Disciplina fiscale in tema di stock options

27 Agosto 2018

Al momento in cui è offerto il diritto di opzione, l'evento generatore di ricchezza, cioè l'incremento di valore delle azioni rispetto al prezzo d'acquisto fissato per l'esercizio della stock option, è futuro ed incerto, sicché non può insorgere alcun presupposto generatore di imposta. L'indice generatore del reddito, e dunque l'insorgere del presupposto impositivo, interviene quindi nel momento in cui la ricchezza si manifesta, con l'esercizio del diritto di opzione e l'assegnazione delle azioni verso il pagamento di un corrispettivo inferiore al valore espresso dai quei medesimi titoli al momento dell'acquisto. Tale momento giuridico rileva anche ai fini della disciplina applicabile in tema di agevolazioni fiscali, senza che si possa parlare di effetto retroattivo (nel caso di specie, sfavorevoli) delle norme nel frattempo intervenute.
Massima

Al momento in cui è offerto il diritto di opzione, l'evento generatore di ricchezza, cioè l'incremento di valore delle azioni rispetto al prezzo d'acquisto fissato per l'esercizio della stock option, è futuro ed incerto, sicchè non può insorgere alcun presupposto generatore di imposta. L'indice generatore del reddito, e dunque l'insorgere del presupposto impositivo, interviene quindi nel momento in cui la ricchezza si manifesta, con l'esercizio del diritto di opzione e l'assegnazione delle azioni verso il pagamento di un corrispettivo inferiore al valore espresso dai quei medesimi titoli al momento dell'acquisto. Tale momento giuridico rileva anche ai fini della disciplina applicabile in tema di agevolazioni fiscali, senza che si possa parlare di effetto retroattivo (nel caso di specie, sfavorevoli) delle norme nel frattempo intervenute.

Il caso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18917 del 17/07/2018, ha chiarito il trattamento fiscale in tema di stock options.

Nel caso di specie, il contribuente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Il contenzioso traeva origine dal silenzio rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria alla richiesta di rimborso di Euro 2.471.227,10, corrispondenti a quanto ritenuto alla fonte da una società assicurativa, in relazione alla tassazione di operazioni di assegnazione di azioni, conseguenti l'esercizio di una stock option.

Più a monte la vicenda traeva origine dall'aumento di capitale sociale che la stessa società aveva deliberato nel 2005 e dal regolamento relativo al "Piano di stock options 2005-2008 riservato ad amministratori".

In relazione a tale piano erano infatti attribuite all'allora amministratore delegato della società, opzioni per la sottoscrizione di 585.000 azioni, al prezzo di esercizio di Euro 11,25.

Nel giugno del 2005, in un quadro complessivo di rinegoziazione delle componenti remunerative del suo rapporto di lavoro con la società, l'amministratore aderiva al piano, con mail che ne anticipava l'adesione, trasmessa 1'8 maggio 2005.

Il piano prevedeva la data di esercitabilità dell'opzione nel periodo 16 marzo 2008/16 settembre 2008.

Nelle difese in giudizio il ricorrente amministratore affermava dunque che l'adesione trovava ragione nel trattamento fiscale agevolato, di cui all'epoca godeva tale componente remuneratoria.

Successivamente si verificava che:

1) nell'anno 2006 il gruppo di controllo della società cedeva la sua partecipazione ad altra società assicurativa;

2) il nuovo consiglio di amministrazione, il 4 ottobre 2006, deliberava l'anticipazione del periodo di esercizio della opzione, fissandolo tra il 5 ottobre 2006 ed il 15 novembre 2006;

3) nel novembre 2006 il ricorrente esercitava quindi l'opzione, con sottoscrizione delle 585.000 azioni al corrispettivo di Euro 6.581.250,00 (secondo il prezzo già fissato di Euro 11.25);

4) al momento dell'esercizio della opzione il valore delle azioni era pari di Euro 21,074, sicchè il valore dei titoli complessivamente assegnati era di Euro 12.328.290,00;

5) nelle more erano intanto però intervenute due modifiche normative sul trattamento fiscale di tale tipologia di operazioni, precedentemente disciplinate nell'art. 48 TUIR (poi divenuto art. 51, lett. g bis) e precisamente quelle introdotte con il D.L. n. 223 del 4 luglio 2006 (art. 36 co. 25), conv. Con modificazioni in L. n. 248/2006, e successivamente con il D.L. 3 ottobre 2006 (art. 2, co. 29), conv. con modificazioni in L. n. 286/2006 (per completezza l'art. 82, co. 23 del D.L. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008, ha poi definitivamente abrogato il regime agevolato);

