Il trasferimento della residenza all'estero non rileva ai fini fiscali sino alla cancellazione dall'anagrafe

Claudio Sciancalepore
30 Agosto 2018

Ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano in ogni caso residenti, in applicazione del criterio formale dettato dall'art. 2 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e pertanto soggetti passivi d'imposta in Italia con la conseguenza che il trasferimento della residenza all'estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall'anagrafe di un Comune italiano.
Massima

Ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano in ogni caso residenti, in applicazione del criterio formale dettato dall'art. 2 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e pertanto soggetti passivi d'imposta in Italia con la conseguenza che il trasferimento della residenza all'estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall'anagrafe di un Comune italiano.

Il caso

Il caso riguarda una persona fisica che ha compiuto un'attività fiscalmente rilevante sul territorio italiano, pur svolgendo la propria attività lavorativa nel Regno Unito, ove ha pagato le relative imposte. L'Agenzia delle Entrate, ritenendo che quest'ultimo risiedesse in Italia, emetteva avvisi di accertamento sintetico per Irpef relativamente agli anni 2007 e 2008, determinando un maggior reddito presuntivamente calcolato sulla base di spese per incrementi patrimoniali sostenute dal contribuente ed infliggeva le sanzioni per omessa dichiarazione. Gli accertamenti venivano impugnati dinanzi alla CTP Bari, che accoglieva il ricorso, da un lato disconoscendo la residenza italiana del contribuente e dall'altro dando atto che la provvista finanziaria per l'investimento effettuato in Italia derivava dai redditi inglesi, regolarmente tassati nel Regno Unito. Avverso tale pronuncia, l'Agenzia proponeva appello incentrando maggiormente l'attenzione sulla residenza fiscale italiana del contribuente ma la CTR di Bari lo respingeva ritenendo il contribuente residente nel Regno Unito sin dal 2006 “giusta certificato del Consolato Generale d'Italia Londra”. A tale conclusione i giudici di appello giungevano considerando ininfluenti sia la sussistente residenza fiscale in Italia nel periodo di riferimento sia la tardiva iscrizione all'anagrafe dei cittadini residenti all'estero (AIRE), disciplinata dalla L. n. 470/1988, rispetto al periodo interessato dall'attività di accertamento. Altresì irrilevante veniva ritenuta la carica rivestita dal contribuente di legale rappresentante di una società per azioni, avente sede sul territorio italiano, in quanto avvenuta in un periodo successivo a quello oggetto di accertamento, e precisamente nel 2009.

L'Amministrazione finanziaria ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della CTR di Bari facendo valere la residenza fiscale italiana del contribuente dovuta alla tardiva iscrizione all'AIRE, avvenuta solo nel 2014 e, quindi, successivamente alle annualità oggetto dell'accertamento nonché l'omessa presentazione della dichiarazione pur in presenza dello svolgimento in Italia di attività fiscalmente rilevante.

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso dell'Agenzia delle Entrate, chiarendo che i soggetti residenti fiscalmente in Italia devono presentare la dichiarazione dei redditi inserendo nella stessa anche i redditi esteri conseguiti durante il periodo d'imposta di riferimento. L'impugnata sentenza, pertanto, viene cassata, con rinvio alla CTR di Bari in diversa composizione.

La questione

La messa a fuoco della questione che sta alla base dell'ordinanza in commento, valorizza essenzialmente quella che è la definizione di residenza fiscale, da cui occorre partire.

La Corte di Cassazione ricorda come la definizione di residenza fiscale, contenuta nell'art. 2 del TUIR, comporta che si considerino residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente ovvero abbiano nello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile. Con metodo rigorosamente formale i giudici vagliano la questione di legittimità relativa alla particolare fattispecie oggetto di ricorso, evidenziando che i soggetti residenti fiscalmente nel territorio dello Stato sono tassati per i redditi ovunque prodotti. La Cassazione in base al brocardo latino per cui in claris non fit interpretatio, non ha nessun tipo di esitazione nel decidere che ciò che conta, ai fini giuridici, perché sussista la presunzione di residenza nel territorio dello Stato sia l'iscrizione nelle Anagrafi della Popolazione Residente che, peraltro, nel caso di specie riguarda l'intera annualità e non solo “la maggior parte del periodo d'imposta”.

La Corte Suprema richiama l'orientamento della consolidata giurisprudenza sul tema, fra cui la sentenza n. 21970/2015 che aveva già applicato il criterio formale contenuto nell'art. 2 del TUIR.

Tale principio comporta, senza possibilità di diversa interpretazione, che le persone iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente si considerano in ogni caso, residenti; da tanto la Corte ne fa conseguire che la predetta iscrizione preclude qualsivoglia ulteriore accertamento in tal senso.

