Il termine di sessanta giorni è valido solo nel caso di accessi

Matteo Pillon Storti
07 Giugno 2018

La mancata pronuncia su un motivo di gravame da parte del giudice di merito può essere “risolta” in sede di Cassazione se la questione posta con il motivo suddetto risulta infondata. Solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente è necessario che gli organi accertatori redigano i verbali giornalieri relativi alle operazioni effettuate.
Massima

La mancata pronuncia su un motivo di gravame da parte del giudice di merito può essere “risolta” in sede di Cassazione se la questione posta con il motivo suddetto risulta infondata.

In secondo luogo, solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente è necessario che gli organi accertatori redigano i verbali giornalieri relativi alle operazioni effettuate. Inoltre, solo in questi casi, è valido quanto previsto dall'art. 12 dello Statuto del Contribuente secondo cui l'avviso d'accertamento può essere notificato solo dopo il decorso del termine di 60 giorni.

Il caso

La Corte di Cassazione si è trovata a valutare un caso riguardante un avviso d'accertamento che rettificava in aumento IVA, IRPEF e IRAP dovute per l'anno 2000 a carico del contribuente.

Quest'ultimo proponeva ricorso presso la commissione tributaria provinciale e, in seconda battuta, in commissione tributaria regionale. Entrambi i giudici di merito, tuttavia, riconoscevano la correttezza della pretesa erariale, confermando l'accertamento contestato.

Il contribuente non soddisfatto presentava ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, il fatto che i giudici d'appello non si erano pronunciati nel merito riguardo il motivo con cui il ricorrente evidenziava che i verificatori avevano omesso di redigere i verbali di verifica giornalieri ed il conclusivo processo verbale di constatazione. Il contribuente, inoltre, motivava il proprio ricorso anche in merito al fatto che l'avviso d'accertamento era stato notificato prima del decorso del termine di 60 giorni dalla notificazione del processo verbale di chiusura come previsto dalla legge.

La Suprema Corte ha deciso con sentenza n. 8246, depositata il 4 aprile 2018, rigettando il ricorso e compensando le spese. Il giudice di legittimità ha ricordato come, alla luce del principio costituzionale dell'economia processuale e ragionevole durata del processo, la palese infondatezza del motivo proposto comporta il rigetto del ricorso in sede di Cassazione, sebbene la questione non fosse stata affrontata dai giudici di merito.

In secondo luogo, la suprema corte, ha rigettato anche il motivo con cui il contribuente lamentava il mancato rispetto del tempo intercorrente (60 giorni) fra l'emissione dell'avviso d'accertamento e la notificazione del verbale di chiusura, in quanto tale periodo “sospensivo” è valido solo nei casi in cui vi siano stati accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente.

Nel caso di specie, invece, i verificatori si erano limitati a richiedere al contribuente di far pervenire agli stessi la documentazione necessaria ai fini accertativi. A tale invito, il contribuente acconsentiva spontaneamente.

La questione

La questione riguarda alcune eccezioni sollevate dal contribuente in sede processuale all'interno di un ricorso presentato contro un avviso d'accertamento con cui gli veniva contestato un maggior importo di IVA, IRPEF e IRAP.

Il contribuente presentando il ricorso, tra le altre cose, lamenta il fatto che i verificatori avevano omesso di redigere i verbali di verifica giornalieri, nonché il conclusivo processo verbale di constatazione. In secondo luogo, il ricorrente contesta il fatto che, nonostante la lamentazione suddetta fosse stata sollevata sia in primo grado che in secondo grado, la CTR non l'abbia considerata tanto da non essersi pronunciata nel merito in alcun modo.

Infine, il contribuente contesta l'avviso d'accertamento poiché questo è stato emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla notificazione del processo verbale di constatazione, previsto dall'art. 12 dello Statuto del Contribuente (Legge n. 212/2000).

La Suprema Corte rigettando il ricorso ha confermato la tesi secondo la quale i processi verbali di verifica giornalieri devono essere redatti dal personale addetto all'accertamento fiscale solo nel caso in cui si siano verificati accessi, ispezioni e verifiche. Non invece negli altri casi in cui si svolge un qualche accertamento di natura fiscale (come nel caso di specie).

In secondo luogo la Cassazione ha chiarito che il termine di sessanta giorni è valido solo nel caso in cui l'avviso d'accertamento derivi da attività di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente.