6) queste modificazioni, introducendo un comma 2-bis nell'art. 51 cit., riducevano l'area applicativa della disciplina agevolativa, richiedendo requisiti più stringenti per la sua applicazione alle operazioni di stock options;

7) tenendo conto della disciplina sopravvenuta, la società riteneva quindi di sottoporre a tassazione la differenza tra il prezzo delle azioni fissato al momento della attribuzione del diritto di opzione e il prezzo delle azioni al momento dell'esercizio del diritto di opzione e conseguente assegnazione delle azioni;

8) ne era dunque eseguita una ritenuta alla fonte complessiva di Euro 2.471.227,10 corrispondente alla aliquota del 43% applicabile al contribuente;

9) il contribuente, ritenendo invece non dovuta la tassazione, chiedeva all'Amministrazione il rimborso delle imposte versate, ricevendone il silenzio rifiuto.

Nel contenzioso seguitone, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano rigettava il ricorso.

Adita la Commissione Tributaria Regionale lombarda, era rigettato anche l'appello.

Il contribuente ricorreva infine in Cassazione, censurando la sentenza, tra le altre, per violazione e falsa applicazione dell'art. 3, co. 12, del D.L. n. 262/2006, conv. in L. n. 286/2006, dell'art. 11 Preleggi, degli artt. 3 e 10 della L. n. 212/2000, e dell'art. 41 Cost., per essere stato erroneamente ritenuto che il presupposto dell'agevolazione (introdotta per la prima volta dall'art. 13, del D.Lgs. n. 505/1999) fosse individuabile nell'assegnazione delle azioni, anziché nell'adesione del dipendente al piano di stock options, conseguentemente applicando al caso di specie la normativa restrittiva sopravvenuta.

Il ricorrente censurava poi la sentenza della CTR anche per non aver tenuto conto, laddove fosse stato anche correttamente ricondotto il presupposto applicativo dell'agevolazione all'assegnazione delle azioni, che, trattandosi di imposta periodica, le disposizioni innovative andavano applicate dall'anno d'imposta successivo, come previsto espressamente dall'art. 3 dello Statuto del contribuente, e dunque non dal 2006, ma dal periodo d'imposta 2007.

In conclusione, chiedeva la cassazione della sentenza e, in subordine, che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, co. 12, del D.L. n. 262/2006, conv. in L. n. 286/2006, per violazione degli artt. 53 e 41 Cost., nonché degli artt. 3 e 10 L. n. 212/2000.

La questione

La CTR aveva ritenuto che il trasferimento di proprietà dei titoli azionari e dei diritti in essa incorporati si fosse perfezionato solo con l'assegnazione delle azioni.

Con il primo motivo di ricorso il contribuente censurava, quindi, la sentenza, laddove questa identificava il verificarsi del presupposto applicativo della disciplina agevolativa nel momento di esercizio del diritto di opzione e assegnazione delle azioni e non in quello, anteriore, di adesione del beneficiario al piano di stock option.

A sostegno della tesi contraria a quella assunta dal giudice regionale invocava il principio di irretroattività del D.L. n. 262/2006, appellandosi all'individuazione del momento in cui si era perfezionato il presupposto generatore dell'esenzione e invocando la tutela dell'affidamento e della certezza del diritto.

Con il primo ordine di argomentazioni, il ricorrente evidenziava infatti che la disciplina restrittiva, intervenuta nelle more della vicenda, era comunque successiva all'adesione al piano di stock options deliberato nel 2005, sicchè l'applicazione della normativa sopravvenuta al caso di specie avrebbe avuto effetti retroattivi. Il che era vietato sia dal principio enunciato dall'art. 11 Preleggi, sia, nella specificità del rapporto tributario, dall'art. 3, co. 1, della L. n. 212/2000.

Con il secondo ordine di argomentazioni, il medesimo contribuente, sosteneva poi che il presupposto generatore dell'esenzione fiscale andava ricondotto alla finalità per la quale l'agevolazione stessa era stata concessa.

