L'operatività del meccanismo devolutivo dell'appello nel processo tributario

20 Agosto 2018

Il divieto di ius novorum in appello, non è applicabile alle mere difese, laddove, queste ultime non introducendo nuovi elementi di indagine, non pregiudicano la dialettica processuale.
Massima

Il divieto di ius novorum in appello, non è applicabile alle mere difese, laddove, queste ultime non introducendo nuovi elementi di indagine, non pregiudicano la dialettica processuale.

Il caso

L'Agenzia dogane e monopoli impugnava la declaratoria di inammissibilità pronunciata dai giudici di appello. In particolare, i giudici di seconde cure dichiaravano inammissibile l'appello dell'Ufficio muovendo dall'assunto che le deduzioni proposte rappresentavano elementi nuovi e, dunque, inammissibili. La Suprema Corte accoglieva il ricorso presentato dall'Agenzia dogane e monopoli asserendo che “il divieto di proporre nuove eccezioni nel giudizio tributario d'appello non riguarda le mere difese, come quelle opposte dall'amministrazione alle censure del contribuente, deduzioni che invero non introducono alcun nuovo elemento d'indagine”.

La questione

I giudici di seconde cure dichiaravano inammissibile l'appello proposto dall'Agenzia dogane e monopoli muovendo dall'assunto che le deduzioni poste alla base del gravame fossero nuove ed, in quanto tali, inammissibili. L'Ufficio impugnava tale declaratoria. La Suprema Corte accoglieva il ricorso asserendo che “ove pure si fosse limitata in primo grado a una “generica contestazione” dell'avverso ricorso, ben poteva quindi l'amministrazione specificare le sue difese”.

Le soluzioni giuridiche

La quaestio iuris oggetto dell'esaminanda sentenza involve il cd. divieto di ius novorum in appello.

La disciplina trova un primordiale riconoscimento nella normativa processuale ordinaria. Con l'appello, strumento di impugnazione a “critica libera”, la parte soccombente (totalmente o parzialmente) chiede un riesame totale della controversia, talchè il giudizio non genera un nuovo processo, ma costituisce la continuazione del primo per ottenere un riesame e la rimozione degli effetti della pronuncia di primo grado. L'effetto devolutivo dell'appello rappresenta una “rinnovazione” del primo giudizio, non un “nuovo giudizio” a cognizione piena ed autonoma rispetto al rapporto sostanziale esaminato dal giudice di prima istanza. L'appello, in ogni caso, non è uno strumento di impugnazione automaticamente devolutivo, perché avviene nei limiti dei motivi dell'impugnazione, delle domande e delle eccezioni, già proposte in primo grado secondo il noto brocardo tantum devolutum quantum appellatur e al fine di ottenere una rinnovazione del primo giudizio (revisio prioris instantiae). Le questioni e le eccezioni non accolte devono essere riproposte espressamente in appello, altrimenti si intendono rinunciate e non possono costituire oggetto di riesame da parte del giudice di secondo grado. L'oggetto del contendere, per volontà delle parti, può essere ristretto nel passaggio dal giudizio di primo grado a quello di appello (G. M. ESPOSITO, Il sistema amministrativo tributario italiano, Padova, 2017).

Il divieto di nova si fonda sia sull'esigenza di celerità ed economicità dell'attività processuale, sia sull'esigenza di concentrare il giudizio di secondo grado esclusivamente sul riesame della decisione emessa in primo grado. In virtù del fatto che l'appello costituisce la continuazione del primo giudizio, non è possibile apportare alcun mutamento alla domanda, né introdurre nuovi argomenti di disputa. Il divieto di nova in secondo grado riguarda sia le cd. prove costituite, sia le cd. prove costituende, semprechè il giudice di seconde cure le ritenga indispensabili alla decisione sulla causa e qualora non siano state prodotte in primo grado per causa non imputabile alla parte soccombente. La norma di riferimento nel processo civile ordinario è l'art. 345 c.p.c. che, nei primi due commi, pone un preciso divieto di proposizione di nuove domande e di nuove eccezioni, non rilevabili ex officio. Il terzo comma della medesima disposizione, nella sua formulazione originaria, prevedeva, inoltre, l'inammissibilità in appello di nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li avesse ritenuti indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostrasse di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. L'indispensabilità, dunque, rappresentava il presupposto per l'ammissione di nuovi documenti, laddove, per indispensabilità doveva intendersi l'impossibilità (G. ARIETA, F. DE SANCTIS, L. MONTESANO, Corso base di diritto processuale civile, Padova, 2017), per la parte su cui gravava l'onere probatorio, di fornire la prova con altri mezzi. La norma de qua è stata, poi, modificata con il D.L. n. 83/2012, convertito con modificazioni con la Legge n. 134/2012.