Ne deriva che il trasferimento della residenza all'estero non assume alcuna rilevanza fino al momento in cui non avvenga la cancellazione materiale dai registri dell'anagrafe di un Comune italiano del soggetto fuoriuscito dai confini del territorio nazionale.

I soggetti considerati residenti in Italia sono soggetti passivi d'imposta nel medesimo Paese. In tal senso interviene la previsione di cui all'art. 3 del TUIR che, per estrema chiarezza, viene integralmente trascritta dai magistrati nella ordinanza in esame, al fine di rimarcare che i soggetti che vengono individuati come fiscalmente residenti nel territorio dello Stato, sono soggetti passivi d'imposta in Italia e, pertanto, ivi tassati per i redditi ovunque prodotti.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 2 del TUIR individua tre criteri alternativi per individuare quale soggetto passivo dell'IRPEF una persona fisica:

  1. iscrizione alle Anagrafi della Popolazione Residente;
  2. avere il domicilio in Italia;
  3. avere la residenza in Italia.

Per essere assoggettati ad imposizione è sufficiente che solo uno dei criteri si realizzi per almeno 183 giorni.

Nel caso in esame, la mancata cancellazione dall'anagrafe comunale e la tardiva iscrizione all'AIRE hanno reso legittima la tassazione. A nulla è valso dimostrare l'effettiva residenza nel Regno Unito, Stato in cui si svolgeva effettivamente l'attività lavorativa ed in cui si è presentata la dichiarazione dei redditi ed il conseguente versamento delle imposte dirette.

La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, ribadito che l'iscrizione anagrafica rappresenta un atto formale che prevale sulla sostanza costituendo una presunzione assoluta. Il trasferimento della residenza in uno Stato estero da parte di un contribuente italiano, pertanto, non rileva sino alla cancellazione dalle Anagrafi della Popolazione Residente. Se il criterio formale dell'iscrizione anagrafica appare, da un lato un evidente appesantimento burocratico, richiedendo la cancellazione dall'elenco anagrafico e l'iscrizione all'AIRE, è pur vero che, dall'altro, assume una funzione deflattiva del contenzioso, conferendo certezza del diritto rispetto ai più sfumati concetti di domicilio e residenza, richiamati dall'art. 2 del TUIR. Quest'ultimo rimanda al codice civile per le nozioni di residenza e di domicilio: l'art. 43 c.c. definisce residenza “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale” e il domicilio “il luogo in cui essa ha stabilito la sede dei suoi affari ed interessi”.

L'insegnamento della Corte di Cassazione nell'individuazione della soggettività passiva ai fini dell'IRPEF e della residenza fiscale, antepone il citato criterio formale ai criteri di fatto, previsti in via subordinata ed alternativa, concernenti il domicilio ovvero la residenza per un periodo di almeno sei mesi ed un giorno in Italia. Nel caso in commento è stato sufficiente verificare l'esistenza del criterio formale fondato sulle risultanze anagrafiche per sancire la residenza fiscale italiana del contribuente, senza estendere l'analisi ai successivi ed alternativi criteri sostanziali costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato.

Il trasferimento di residenza all'estero

Nell'ottica di rendere il registro anagrafico più aderente alla realtà fattuale, la cancellazione ed il contestuale trasferimento di residenza all'estero sono assoggettati a tempi molto ristretti - due giorni lavorativi successivi alla presentazione della dichiarazione – come disposto dall'art. 5 del D.L. n. 5/2012 convertito dalla L. n. 35/2012 non a caso rubricato “Cambio di residenza in tempo reale”, attuato con d.P.R. n. 154/2012, fermo restando che gli effetti giuridici della dichiarazione decorrono dalla data di presentazione della dichiarazione. Precipuamente al fine di evitare il prolungarsi di situazioni di doppia iscrizione anagrafica si è privilegiato l'utilizzo degli strumenti telematici, come indicato dal Ministero degli Interni con le circolari n. 9/2012 e n. 8/2013.

Secondo la legislazione vigente, quando il cittadino italiano dimora all'estero per almeno un anno, l'iscrizione all'AIRE è obbligatoria ed è richiesta presso il Consolato Italiano nello Stato di residenza oppure presentando anticipatamente la richiesta di espatrio al comune, con obbligo di completare la pratica recandosi presso il Consolato italiano nello stato di residenza all'estero; il Consolato provvederà, successivamente, ad inviare al comune la conferma di iscrizione all'AIRE. La cancellazione dal registro della popolazione residente e l'iscrizione all'AIRE decorrono dalla data in cui l'interessato ha reso la dichiarazione di espatrio al comune, convalidata dal ricevimento del modello consolare entro due giorni dal ricevimento dello stesso; se la richiesta di iscrizione all'Aire viene presentata direttamente al Consolato, questa comporterà l'automatica cancellazione dal registro della popolazione residente. La cancellazione dalle APR e l'iscrizione all'AIRE saranno effettuate dal Comune entro due giorni dal ricevimento del modello consolare, con decorrenza dalla data del ricevimento del modello stesso.