Nel caso di specie, quando l'esenzione fu originariamente introdotta (nel 1999), la finalità perseguita dal legislatore con l'esenzione fiscale era stata infatti quella di stimolare i dipendenti al miglioramento produttivo dell'azienda, cosicchè, collegando, mediante le stock options, parte della retribuzione ad una componente variabile, che si incrementava con la crescita di valore della azienda stessa, ne derivava il maggior impegno profuso dal dipendente, incentivato dalla prospettiva di maggiori guadagni.

Con la disciplina introdotta nel 2006, invece, sempre secondo il contribuente, le finalità perseguite dal legislatore erano state mutate e si identificavano nella fidelizzazione del dipendente (di qui l'introduzione dei requisiti più stringenti sotto il profilo della tipologia di società cui applicare la disciplina, e, soprattutto, con le modifiche del D.L. n. 262/2006, la previsione di tempi minimi per l'esercizio del diritto di opzione, nonché per la cessione delle azioni medesime).

Nel caso di specie, però, l'adesione al piano risaliva alla formulazione originaria della disciplina e dunque a quel momento andava ricondotto il presupposto generatore delle agevolazioni, sicchè l'applicazione della normativa successiva avrebbe comportato la retroattività di un meccanismo di funzionamento della struttura agevolativa avente finalità del tutto distinte rispetto all'originario meccanismo generatore.

Con il terzo ordine di argomentazioni, infine, il contribuente si duoleva del fatto che una diversa interpretazione si sarebbe posta in insanabile contrasto con principi di rango costituzionale e comunitario, posti a tutela del legittimo affidamento del cittadino, e, in particolare, con l'art. 41 Cost. e con l'art. 10 dello Statuto del contribuente.

In sintesi, il ricorrente denunciava che in tanto aveva aderito al piano di stock option, nella rideterminazione delle componenti del suo trattamento remunerativo, in quanto la prospettiva era economicamente più vantaggiosa per l'esenzione da tassazione delle plusvalenze che avrebbe conseguito nell'acquisto delle azioni al momento dell'esercizio della opzione e della assegnazione delle medesime.

E tale affidamento sarebbe stato disatteso se di quelle agevolazioni non avesse potuto più goderne.

Secondo il contribuente, inoltre, il D.L. n. 262 cit. era applicabile solo alle fattispecie in cui i piani di stock options fossero stati deliberati successivamente al 3 ottobre 2006, e non anche alle ipotesi in cui i deliberati fossero di data anteriore.

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo, anche di recente, di pronunciarsi sulla materia, e in particolare su quale sia il presupposto generatore della disciplina agevolativa applicabile, affermando che, in tema di determinazione del reddito di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione applicabile ratione temporis alle cosiddette stock options va individuata in quella vigente al momento dell'esercizio del diritto di opzione da parte del lavoratore, indipendentemente dal momento in cui l'opzione sia stata offerta, atteso che l'operazione cui consegue la tassazione non va identificata nell'attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell'effettivo esercizio di tale diritto mediante l'acquisto delle azioni, il quale costituisce il presupposto dell'imposizione commisurata proprio sul prezzo delle stesse e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato (Cass. civ., sez. trib., n. 9465/2017).

Questa soluzione era stata già affermata dal giudice di legittimità, anche con riferimento alla disciplina vigente in epoca anteriore alle modifiche avvenute nel 2006, avvertendosi che il presupposto impositivo insorge non al momento della offerta della opzione, ma in quello del suo esercizio (cfr. Cass. civ., n. 11413/2015; Cass. civ., n. 13088/2012).

La Suprema Corte condivide tale orientamento anche nella pronuncia in commento, ritenendo pertanto il ricorso infondato.

I giudici di legittimità, infatti, non ritengono di condividere le argomentazioni riferite alla violazione del divieto di retroattività della norma tributaria, dato che il ragionamento della difesa implicava una premessa giuridica non corretta, ossia che il presupposto generatore della disciplina agevolativa introdotta nel '99 fosse riferito all'offerta (gratuita) del diritto di opzione.

Sennonché, evidenzia la Corte, il diritto di opzione, che non ha un significato diverso nel sistema giuridico tributario rispetto alla struttura civilistica, è un contratto, certo distinto dalla unilaterale proposta irrevocabile, ma con il quale una delle parti resta parimenti vincolata alla propria dichiarazione, con gli effetti della proposta irrevocabile previsti dall'art. 1329 c.c.

