Regime fiscale degli immobili di interesse storico-artistico
30 Maggio 2018
Massima
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), D.L. n. 16/2012, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 Cost. Alla diversità di trattamento legale, correlata al pregio storico o artistico dell'immobile, continua a corrispondere quella del regime fiscale – seppur in un diverso rapporto sistematico con la disciplina complessiva del tributo interessato, prevedendo una maggior riduzione del reddito locativo da prendere in considerazione rispetto agli altri beni – così smentendosi l'assunto del rimettente secondo cui la normativa censurata avrebbe determinato l'omologazione giuridica degli immobili di interesse storico-artistico a quelli che non lo sono, in spregio alla tutela da accordare ai primi in virtù dell'art. 9, secondo comma, Cost. Inoltre, quanto all'art. 3 Cost., non è irragionevole che le disposizioni impugnate, anziché prescindere completamente dal reddito locativo, vi applichino una riduzione forfettaria, atteso che: a) la finalità di compensare obblighi e vincoli inerenti agli immobili culturali è soddisfatta anche da altre norme agevolative ai fini IRPEF; b) le nuove modalità di determinazione del reddito si armonizzano con l'agevolazione di cui all'art. 8, comma 1, L. n. 431/1998, come auspicato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 346 del 2003, consentendo il cumulo; c) coerentemente con il regime dell'IMU, gli immobili vincolati subiscono un'imposizione patrimoniale sulla base di parametri catastali e un'imposizione sul reddito eventualmente ritratto in base a parametri analitici.
Infine, non è violato il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., in quanto l'obiettiva difficoltà di ricavare il reddito effettivo da quello locativo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione dei beni vincolati, giustifica l'applicazione della maggiore riduzione forfettaria rispetto a quella prevista per gli altri immobili. Il caso
La CTP di Novara era stata adita da un contribuente, il quale – dopo essersi vanamente rivolto all'Agenzia delle Entrate per ottenere il rimborso delle somme, asseritamente non dovute, versate per l'anno d'imposta 2013 a titolo di IRPEF e di addizionale, tutte relative al reddito derivante dalla locazione di un immobile di interesse storico e artistico di sua proprietà – ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi su detta istanza, lamentando l'illegittimità costituzionale delle norme censurate, che avrebbero ricondotto al regime impositivo ordinario anche gli immobili appartenenti alla menzionata categoria.
Il rimettente ha evidenziato come l'art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), D.L. n. 16/2012 modifichi profondamente – e in senso deteriore per il contribuente – il precedente regime fiscale dettato per gli immobili vincolati dall'art. 11, comma 2, L. n. 413/1991, secondo cui «In ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico […] è determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato». Tale regime, abrogato dal comma 5-quater, è stato sostituito da quello dettato dal successivo comma 5-sexies, lettera a), secondo cui, ai fini del calcolo del reddito imponibile degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da prendere in considerazione subisce una riduzione forfettaria del 35% a fronte di quella ordinaria del 5%.
Ad avviso del rimettente, la sostituzione del precedente regime speciale con uno meramente agevolato eliminerebbe la distinzione sostanziale tra gli immobili di interesse culturale e quelli che non lo sono, violando l'art. 9, secondo comma, Cost., espressivo del principio di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione. Inoltre, l'agevolazione violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto, omettendo di prevedere adeguate misure compensative a fronte della forte incidenza dei costi di conservazione e dei vincoli limitanti la libera disponibilità di tali beni, sarebbe irragionevole e discriminatoria. Infine, la tassazione del 65% del reddito locativo non troverebbe giustificazione in indici reddituali effettivi, con conseguente violazione del principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. La questione
Il nuovo regime fiscale degli immobili vincolati era già stato denunciato di incostituzionalità dalla stessa CTP di Novara, seppur per violazione di un parametro diverso (art. 77, secondo comma, Cost.), questione dichiarata non fondata (Corte cost. n. 145 del 2015). Al fondo del nuovo incidente di costituzionalità si agita la medesima esigenza, vale a dire assicurare ai titolari di beni vincolati, attraverso un regime fiscale di beneficio, adeguata compensazione degli oneri di cui sono gravati in funzione della salvaguardia degli stessi. Sino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2011 per gli immobili di interesse storico-artistico il regime impositivo ex art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 413/1991 era completamente scollegato dal valore locativo o fondiario dell'immobile, considerato che il reddito derivante dal loro possesso era «in ogni caso» – dunque, anche se locati – determinato in base alla minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria di appartenenza, ossia in base alla cosiddetta “rendita figurativa”. In virtù della normativa censurata, dal periodo d'imposta 2012 costituisce reddito imponibile ai fini IRPEF la maggior somma tra il 65% del canone locatizio e la rendita catastale effettiva rivalutata ridotta della metà (secondo le indicazioni fornite dall'Agenzia delle entrate nella risoluzione del 31 dicembre 2012, n. 114/E). Rispetto agli immobili non vincolati, la differenza sta nella maggiore riduzione forfettaria del canone di raffronto, per essi stabilita nel 5% dal 2013, periodo d'imposta che veniva in rilevo nella fattispecie. Ciò, in pratica, ha comportato il passaggio da un regime di sostanziale esenzione per un'imposizione quasi azzerata a una pari a circa due terzi del reddito ritratto dal bene. In sostanza, il rimettente assume che il beneficio accordato non sia sufficiente, e “veste” tale valutazione con le censure di incostituzionalità rivoltegli. Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale ha escluso la sussistenza di tutti i vizi denunciati dal rimettente.