Infine, il giudice di legittimità ha sposato, confermandola, la tesi giurisprudenziale ormai consolidata secondo la quale in sede di Cassazione il giudice può decidere nel merito se la questione non affrontata dal giudice di primo o secondo grado risulta manifestamente infondata.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento la Cassazione ha confermato la tesi giurisprudenziale – Cass. civ. n. 16171/2017 – secondo la quale, tenendo conto dei principi costituzionali di economia processuale e di ragionevole durata del processo, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto.

Seguendo tale principio, in secondo luogo, la Cassazione ha rigettato nel merito la doglianza presentata dal ricorrente relativa alla mancata redazione dei verbali di verifica giornalieri da parte degli organi accertatori. Nel merito la Suprema Corte ha ricordato che tali verbali sono necessari solo nel caso in cui l'accertamento sia conseguente ad un accesso, un'ispezione o una verifica presso i locali dell'azienda, cosa che non è avvenuta nel caso di specie. La CTR quindi non ha violato le disposizioni indicate dal ricorrente nel motivo di appello rimasto privo di statuizione, non essendo tenuti i verificatori, in ipotesi di attività accertativa tutta interna all'Amministrazione finanziaria, a redigere i verbali di verifica giornalieri né quello conclusivo delle operazioni di verifica.

Sempre a seguito del fatto che l'avviso d'accertamento impugnato derivava da un'attività di controllo interna all'Amministrazione finanziaria e non derivava invece da eventuali accessi in ditta, non risulta applicabile quanto previsto dall'art. 12 L. n. 212/2000, in merito al periodo minimo intercorrente – 60 giorni – tra la notifica dell'avviso d'accertamento e la notifica del processo verbale di constatazione. Il comma 7 di tale articolo infatti prevede …dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Sul tema la Suprema Corte si era già espressa – Cass. civ., n. 18184/2013 – affermando che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'inosservanza dell'art. 12 L. n. 212/2000 c. 1 e 3, può determinare la nullità del provvedimento impositivo solo qualora i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali dell'impresa e, dunque, non anche nell'ipotesi di verifica condotta in luoghi diversi.

Osservazioni

La sentenza n. 8246/2018 chiarisce alcuni aspetti particolari, fra i quali:

  • ai fini dell'economia processuale la cassazione può decidere la causa nel merito qualora la questione risulti infondata.
  • i verificatori sono obbligati alla redazione dei verbali di verifica giornalieri nel caso in cui effettuino attività accertative presso la sede dell'impresa e non quando, invece, l'attività di verifica fiscale è tutta interna all'amministrazione finanziaria
  • il rispetto del periodo richiesto dallo Statuto del contribuente di 60 giorni, intercorrente fra la notifica dell'avviso d'accertamento e la notifica del verbale di chiusura delle operazioni è da osservare solo nel caso di accertamenti derivanti da ispezioni effettuati presso i locali dell'impresa e non anche per gli accertamenti effettuati in luoghi diversi.

Riguardo al primo aspetto la suprema corte ha aderito alla tesi giurisprudenziale ormai affermata secondo la quale, anche nell'ottica di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale art. 384 c.p.c., nonché per rispettare i principi costituzionali fra cui quello di ragionevole durata del processo, il giudice di legittimità può, una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo del gravame, decidere la causa nel merito se la questione risulta infondata, sempre che non siano necessari altri accertamenti di fatto.

Riguardo il secondo aspetto la suprema corte ha chiarito come nel caso in cui l'accertamento non abbia comportato alcun accesso presso i locali dell'impresa, come nel caso di specie, ciò comporta il venir meno dell'obbligo dei verificatori di redigere i verbali di verifica giornaliera e quello conclusivo delle operazioni di verifica. Tali verbali, infatti, sono obbligatori, ai sensi dell'art. 52 d.P.R. n. 633/1972, solo ed esclusivamente in caso di accertamenti effettuati tramite accessi presso la ditta contribuente e non anche quando la verifica documentale viene espletata autonomamente dall'amministrazione finanziaria nei propri uffici.

Relativamente al terzo aspetto il giudice di legittimità ha confermato la tesi giurisprudenziale secondo la quale la regola prevista dall'art. 12 c.7 L. n. 212/2000, ossia che fra la data di notifica del processo verbale di chiusura delle operazioni e l'emissione dell'avviso d'accertamento devono trascorrere almeno 60 giorni, è valida solo nel caso in cui i verbalizzanti abbiano effettuato accessi nei locali dell'impresa e non, invece, anche nel caso in cui le verifiche fiscali poste in essere dall'amministrazione finanziaria siano state condotte in luoghi diversi, magari interni all'amministrazione finanziaria stessa.

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