Con esso l'optato assume quindi un'obbligazione a ciò solo limitata, senza che tuttavia l'oggetto del diritto di opzione sia ancora divenuto oggetto del negozio in funzione del quale l'opzione è assunta; tant'è che l'opzionario non è a sua volta vincolato ad accettare la proposta, e anzi quella sua "facoltà di accettare o meno" costituisce la seconda situazione giuridica essenziale della fattispecie prevista dall'art. 1331 c.c., il che esclude che, sino all'esercizio di quella libertà di scelta, possa ritenersi in qualche modo venuto ad esistenza il contratto finale, e men che meno che possano prodursi i suoi effetti.

Ancorchè dunque voglia ritenersi che l'opzione si atteggi come fase preparatoria del negozio optato (in dottrina si parla della funzione preparatoria della futura costituzione negoziale di un regolamento di interessi), ciò, secondo la Cassazione, non è sufficiente per ritenere insorto il presupposto generatore di un'imposta diretta, e di un'agevolazione ad essa collegata, non potendosi ricondurre la complessiva vicenda negoziale neppure nelle fattispecie a formazione progressiva.

In tale contesto, peraltro, la prospettiva della applicazione di una disciplina agevolativa fiscale costituisce solo un ulteriore, e "altro", vantaggio per l'opzionario, comunque dipendente dal verificarsi delle condizioni che rendono opportuno l'esercizio della opzione, laddove il vantaggio principale e primario resta invece proprio il verificarsi dell'incremento di valore del bene (nel caso di specie le azioni) offerto in opzione, senza il cui evento non vi sarebbe alcun aumento di ricchezza, e per conseguenza nessun presupposto applicativo di agevolazioni fiscali.

A ben vedere, anzi, al momento in cui è offerto il diritto di opzione, l'evento generatore di ricchezza, cioè l'incremento di valore delle azioni rispetto al prezzo d'acquisto fissato per l'esercizio della stock option, è futuro ed incerto, sicchè non può insorgere alcun presupposto generatore di imposta. E, per conseguenza non poteva essere insorto neppure alcun presupposto generatore di esenzione, essendo illogico che si generi il presupposto di una esenzione fiscale se non vi è ancora il presupposto generatore dell'imposta cui applicare quella esenzione.

L'indice generatore di un reddito, e l'insorgere del presupposto impositivo, conclude la Cassazione, era quindi intervenuto nel momento in cui la ricchezza si era manifestata, con l'esercizio del diritto di opzione e l'assegnazione delle azioni verso il pagamento di un corrispettivo inferiore al valore espresso dai quei medesimi titoli al momento dell'acquisto.

L'insorgenza del presupposto d'imposta era coinciso dunque con l'astratta insorgenza del diritto alle agevolazioni, in concreto poi spettanti o meno se e nella misura in cui fossero stati riscontrati i requisiti richiesti dal legislatore per la sua fruizione.

Ciò chiarito, doveva, in conclusione, escludersi che l'applicazione della disciplina, entrata in vigore dal 3 ottobre 2006, avesse violato il principio di non retroattività della norma tributaria, così come doveva escludersi che il momento perfezionativo del presupposto generatore della esenzione andasse ricondotto alla offerta del diritto di opzione e non all'esercizio della opzione.

Né, ad avviso della Suprema Corte, erano condivisibili le critiche in ordine al contrasto con i principi dell'affidamento e della certezza del diritto.

Se il diritto di opzione, nello spazio temporale dell'attesa che maturino le condizioni di vantaggio per il suo esercizio, può assicurare una speranza di conseguimento di una ricchezza ma alcuna certezza in tal senso, doveva infatti escludersi che il contribuente potesse aver fatto affidamento sulla cristallizzazione di una disciplina agevolativa.

Se non vi era certezza nell'incremento di valore delle azioni al momento della offerta del diritto di opzione risultava incomprensibile anche quale danno sarebbe stato imputabile al mutamento di disciplina rispetto ad una situazione che, tanto in punto di diritto quanto in termini economici, costituiva una mera speranza di incremento di valore e null'altro.

Se poi il contribuente, come riferiva, aveva attribuito importanza decisiva alla disciplina fiscale favorevole, vigente all'epoca in cui aveva aderito al piano di attribuzione di azioni con l'offerta gratuita del diritto di opzione, questo atteneva comunque solo alla sfera dei motivi personali della scelta assunta, irrilevante anche nei confronti della controparte e ancor più rispetto alla disciplina erariale.

