La revoca dell’amministratore del supercondominio è di competenza dell’assemblea plenaria
21 Giugno 2018
Massima
La deliberazione con cui l'assemblea dei rappresentanti dei singoli condominii componenti un complesso supercondominiale decida la revoca dell'amministratore deve ritenersi nulla poiché intervenuta su materia estranea alle sue istituzionali attribuzioni che l'art. 67, comma 3, disp. att. c.c., di carattere eccezionale e di conseguente insuscettibile di applicazione analogica, espressamente limitata alla sola gestione ordinaria delle parti comuni e alla nomina dell'amministratore. Il caso
Il tribunale di Milano aveva dichiarato nulla la delibera con cui l'assemblea c.d. ristretta di un supercondominio, convocata ai sensi dell'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. e composta dai soli rappresentanti di ciascun condominio, aveva proceduto (anche) alla revoca dell'amministratore. Avverso tale sentenza il condominio, soccombente in primo grado, ha interposto gravame. La questione
L'adita Corte d'appello di Milano ha, quindi, affrontato e risolto la quaestio iuris incentrata, in sintesi, sull'individuazione e delimitazione delle competenze decisionali di istituzionale spettanza dell'assemblea dei rappresentanti dei condominii componenti un complesso supercondominiale convocata in applicazione del meccanismo previsto dal comma 3 dell'art. 67 disp. att. c.c. e sui conseguenti rapporti con le funzioni di governo endocondominiale attribuite all'assemblea dei condomini. Le soluzioni giuridiche
Il giudice del gravame ha condiviso la lettura del decidente di prime cure che aveva ritenuto nulla, perché esorbitante ed estranea alle proprie attribuzioni, la deliberazione con la quale la detta assemblea ristretta aveva deciso la revoca dell'amministratore delle parti comuni e ciò ha fatto essenzialmente ribadendo le argomentazioni già poste a sostegno della sentenza appellata alle quali ha prestato piena adesione. Il giudice monocratico aveva sostenuto che la revoca dovesse essere di spettanza dell'assemblea dei proprietari di tutte le unità immobiliari facenti parte del complesso supercondominiale e che inidonee ad attribuirla all'assemblea dei rappresentanti di fabbricato potessero ritenersi le previsioni normative relative all'identità di quorum previsto sia per la designazione che per la revoca dell'amministratore (art. 1136 c.c.) e alla necessaria nomina del nuovo amministratore una volta decisa la revoca (art. 1129 c.c.). La Corte territoriale ha analizzato, sotto un profilo sia formale che sostanziale, la previsione dell'art. 67, comma 3, disp. att., c.c. ribadendone - come già fatto dal Tribunale - la natura di norma eccezionale perché costituente palese deroga al principio generale della massima partecipazione di ciascun condomino all'assunzione di decisioni interessanti i beni comuni, al quale l'istituto del condominio è improntato; ha, poi, ulteriormente valorizzato la differente natura che la fattispecie della revoca presenta rispetto alla designazione. Ha, in particolare, evidenziato che, a differenza della nomina, la revoca può essere determinata da condotte dell'amministratore poste in violazione dei propri doveri gestori e, quindi, laddove si ritenesse la sua adozione - al pari della nomina - di spettanza della assemblea dei soli rappresentanti verrebbe, in conseguenza, rimesso ad una componente ristretta l'apprezzamento circa l'idoneità delle modalità di governo a incorrere in tale misura sanzionatoria, in tal modo attribuendo all'assise minore la possibilità di condizionarne l'operato. Inoltre, dando risalto al dato letterale, dall'omessa indicazione, nella formulazione del disposto normativo, di riferimento alcuno alla revoca ma alla sola nomina ha sostenuto di poter, in tal modo, riscontrare una voluntas legis volta a limitare alla sola designazione la funzione specifica dell'assemblea dei rappresentanti. Osservazioni
La pronuncia in esame interviene, pertanto, in tema di poteri gestori della assemblea dei rappresentanti dei condominii facenti parte di supercomplesso condominiale. Al riguardo, com'è noto, la l. n. 220/2012, di riforma del condominio edilizio, al chiaro fine di predisporre un sistema improntato a maggiore celerità per la gestione dei complessi che si articolano in pluralità di edifici usufruenti tutti di parti e servizi comuni, ha previsto che, laddove si registri un numero di (super)condomini eccedenti sessanta, le decisioni aventi ad oggetto l'amministrazione ordinaria e la designazione dell'amministratore siano assunte da un'assemblea ristretta composta dai rappresentanti di ciascun condominio interessato, all'uopo designati. Finalità indubbiamente apprezzabile, posto che, in ragione dell'oggettiva difficoltà di riuscire