Alla permanenza della diversità di trattamento legale, correlata al pregio storico-artistico del bene, continua a corrispondere quella del regime tributario, seppur in un diverso rapporto sistematico con la disciplina complessiva del tributo interessato, prevedendosi una maggior riduzione del reddito locativo da prendere in considerazione rispetto agli altri beni. In tal moto trova confutazione l'assunto secondo cui la normativa censurata avrebbe determinato l'omologazione giuridica degli immobili di interesse storico-artistico a quelli che non lo sono, atteso che la distinzione tra di essi permane integra sia sotto il profilo giuridico sostanziale che sotto quello fiscale, in ragione della tutela da accordare ai primi in virtù dell'art. 9, secondo comma, Cost.
Inoltre, non è irragionevole che le disposizioni impugnate, anziché prescindere completamente dal reddito locativo, applichino a esso una riduzione forfettaria. Infatti: a) la finalità di compensare obblighi e vincoli inerenti agli immobili culturali è soddisfatta anche da altre norme agevolative ai fini IRPEF, attribuendo loro un trattamento significativamente diverso da quello dettato per i beni che esulano da detta categoria; b) le nuove modalità di determinazione del reddito si armonizzano con l'agevolazione di cui all'art. 8, comma 1, L. n. 431/1998, come già auspicato dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 346/2003), consentendo il cumulo; c) coerentemente con il regime dell'IMU, gli immobili vincolati subiscono un'imposizione patrimoniale sulla base di parametri catastali e un'imposizione sul reddito eventualmente ritratto in base a parametri analitici.
Di qui l'esclusione del vulnus all'art. 3 Cost.
Infine, l'obiettiva difficoltà di ricavare, relativamente agli immobili vincolati, il reddito effettivo da quello locativo, per la forte incidenza dei costi della loro manutenzione e conservazione, giustifica la maggiore riduzione forfettaria applicata rispetto a quella prevista per gli altri immobili ed esclude la violazione dell'art. 53 Cost. Osservazioni
L'impostazione del rimettente riecheggia quella dottrina (S. LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in A. AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario, 1994, Padova) che, nell'ambito delle agevolazioni – genus più ampio, al cui interno rinvenire varie species – ritiene di poter distinguere tra “spese fiscali” (quando il vantaggio tributario rappresenta un sostanziale surrogato di finanziamenti pubblici diretti e sia volto a soddisfare interessi e finalità che attengono al campo dell'utilizzo delle risorse finanziarie) ed “erosioni fiscali” (quando il beneficio, eventualmente per finalità extrafiscali, specifica contenuti, aspetti e limiti della capacità contributiva quale criterio di riparto del concorso alla spesa pubblica). Sul presupposto che il prelievo tributario può essere preordinato non tanto a procurare un'entrata all'Erario (fine fiscale), quanto a realizzare altre finalità (extrafiscali), le “spese fiscali” risponderebbero a una ratio di “extrafiscalità esterna” alla disciplina dei singoli tributi mentre le “erosioni fiscali” a considerazioni di “extrafiscalità interna” a essa. Nel solco di tale prospettiva, nella fattispecie si può, al più, rilevare, in ragione della sopravvenuta modifica normativa, una deambulazione del beneficio dall'uno all'altro campo di appartenenza – in ragione del diverso rapporto sistematico con la disciplina complessiva del tributo interessato – senza che il trattamento si sganci dalla finalità extrafiscale di fondo, continuando a giustificarsi «in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall'art. 9, secondo comma della Costituzione» (Corte cost. n. 346 del 2003 e n. 111 del 2016), parametro a cui seguita a rispondere.
Quanto agli artt. 3 e 53 Cost., la soluzione è coerente con la consolidata giurisprudenza costituzionale, in quanto la disciplina agevolativa in esame – se anche può ingenerare dubbi di opportunità – non è giudicata affetta da palese arbitrarietà o irrazionalità, uniche ragioni per le quali sarebbe censurabile (di recente, Corte cost. n. 177 del 2017), rientrando nella discrezionalità del legislatore «di decidere non solo in ordine all'an, ma anche in ordine al quantum e ad ogni altra modalità e condizione afferente alla determinazione di dette agevolazioni» (Corte cost. n. 108 del 1983), potere nel cui esercizio egli «non è obbligato a mantenere il regime derogatorio, qualora mutino o siano diversamente valutate le condizioni per le quali il detto regime era stato disposto» (Corte cost. n. 174 del 2001), conciliando «le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva» (Corte cost. n. 108/1983, cit.) e contemperandole (Corte cost. n. 134/1982). |