La nuova formulazione dell'art. 345, terzo comma c. p. c, pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, nel giudizio di appello, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di “indispensabilità” che, invece, costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima norma (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2017 n. 26522). Tale nuovo orientamento è giustificato dall'esigenza di responsabilizzare la parte che, nonostante l' “indispensabilità” dei mezzi di prova o dei documenti è rimasta inerte, non presentandoli nel giudizio di primo grado. Nel processo tributario la norma di riferimento è l'art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992 che testualmente dispone “nel giudizio di appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio”.

Nessun riferimento è presente al requisito dell'indispensabilità, limitandosi la norma de qua a ribadire il divieto di ius novorum. Diversamente da quanto contenuto all'art. 58 del medesimo decreto che vieta nuovi mezzi di prova a meno che “il giudice non li ritenga necessari ai fini della valutazione della prova ovvero la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa a lui non imputabile”. Stante il principio di specialità di cui all'art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 546/92, in base al quale, in caso di concorso tra norma processuale ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima, l'art. 345, comma 3, c.p.c. non trova applicazione, perché la materia è regolata dall'art. 58 D.Lgs. 546/92 che consente la produzione di nuovi documenti, anche in giudizio di appello. Sul punto si è pronunciata la Suprema Corte, asserendo che “in tema di contenzioso tributario, la produzione di nuovi documenti in appello deve avvenire entro venti giorni liberi antecedenti l'udienza: tuttavia, l'inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato” (Cass. civ., sez. trib., 7 marzo 2018, n. 5429).

La possibilità di depositare documenti, fino a venti giorni prima dalla data di trattazione, e memorie illustrative sino a dieci giorni prima, ha invece lo scopo di illustrare ed argomentare i motivi di ricorso, senza modificarne il thema decidendum (CTR Lazio, Roma, sez. VIII, 28 marzo 2018, n. 1968).

Osservazioni

Considerato che il processo tributario rappresenta un tipico procedimento documentale diventa più agevole l'attività probatoria delle parti e ciò ridimensiona l'applicabilità del divieto di nuove prove in appello, fermi restando i predetti precisi limiti all'esercizio di tale attività probatoria; ovverosia la produzione di nuovi documenti che alterino la controversia curata in primo grado. La produzione di documenti in secondo grado incontra limiti sostanziali, perché gli ulteriori documenti prodotti devono avere una mera funzione di supporto probatorio delle pretese delle parti, ma anche limiti legati a formalità temporali; infatti, l'attività probatoria dovrà essere svolta entro il termine ex art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 (perentorio sanzionabile a pena di decadenza) cioè fino a venti giorni liberi prima dell'udienza. Tra l'altro, i nuovi documenti devono essere allegati agli atti processuali ovvero elencati in nota sottoscritta e depositata in originale (in tante copie quante sono le altre parti).

Secondo i giudici della Suprema Corte, non è precluso alle parti la specificazione di elementi già fatti valere in primo grado trattandosi di un processo, quello tributario, fondato sostanzialmente sui “documenti” prodotti in giudizio.

Il divieto di ius novorum, subisce un ridimensionamento giustificato dalla natura documentale del processo tributario.

Tutto quanto è a sostegno di pretese già fatte valere è ammissibile, purché non introduca un nuovo argomento di valutazione e non pregiudichi la dialettica processuale. La ratio è da individuarsi nella necessità di assicurare il pieno contraddittorio tra le parti che sarebbe inevitabilmente pregiudicato dall'introduzione di elementi nuovi. Possono essere prodotti documenti nuovi solo in relazione a fatti e pretese già avanzate, purchè non importino la necessità di un ulteriore confronto tra le parti. La specificazione o la precisazione di una pretesa già fatta valere non può considerarsi in pregiudizio del diritto al contraddittorio.

Il divieto di “nova” in appello è connaturale al principio del doppio grado di giurisdizione, per cui l'appello è uno strumento di “riesame” della “stessa” controversia ovvero delle stesse domande ed eccezioni proposte in primo grado anche se l'art. 58, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 consente la produzione delle cd. prove costituende, cioè di nuovi documenti, qualora il collegio li ritenga indispensabili cioè potenzialmente idonei ad una riforma della decisione e non prodotti in primo grado per causa non imputabile alla parte. In conclusione il divieto di produzione di nuovi documenti, vige esclusivamente qualora gli stessi amplino la materia del contendere ovvero siano a supporto di nuove domande o eccezioni. Tecnicamente si distingue l'emendatio libelli (che non implica domande nuove) e la mutatio libelli (che implica, invece, la novità della domanda).

L'effetto devolutivo, infatti, conferisce al secondo giudice la cognizione, piena ed autonoma, sullo stesso rapporto sostanziale, rispetto al primo giudice.

La ratio del divieto risponde all'esigenza della individuazione dell'appello come revisio prioris instantiae e non un novum iudicium. Premesso quanto suesposto, ne consegue che le prove sono ammesse se volte a provare fatti o circostanze già dedotti in primo grado e il potere di disporre nuove prove è sempre vincolato alla normativa per cui i poteri del giudice tributario di secondo grado vanno esercitati nei limiti dei fatti già dedotti dalle parti in primo grado.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.