ad ottenere la partecipazione, in assemblea, di tutti i proprietari delle singole unità immobiliare di ciascun edificio in numero tale da conseguire i quorum costitutivi e decisionali previsti dall'art. 1136 c.c., riusciva estremamente difficoltosa l'assunzione degli atti gestori di tale natura, aventi rilevanza essenziale per la conservazione e godimento della struttura comproprietaria, lasciando così praticabile, quale sola alternativa, il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi degli artt. 1105 e 1129 c.c.. Tale scopo è stato, però, perseguito predisponendo un meccanismo procedurale alquanto articolato, farraginoso e, in una prospettiva prettamente giuridica, contraddittorio e potenzialmente lesivo delle prerogative proprietarie individuali. Prevede, infatti, la norma di riferimento che ciascun condominio debba designare il proprio rappresentante per l'assemblea ristretta - e, in difetto, deve intervenire in via surrogatoria l'autorità giudiziaria - precisando, poi, che il designato «risponde con le regole del mandato», ma che, nel contempo, «ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto». Il richiamo al contratto di mandato lascerebbe intendere che, in seno a ciascun condominio, la relativa assemblea, oltre a nominare il rappresentante, debba anche dargli indicazioni circa la relativa posizione da assumere con riferimento alle decisioni di spettanza del consesso di destinazione – quindi, approvare o meno il bilancio di gestione ordinaria ovvero contestare l'eventuale inclusione in esso di voci relative a interventi di carattere straordinario o ancora esprimere il nominativo dell'amministratore da designare - poiché, altrimenti, mancherebbero gli “atti giuridici” la cui conclusione per conto del condominio designante il rappresentante sarebbe abilitato a porre in essere, secondo quanto previsto dall'art. 1703 c.c.. Tale lettura si porrebbe in coerenza con l'esigenza di mera semplificazione che la norma in esame dovrebbe soddisfare senza, in tal modo, sacrificare le prerogative dominicali individuali, atteso che l'iniziativa del singolo rappresentante sarebbe in origine determinata secondo le conformi direttive espresse dal consesso assembleare di ciascun condominio interessato. Nel contempo, però, il disposto di legge esclude che l'attività del rappresentante possa essere in qualsiasi modo previamente perimetrata, espressamente sancendo l'inefficacia di eventuale condizione limitativa; in tal modo, lo rende, in sostanza, libero di autodeterminarsi nell'assise ristretta, se del caso anche in contrasto con quanto l'assemblea delegante avesse indicato di esprimere. Ciò varrebbe a significare che la gestione ordinaria delle parti comuni e la designazione dell'amministratore sarebbe rimessa al volere dispositivo - non già dei condomini di ciascun condominio componente il complesso supercondominiale, bensì - del solo suo rappresentante, e così privando, il singolo comproprietario, del potere di disporre, latu sensu inteso, del bene anche in sua appartenenza, secondo quanto, invece, previsto dall'art. 832 c.c. Si pensi al caso che veda l'assemblea di ciascun condominio dare indicazione, al proprio rappresentante, del nominativo del soggetto da sottoporre all'attenzione dell'assise ristretta per la nomina ad amministratore delle c.d. parti comuni e che venga totalmente disattesa dal delegato che esprima, invece, adesione a proposta differente. Va, sul punto, osservato che autorevole dottrina, nel tentativo di offrire a tale sistema di disciplina una strutturazione razionale che ne salvasse la legittimità, ha visto, nella citata previsione, la riaffermazione e trasposizione dei principi relativi alla partecipazione del condomino all'assemblea a mezzo delegato e che vedrebbero ristrette, nei soli rapporti tra delegante e rappresentante, le conseguenze di eventuali violazioni di patti intervenuti all'atto del conferimento della delega, senza incidenza alcuna sulla decisione che fosse stata assunta grazie anche a tale apporto partecipativo. Deve, però, rilevarsi che se, nel caso da ultimo citato, l'intervento tramite delegato è frutto di una scelta volontaria del condomino che, per il principio di auto-responsabilità, deve accettarne tutte le conseguenze, per quel che riguarda l'assemblea ristretta del supercondominio è la norma di legge che impone e preclude, se non a mezzo di rappresentante, l'attivo coinvolgimento del singolo comproprietario negli atti di ordinario governo e di scelta del gestore della comproprietà. Non va, poi, sottaciuto che si enucleano criticità quanto alla possibilità di impugnativa del deliberato della assemblea dei rappresentanti poiché, a rigore, in mancanza di astensione o dissenso del rappresentante il singolo condomino, poiché