E del resto, ricorda la Cassazione, è la stessa Corte Costituzionale ad aver affermato che «il valore del legittimo affidamento non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici "anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti", purchè ciò avvenga alla condizione "che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica» (cfr. C. Costituzionale, sent. n. 149/2017).

Laddove, nel caso in esame, non c'erano comunque né diritti soggettivi, perfetti e riconoscibili, né le successive modifiche alla disciplina dettata in materia di agevolazioni nel trattamento fiscale delle stock options apparivano irrazionali e irragionevoli.

Infine, la Cassazione rileva come, in ogni caso, tutta la disciplina preposta alla regolamentazione delle agevolazioni fiscali in materia di stock option non ha mutato le sue finalità di fondo, dalla sua originaria introduzione nel '99 alla sua definitiva abrogazione.

Nel senso che, pur se si riscontra il mutamento dei requisiti, più restrittivi per la sua fruizione a partire dal 2006, e pur se si avverte il passaggio dal puro obiettivo del perseguimento della incentivazione dei dipendenti, in ragione dell'aumento di produttività (1999), al diverso intento di assicurare una maggiore fidelizzazione del dipendente (novelle del 2006), la finalità della disciplina complessiva è rimasta sempre quella della parziale sostituzione del criterio remunerativo del lavoro compensato solo con elementi fissi, con un criterio più fluido, relazionato ad una maggiore responsabilizzazione del dipendente alla sorte della azienda.

Conseguentemente, anche il denunciato mutamento delle finalità della normativa era del tutto irrilevante, rendendo irragionevoli interpretazioni che identificassero diversi momenti applicativi delle modificazioni normative.

Osservazioni

Le stock options sono opzioni che danno il diritto di acquistare azioni di una società (quotata) ad un determinato prezzo d'esercizio. Azioni e opzioni vengono distribuite come incentivo ad aumentare la produttività.

Le azioni vengono valorizzate ad un prezzo inferiore al prezzo di mercato (la quotazione di borsa al momento della vendita) contro la legge di concentrazione che prevede che qualsiasi scambio di azioni da parte di qualunque soggetto economico, non possa avvenire al di fuori della borsa. Il conferimento però è legittimo poiché il dipendente non paga le azioni/opzioni. Le azioni in quanto sono un frazionamento della proprietà dell'impresa, come qualunque proprietà, possono essere infatti cedute gratuitamente o contro un prezzo e la legge di concentrazione impone lo scambio in Borsa solo in caso di vendita, ma non dà limiti alla donazione.

Tale meccanismo consente un'opportunità di guadagno mediante la rivendita o l'esercizio delle stesse opzioni in Borsa, quando il prezzo d'esercizio fissato è inferiore al valore al quale è quotato il titolo il giorno del conferimento dell'opzione, o nei giorni precedenti.

Di norma, il piano di stock options prevede un acquisto di titoli articolato in varie fasi: la società, in sostanza, rilascia una proposta irrevocabile (ai sensi dell'art. 1329 del Codice civile) a vantaggio dei beneficiari, conferendo a questi ultimi la facoltà di posticipare l'acquisto delle azioni. In tal modo, il dipendente è messo nelle condizioni di lucrare sulla crescita attesa del valore dei titoli della società emittente e quest'ultima, da parte sua, realizza lo scopo di fidelizzare il dipendente medesimo che, presumibilmente, sarà maggiormente motivato a prestare la propria opera all'interno dell'impresa per migliorarne i risultati gestionali.

Fino al 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del D.L. n. 112/2008, il plusvalore realizzato non doveva essere inserito nella dichiarazione dei redditi con il sistema della tassazione ordinaria e progressiva per scaglioni, ma era assoggettato ad un'imposta sostitutiva del 12,50% secondo il regime del capital gain.

Questo trattamento fiscalmente favorevole era subordinato però alla sussistenza di varie condizioni ed era comunque il frutto finale di varie modifiche normative succedutesi nel tempo.

La lettera g-bis dell'articolo 51, comma 2 del TUIR prevedeva infatti, in origine, l'esenzione di una parte del reddito di lavoro dipendente, pari alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione del diritto di pozione e l'ammontare corrisposto dal dipendente per l'esercizio dell'opzione, a condizione che l'importo pagato dal lavoratore fosse almeno pari al valore delle azioni alla data dell'offerta e che le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentassero una quota superiore al 10%.

