Necessità dell'unanimità o sufficienza della maggioranza per l'approvazione delle tabelle millesimali?

Nino Scripelliti
06 Settembre 2018

la Riforma della normativa condominiale non è intervenuta espressamente riguardo all'approvazione assembleare ex novo delle tabelle millesimali, occupandosi soltanto della revisione/modifica delle stesse tabelle, sicché resta aperto il problema se...
Massima

In sede di deliberazione assembleare, per l'approvazione di nuove tabelle millesimali non è necessaria l'unanimità di tutti i condomini, in ossequio al principio enucleato dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2010, secondo il quale le tabelle non rappresentano atti di natura negoziale, ma esprimono in termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini senza incidere in alcun modo su tali diritti. Rebus sic stantibus, ai fini dell'approvazione di nuove tabelle si applicherà la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., a ciò non ostando l'art. 69 disp. att. c.c., come riformato dalla l. 220/2012, riferendosi esso, quando richiede l'unanimità, alla sola rettifica o modifica delle tabelle, non anche alla approvazione delle stesse.

Il caso

L'assemblea del condominio di via (omissis) deliberò a maggioranza con il voto contrario di Tizio di procedere al rifacimento delle tabelle millesimali. Una volta approvato i coefficienti di altezza di piano, esposizione, luminosità, orientamento, destinazione, altezza dei locali e box e redatte le nuove tabelle, in sede di deliberazione l'assemblea votò contro l'approvazione. Successivamente, l'amministratore reinserì il tema della delibera sulle nuove tabelle nell'ordine del giorno dell'assemblea del mese seguente, nella quale la maggioranza votò a favore della proposta di approvazione.

Con una successiva delibera, l'assemblea votò poi a favore dell'applicazione retroattiva delle nuove tabelle millesimali.

Infine, con un'ultima delibera l'assemblea condominiale deliberò nuovamente a maggioranza l'approvazione delle nuove tabelle millesimali, dal momento che queste erano state nel frattempo aggiornate.

Con atto di citazione al Tribunale di Firenze, Tizio ha impugnato le tre deliberazioni assembleari poiché esse erano state adottate a maggioranza e non attraverso il consenso di tutti i condomini. Il condominio per contro ha dedotto l'infondatezza della questione, dal momento che le tabelle erano state rettificate per la oggettiva divergenza tra valore effettivo delle singole unità immobiliari e valore proporzionale ad esso attribuito, eventualità questa che giustifica il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c.

La questione

La questione in esame è la seguente: è possibile l'approvazione di nuove tabelle millesimali da parte dell'assemblea del condominio anche senza il consenso di tutti i condomini?

Si discute, inoltre, se le deliberazioni assembleari in questione siano o meno conformi al dettato normativo di cui all'art. 69 disp. att. c.c., come novellato dalla riforma del condominio, secondo cui «I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino».

Le soluzioni giuridiche

A parere del Tribunale di Firenze, dal momento che il dato normativo dell'art. 69 disp. att. c.c. si riferisce espressamente alle sole eventualità di rettifica e modifica, per le quali si richiede l'unanimità, ad eccezione di due ipotesi, per i casi di approvazione si dovrà tener conto non tanto dell'art. 69 medesimo, come novellato dalla l. 220/2012, ma della giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazione in materia, che non più tardi del 2010, era intervenuta nella sua massima composizione (Cass. civ., sez. un., 9 agosto 2010, n. 18477) sulla questione. In quella pronuncia, la Suprema Corte, risolvendo un risalente contrasto in ordine alla natura giuridica delle delibere assembleari di approvazione delle tabelle millesimali, affermò il principio della non necessaria unanimità.

Com'è noto, la tabella è un prospetto, collegato al regolamento condominiale, nel quale viene espresso in termini numerici il valore delle singole unità immobiliari (di proprietà esclusiva dei vari condomini) rispetto al valore dell'intero edificio. Con l'approvazione di detto prospetto, i condomini procedono in sostanza a tradurre in frazioni millesimali il suddetto rapporto di valore e così indirettamente determinano la distribuzione degli oneri condominiali.

In ordine alla concezione della natura giuridica dell'atto di approvazione di nuove tabelle millesimali, si è assistito ad un mutamento sia in dottrina che in giurisprudenza.

In tempi più risalenti, si sosteneva la natura negoziale dell'atto di approvazione, da intendersi però non come vero e proprio contratto, mancandone i requisiti della natura dispositiva e degli effetti modificativi della realtà giuridica preesistente, ma come negozio giuridico di mero accertamento. Si riteneva infatti che la redazione delle tabelle fosse in grado di incidere indirettamente sui valori della proprietà di ciascun condomino sui beni comuni e pertanto non si potesse prescindere dall'accordo di tutti i condomini. Effettivamente le tabelle avrebbero anche carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione stessa dell'assemblea ed alla validità quindi delle sue delibere.

I sostenitori della tesi negoziale facevano poi ricavare dall'approvazione a maggioranza, invece che all'unanimità, la conseguenza della nullità dell'atto. Su tale nullità la giurisprudenza era divisa fra nullità assoluta o relativa. In quest'ultimo caso la deliberazione avrebbe potuto produrre i suoi effetti nei confronti dei soli soggetti che avevano votato in senso favorevole, sempre che si fosse raggiunta, in sede di votazione, oltre alla maggioranza degli intervenuti, anche la metà del valore dell'edificio dei partecipanti alla votazione. In caso contrario la conseguenza sarebbe stata la nullità assoluta.