Tale procedura è destinata a modificarsi in vista dell'adozione dell'Anagrafe Nazionale della Popolazione residente (ANPR), ex art. 2 del D.L. n. 179/2012 convertito dalla L. n. 221/2012, intesa quale base di dati di interesse nazionale, che subentrerà all‘Indice Nazionale delle Anagrafi (INA), all'AIRE nonché alle Anagrafi della Popolazione Residente e dei cittadini italiani residenti all'estero tenute dai comuni. L'ANPR si pone l'obiettivo di far confluire tutte le anagrafi comunali in un'unica banca dati telematica, nell'ottica di semplificazione e razionalizzazione che deve caratterizzare l'agire della Pubblica Amministrazione.

Osservazioni

L'ordinanza in esame fa emergere una tensione tra le spinte di una giurisprudenza di merito, invero sporadica, attenta più al dato sostanziale (effettiva residenza nello Stato estero) che a quello formale (cancellazione dalle APR) ed il consolidato orientamento formalistico della Corte di Cassazione.

È possibile osservare che la Cassazione non ha dedicato alcun passaggio ad un tema intrigante che pure la Comm. trib. reg. di Bari aveva toccato nella propria sentenza n. 64/2017, depositata il 16 gennaio 2017 e cassata dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento, vale a dire l'impossibilità di applicare qualsivoglia strumento presuntivo in maniera asettica e automatica, dovendo lo stesso avere riguardo necessariamente alla reale capacità contributiva ex art. 53 Cost.

Ragion per cui, a detta dei giudici di merito, la tardiva iscrizione all'AIRE e la carica di rappresentante legale della società italiana, rivestita in un periodo successivo a quello oggetto di accertamento, sono insufficienti per assoggettare ad IRPEF il soggetto. Il richiamo al principio della capacità contributiva aveva consentito ai giudici d'appello di superare la presunzione di residenza contenuta nell'art. 2 del TUIR facendo prevalere la sostanza sulla forma.

L'art. 53 Cost. stabilisce che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” laddove l'incipit della disposizione “Tutti” fa riferimento non solo ai cittadini residenti ma anche a coloro che si trovano sul territorio nazionale tra cui gli stranieri ed i soggetti privi della cittadinanza italiana. Pertanto i soggetti residenti in Italia sono assoggettati all'imposizione del reddito mondiale secondo il noto worldwide taxation principle (collegamento di natura personale), mentre i non residenti sono tassati solo sui redditi a loro riferiti prodotti in Italia (collegamento di natura territoriale) ex art. 23 del TUIR.

La posizione della giurisprudenza di merito trova sponda in autorevole dottrina, invero risalente, che ha avanzato dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 2 del TUIR in quanto il dato formale dell'iscrizione anagrafica non pare costituire di per sé criterio di collegamento territoriale idoneo a giustificare l'imposizione tributaria (su base mondiale) ai sensi dell'art. 53 Cost. Il dovere di solidarietà, racchiuso dall'art. 53 Cost., presuppone comunque un legame durevole con il territorio per cui un soggetto iscritto nelle liste delle Anagrafi della Popolazione Residente, pur non avendo alcun legame sostanziale con il territorio italiano, sarebbe ingiustamente chiamato a concorrere alle spese pubbliche senza fruire di alcun servizio pubblico.

Al riguardo è inevitabile evidenziare che nessun riferimento è contenuto nelle pronunce, sia di merito sia di legittimità, relativamente alle convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito tra l'Italia e l'altro Stato, che in realtà prevalgono sul criterio della residenza di cui all'art. 2 del TUIR, in quanto disposizione internazionale sovraordinata a quella interna, giusta art. 117 Cost..La prevalenza della disposizione convenzionale è sancita anche dall'art. 169 del TUIR e dall'art. 75 del d.P.R. n. 600/1973. In particolare, la convenzione tra l'Italia ed il Regno Unito per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito è stata ratificata con la Legge del 5 novembre 1990, n. 329 e contiene all'art. 4, rubricato “Domicilio fiscale”, regole pattizie sulla doppia residenza delle persone fisiche, ispirato all'art. 4 del modello di convenzione elaborato in sede OCSE. I giudici tributari italiani, sia di merito sia di legittimità, avrebbero potuto, invero, fare riferimento alle tie-breaker rules contenute nell'accordo internazionale, che prevedono una serie di criteri per determinare, in caso di doppia residenza, quale dei due Stati contraenti dovrà tassare il contribuente, superando così il formalismo della disposizione fiscale italiana.

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