né assente (stante la partecipazione del proprio mandatario), né dissenziente o astenuto, potrebbe non avere la relativa legittimazione, secondo quanto previsto dall'art. 1137 c.c., con la conseguenza, evidente, di dover subire le altrui decisioni senza disporre di strumento alcuno di reazione e tutela. Tenuto conto di tali profili, al momento ancora non sondati dal diritto vivente nomofilattico, la lettura patrocinata dalla Corte d'Appello ambrosiana deve ritenersi convincente e condivisibile poiché riporta nei canoni della ragionevolezza un sistema di disciplina altrimenti suscettivo di censure tali da poterne compromettere la liceità. Affermandone la natura di norma eccezionale che, in conseguenza, limita alle sole ipotesi tassativamente previste le competenze della assemblea ristretta – quindi, la gestione ordinaria e la designazione dell'amministratore - e nel sostenere che, in conseguenza, tutti gli altri atti aventi inerenza al governo del supercondominio devono ritenersi di spettanza dell'assise allargata ex art. 1135 c.c. viene, in tal modo, a delinearsi un ragionevole equilibrio. Se, infatti, l'attribuzione di singole specifiche incombenze all'assise dei rappresentanti e il conseguente possibile vulnus alle prerogative gestorie individuali si giustifica in ragione delle esigenze di semplificazione e celerità che fanno da pendant alla relativa previsione di legge, il recupero alla competenza dell'assemblea dei condomini di ogni altra determinazione relativa alle parti comuni del condominio complesso interviene anche quale rimedio correttivo ad eventuali condotte di abuso o, comunque, a scelte non conformi alle indicazioni dei condominii deleganti. Sembra, poi, scongiurabile il possibile inconveniente - evidenziato da attenta dottrina - per il quale, laddove la revoca volontaria dell'amministratore venisse espunta dalle competenze dell'assemblea dei rappresentanti si avrebbe la discrasia per la quale all'esercizio di jus poenitendi posto in essere dall'assemblea allargata dovrebbe seguire la nomina del nuovo amministratore da parte dell'assise ristretta. Poiché emanazione derivata di ciascun condominio, non è revocabile in dubbio che l'assemblea dei rappresentanti non possa privare il consesso nel quale confluiscono tutti i condomini di ciascun plesso componente il supercondominio delle proprie fisiologiche facoltà relative alla gestione dei beni e dei servizi in comproprietà. Il richiamo, quanto alla posizione del rappresentante, alle regole del contratto tipico di mandato al quale, comunque, in una prospettiva di qualificazione giuridica deve ricondursi la relazione che lo lega al relativo condominio designante conduce a ritenere che residui, in capo al delegante, il potere di compiere l'atto rimesso al mandatario e la cui adozione, peraltro, secondo quanto previsto dall'art. 1724 c.c., importa la revoca tacita della delega conferita. Pertanto, l'assemblea allargata del supercondominio va reputata titolata, nel rispetto dei quorum stabiliti dall'art. 1136 c.c., all'adozione di ogni atto gestorio, e ciò principalmente di quelli esulanti dalla gestione ordinaria e dalla designazione dell'amministratore - e, quindi, ben può delibare la revoca dell'amministratore designato dall'assemblea ristretta - ma nulla esclude che possa comunque assumere determinazioni anche nelle materie per le quali sussisterebbe la concorrente “competenza” dell'assemblea dei delegati, laddove ne emerga la concreta necessità. Può, quindi, affermarsi che l'assemblea composta dai condomini di ciascun condominio componente il complesso supercondominiale, nel rispetto della previsione dell'art. 1129, comma 10, c.c., decisa la revoca del precedente, possa designare il nuovo amministratore, garantendo, così, la continuità gestoria e senza rimettere ai propri rappresentanti la relativa decisione. In tal modo, si profila della norma ex art. 67 disp. att., c.c. un'esegesi adeguatrice improntata a ragionevolezza e in linea con la salvaguardia delle prerogative proprietarie individuali la cui lesione potrebbe comportarne apprezzamento di illegittimità costituzionale, diretta per violazione dell'art. 42 della carta fondamentale ovvero indiretta per violazione dell'art. 1 del protocollo addizionale della Convenzione EDU. Bordolli, Il supercondominio dopo la legge di riforma, in Immobili & proprietà, 2013, fasc. 8-9; Voi, Assemblea di condominio e supercondominio. Deleghe e mandatari, in Amministrare immobili, 2014, fasc. 184, 10; Cintio, Supercondominio e legittimazione all'intervento nell'assemblea. Riflessioni a margine della novella del 2013, in Giur. it, 2014, 546; Cirla, Il supercondominio, l'assemblea e il diritto ad impugnare le delibere, in Consulente immobiliare, 2013, fasc. 921, 29. |