Tuttavia, la tesi della natura negoziale della deliberazione assembleare sulle tabelle scontava l'inconveniente di rendere oltremodo gravosa l'approvazione e di rischiare di paralizzare il funzionamento del condominio, poiché lasciava al singolo condomino assente o dissenziente la facoltà di impugnare l'atto di approvazione. Inoltre, si sosteneva che per poter parlare di negozio di accertamento sarebbe occorso pur sempre un conflitto fra le parti ed un'incertezza oggettiva in ordine alla situazione giuridica da accertare, mentre in questo caso non sembrava potersi rinvenire né l'uno né l'altra.

Tale teoria, poi, cadeva in contraddizione nel momento in cui era largamente diffusa la convinzione secondo cui il consenso di tutti i condomini non dovesse risultare per forza dalla delibera, potendo bastare un'adesione per facta concludentia. Era dunque abbastanza bizzarro che un negozio giuridico di accertamento su diritti di natura reale potesse risultare anche da comportamenti concludenti, non essendo necessaria la forma scritta.

Altra parte della giurisprudenza e della dottrina allora hanno iniziato a ravvisare nella tabella un atto con mera funzione regolamentare, non incidente sull'effettiva proprietà di ciascun condomino, il cui valore preesiste e non è intaccato dalla delibera. L'atto di approvazione non presupporrebbe in questo modo alcuna operazione volitiva, ma unicamente una traduzione in termini aritmetici di un rapporto di valore già esistente fra singole proprietà esclusive e complesso condominiale.

In mezzo al guado, vi è la situazione in cui la delibera assembleare risulti essere di carattere dispositivo, il quale sussisterebbe quando sia chiara la volontà dei condomini di distribuire le spese in modo diverso e non proporzionale rispetto alla superficie condominiale effettivamente posseduta. In altri termini quando venga meno il sistema delineato dalla legge secondo il combinato disposto degli artt. 1118 c.c., 1123 c.c. e 68 disp. att. c.c., la delibera (detta convenzionale o contrattuale) sarebbe suscettibile di approvazione con la sola unanimità.

Il Tribunale di Firenze, attento all'evoluzione giurisprudenziale in materia, iniziata con la sentenza delle Sezioni Unite sopra menzionata, e poi proseguita dalla magistratura di vertice (Cass. civ., sez. II, 13 maggio 2013, n. 11387, e Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2014, n. 4569), ha così contribuito a tracciare il solco in quella direzione, spingendosi anche oltre e accogliendo quella interpretazione secondo la quale la novella legislativa del 2012 non avrebbe portato conseguenze rilevanti sul piano dell'approvazione delle tabelle e sulla regola della maggioranza.

Osservazioni

Il tema dell'approvazione delle tabelle è sicuramente foriero di molte discussioni direttamente proporzionali al delicato fine indiretto della loro predisposizione, ossia la distribuzione degli oneri condominiali, con la necessaria attribuzione alle unità abitative del giusto valore rispetto all'occupazione della superficie condominiale ed al conseguente maggior uso della cosa comune.

Certamente, la concezione dell'atto di approvazione come atto con funzione meramente regolamentare, se da una parte rende più spedita l'azione condominiale evitando lungaggini, paralisi e contenzioso, dal momento che non rende impugnabile la delibera per il solo fatto del dissenso, dall'altra si espone alle critiche di chi sottolinea gli effetti dell'approvazione sul piano giuridico. In effetti la tabella non rimane mai confinata al piano della traduzione in termini matematici di un rapporto di valore preesistente, ma produce sicuri effetti nella sfera patrimoniale dei condomini.

È stato affermato in proposito che una cosa è l'esistenza di un determinato valore in rerum natura, altra cosa è tradurre in concreto tale valore. È infatti nella fase della traduzione dei valori delle singole proprietà esclusive, dal piano puramente naturalistico, a quello matematico e giuridico che si possono annidare i contrasti e i profili di incertezza che giustificherebbero l'atto di approvazione come atto di accertamento, bisognoso del consenso unanime di tutti.

Tuttavia, non si può nemmeno negare che l'effettiva funzione della tabella è la riproduzione dei valori in chiave oggettiva e proporzionale, operazione che di regola avviene in modo standardizzato basandosi su criteri e regole già stabilite dalla legge, versandosi in caso contrario in delibera convenzionale o contrattuale (per la quale il bisogno del consenso di tutti è pacifico).

Chiarito questo, si potrebbe però a questo punto andare oltre. In effetti delle due l'una: o si ritiene che l'approvazione di nuove tabelle costituisca atto negoziale, e allora si può sposare l'opinione di chi sottolinea la necessità del consenso unanime, o, se è vero che le tabelle costituiscano meri procedimenti tecnici che traducono algebricamente un valore preesistente, non si vede la necessità di una delibera assembleare, potendosi immaginare l'assolvimento del compito direttamente all'amministratore del condominio.

Infine, una volta accolta la concezione meramente regolamentare dell'atto di approvazione, anche l'eventuale applicabilità al caso di specie dell'art. 69 disp. att. c.c. non avrebbe mutato nel merito l'esito del giudizio. In effetti la giurisprudenza ha chiarito che l'errore di cui all'art. 69 citato (che giustifica la possibile approvazione a maggioranza invece che all'unanimità) consiste nella mera divergenza, effettiva e apprezzabile tra il valore delle singole unità immobiliari e il valore attribuito nelle precedenti tabelle che si vogliano rettificare.

Una volta abbandonata la concezione contrattuale delle tabelle, non deve infatti esser richiesto che l'errore si traduca in un vizio del consenso ai sensi dell'art. 1428 c.c., cioè un errore incidente sulla manifestazione della volontà negoziale dei condomini. Tale vizio incidente sulla volontà negoziale, ai fini della rettifica a maggioranza invece che all'unanimità, sarà necessario solo in caso di delibera “convenzionale” sopra descritta.

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