L'art. 36, comma 25 del D.L. n. 223/2006 (Legge n. 248/2006), con valenza tra il 04 luglio 2006 e il 02 ottobre 2006, era poi intervenuto ad aggiungere altre condizioni, in mancanza delle quali la differenza costituiva comunque reddito di lavoro dipendente.

Le azioni offerte infatti, a seguito della citata modifica normativa, non dovevano essere cedute, né costituite in garanzia prima di cinque anni dall'assegnazione e il valore delle azioni assegnate non doveva essere complessivamente superiore, nel periodo di imposta, alla retribuzione lorda annua del dipendente relativa al periodo di imposta precedente.

L'art. 3, comma 12, del D.L. n. 262 del 3 ottobre 2006 ha poi sostituito le previsioni introdotte dal comma 25 dell'articolo 36 del D.L. “Visco-Bersani”. Tale ultima norma, peraltro, nel testo iniziale, aveva già previsto l'eliminazione della disciplina agevolativa in materia di stock options e l'abrogazione della citata lettera g-bis) dell'articolo 51). Tale eliminazione era però poi stata accantonata a favore di un'integrazione del comma 2-bis dell'art. 51 del TUIR, mediante l'aggiunta delle condizioni prima citate.

Il collegato fiscale alla Finanziaria 2007 (art. 3, comma 12 del D.L. n. 262/2006 convertito in Legge n. 286/2006) ha dunque eliminato il parametro retributivo e ha introdotto nuove condizioni ai fini del diritto all'esenzione, stabilendo che l'opzione doveva essere esercitabile non prima di tre anni dall'attribuzione, che, al momento dell'esercizio dell'opzione, la società fosse quotata in mercati regolamentati e, infine, che il beneficiario mantenesse, per almeno cinque anni successivi all'esercizio dell'opzione, un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente.

Tali disposizioni, come detto, hanno esplicato la loro efficacia tra il 3 ottobre 2006 e il 24 giugno 2008.

Tale disciplina era stata però criticata per alcune sue incongruenze, essendo stato infatti evidenziato come l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 51, comma 2, lettera b-bis) del Testo unico delle imposte sui redditi, come modificata dal D.L. n. 223/2006 e, successivamente, dal D.L. n. 262/2006, potesse comportare fenomeni di doppia imposizione fiscale.

In tal caso l'imposta pagata in più poteva essere chiesta a rimborso, ai sensi dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Qualora poi i termini per esperire l'istanza di rimborso fossero scaduti il contribuente poteva attivare la procedura di cui all'art. 21, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ossia presentare domanda di restituzione dell'imposta entro due anni dal giorno in cui si era verificato il presupposto per la restituzione (cioè dal momento della cessione delle azioni prima dello scadere del quinquennio).

Forse anche per eliminare tali tipi di problemi e incongruenze è intervenuto l'art. 82, commi 23 e 24 del D.L. n. 112/2008, che ha cancellato l'agevolazione sulle stock option, eliminando ogni regime di favore e prevedendone la tassazione integrale.

L'abrogazione dell'agevolazione per le stock option riguarda del resto non solo i “nuovi” piani, ma anche a quelli già deliberati per i quali, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112/08 (25 giugno 2008), le opzioni non fossero state ancora esercitate.

In conclusione, l'agevolazione prevista per le stock option rispondeva al contempo ad esigenze di premio fiscale per una forma di retribuzione variabile e ad esigenze imprenditoriali, laddove, in particolare, la disposizione di esenzione di cui alla lett. g-bis mirava a creare valore d'impresa e a trattenere i dipendenti più capaci.

Agevolazioni di natura tributaria e contributiva sono del resto in linea con i principi costituzionali di cui all'art. 46 Cost., che stabilisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende e 47, comma 2, Cost., che riconosce l'accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario.

O, almeno, sono in linea con tali principi fino a che rappresentano una sorta di premio aggiuntivo a fronte dell'impegno profuso da un imprenditore-manager per il bene dell'azienda. Agevolazioni fiscali in tal senso non erano invece più giustificate in un contesto in cui non vi era più un rapporto chiaro fra impegno profuso, risultati conseguiti e stock options stesse.

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