dell'inviolabilità del domicilio, garantita dalla autorizzazione del Procuratore della Repubblica, è riconosciuta, del resto solo qualora la destinazione abitativa o associativa dei luoghi a cui si accede sia connotata dai caratteri dell'effettività e dell'attualità, e non invece nei casi in cui sia il frutto di una astratta progettualità o di una dolosa qualificazione. Osservazioni
L'autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'accesso domiciliare è comunque contraddistinta da un largo margine di discrezionalità, da cui discende il carattere necessariamente sintetico della relativa motivazione (cfr. Cass. civ., n. 23824 dell'11 ottobre 2017). L'obbligo motivazionale deve quindi ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l'autorità richiedente, trovando il provvedimento causa e giustificazione nell'esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione dev'essere effettuata "ex ante"con prudente apprezzamento. Si evidenzia infine che se il contribuente non si è opposto all'accesso, allora, non può poi contestarne gli effetti in termini di legittimità. La Cassazione, con sentenza 27 luglio 1998, ha infatti a tal proposito per esempio riconosciuto che l'assenso del contribuente supera ogni questione sulla regolarità dell'atto istruttorio, infatti se "l'accesso si è verificato con il consenso del contribuente, ciò ... vale a superare ogni questione sulla legittimità dell'accesso stesso" , dato che "il rifiuto all'accesso deve essere fatto constatare nel processo verbale di verifica, dandosi atto che l'accesso è stato effettuato nonostante l'opposizione".
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