Dopo (e nonostante) le Sezioni Unite sull’art. 590-sexies c.p.: ancora incertezze sui requisiti applicativi delle riforme Balduzzi e Gelli-Bianco
12 Settembre 2018
Massima
Le recenti riforme che hanno teso a delimitare le responsabilità penali in ambito sanitario (“Balduzzi” e “Gelli-Bianco”) non possono trovare applicazione in caso di decesso del paziente per omessa diagnosi da parte del sanitario, poiché tale ipotesi è da inquadrare nell'alveo della negligenza e non dell'imperizia, che è requisito alla cui presenza entrambe le normative condizionano la loro operatività. In tema di parere specialistico, la posizione di garanzia del sanitario non si esaurisce al consulto richiesto, ma si estende alla tutela generale della salute del paziente.
Il caso
Una giovane paziente è colta da tre episodi sincopali avvenuti a breve distanza di tempo e, su indicazione del proprio medico curante, si reca da un noto specialista in neurologia. Quest'ultimo, dopo aver effettuato l'osservazione encefalografica esclude il sospetto diagnostico dell'epilessia ipotizzato dal medico curante e suggerisce alla paziente di sottoporsi all'esecuzione di un Tilt Test per avere conferma dell'origine vagale delle manifestazioni di perdita di coscienza, rassicurandola sul fatto che, ove questo non definisca anomalie, dovrebbe ritenersi “sana come un pesce”. Il medico tralascia, al contrario, ogni accertamento di tipo cardiologico. Dopo la visita specialistica, questi episodi sincopali si ripetono in altre due occasioni, l'ultima delle quali ha esito letale. Solo dopo il decesso, si scopre che gli episodi di sincope erano in realtà dovuti ad una cardiopatia aritmogena maligna, individuabile con un routinario elettrocardiogramma standard a 12 derivazioni e che, quindi, l'evento morte sarebbe stato facilmente scongiurabile attraverso le cure resesi necessarie dopo la corretta attività diagnostica. In merito al fatto descritto, la Corte di Appello di Napoli, pur dichiarando estinto il reato di omicidio colposo per intervenuta prescrizione, ha confermato la condanna al risarcimento del danno già inflitta all'imputato in prime cure. All'imputato era stato contestato di aver cagionato la morte della giovane paziente. Si erano individuati a suo carico profili di responsabilità riconducibili a negligenza, imprudenza e imperizia, nonché alla violazione dei protocolli medici e delle linee guida che suggerivano, all'epoca dei fatti, il corretto percorso diagnostico terapeutico da intraprendersi in relazione alla cura dei pazienti interessati da episodi di sincope. Contro la pronuncia della Corte d'Appello ha proposto ricorso per Cassazione il medico specialista, il quale, come spesso accade nei processi in materia di responsabilità sanitaria, ha investito la Corte di numerose questioni, tra le quali, in particolare: la sussistenza della posizione di garanzia del medico chiamato in causa per un consulto specialistico, il nesso di causalità tra l'omessa diagnosi e l'evento finale, il sindacato di legittimità sulla ricostruzione in chiave scientifica dei fatti, la contrapposizione tra imperizia e negligenza, l'osservanza/inosservanza delle linee guida. In effetti, sotto questo ultimo profilo, risulta dalla sentenza come nei primi due gradi di giudizio si fosse assistito ad una vera e propria “battaglia” sulle linee guida valide nel caso di specie, ovvero alla contrapposizione tra le raccomandazioni valorizzate dall'accusa e quelle dedotte dall'imputato, nonché sull'interpretazione delle stesse.
La questione
Dopo il consulto specialistico e l'esame neurologico, può ritenersi cessata la posizione di garanzia che si era costituita in capo allo specialista, dunque limitata solo all'eventuale diagnosi di epilessia per la quale la paziente gli era stata indirizzata dal medico curante? Inoltre, attesa l'osservanza, perlomeno ad avviso della difesa, delle linee guida di settore, che prescrivevano l'esecuzione del Tilt Test consigliato dall'imputato alla giovane paziente, poteva il neurologo giovarsi delle recenti riforme in tema di responsabilità penale del medico? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha rigettato i motivi di ricorso proposti dalla difesa dell'imputato ritenendoli infondati. Con riguardo alla questione della sussistenza di una posizione di garanzia tout court dello specialista e del nesso di causalità, in sentenza viene confermato quanto stabilito dal giudice di primo grado e dalla Corte territoriale. Con specifico riferimento al primo punto, si è affermato che la posizione di garanzia non viene edificata rispetto alla singola patologia, posto che, anche nel caso di specie, il medico di base aveva caldeggiato una visita specialistica avanzando un mero sospetto di epilessia. Al contrario, il neurologo avrebbe dovuto interrogarsi a tutto tondo sulla condizione clinica del paziente e anche sulla possibile origine cardiaca degli episodi sincopali. Viene quindi ribadito il principio, indiscusso nella giurisprudenza di legittimità in tema di colpa professionale medica, secondo il quale l'esistenza di una posizione di garanzia in capo all'imputato trova la propria fonte nell'instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente con conseguente assunzione dell'obbligo di tutela (a tutto tondo) della vita e della salute della persona (§ 4.1). Con riguardo, invece, al rispetto delle linee guida, la Corte di Cassazione non si è limitata a dare conto della bontà e della logicità della motivazione della pronuncia di secondo grado sul punto. In effetti, la sentenza di Appello aveva diffusamente sostenuto che la linea guida di riferimento raccomandava il Tilt Test solo dopo l'esclusione di tutte le patologie cardiache e che, pertanto, non poteva dirsi correttamente osservata dal sanitario. In aggiunta a ciò, la Suprema Corte ha specificato come l'imputato non potesse essere giudicato sulla base delle più favorevoli recenti riforme dal momento che entrambe limitano l'operatività ai casi di imperizia (§ 4.3). Nel caso di specie, a giudizio della Corte, verrebbe invece in rilievo un'ipotesi di errore diagnostico e, di conseguenza, come affermato in diversi precedenti della Corte, da ricondurre alla categoria della negligenza.
Osservazioni
La sentenza segnalata costituisce una delle prime pronunce successive all'intervento delle Sezioni Unite penali sull'art. 590-sexies c.p. Come detto, essa si sofferma su diverse tematiche, ma, senza dubbio, gli elementi della motivazione che meritano una riflessione più approfondita riguardano proprio l'osservanza delle linee guida e la contrapposizione tra imperizia e negligenza. È in particolare in relazione a questi delicati aspetti che la ricostruzione della Suprema Corte, specie sotto il profilo metodologico dell'ordine delle questioni risolte, risulta tutt'altro che immune da rilievi critici. Da un lato, il primo accertamento da compiere per poter applicare il criterio di imputazione della colpa grave previsto dall'art. 3 del d.l. “Balduzzi” (o dall'art. 590-sexies c.p. come riletto nell'interpretazione delle Sezioni Unite) è sempre l'osservanza delle linee guida “accreditate dalla comunità scientifica” nel caso del decreto “Balduzzi” (o il rispetto delle linee guida accreditate dall'apposito sito ministeriale nel caso della “Gelli-Bianco”). A ben vedere, la sentenza in commento non ha affrontato la questione, subordinandola invece all'incerto inquadramento del caso in termini di negligenza. Per escludere l'applicabilità di una delle riforme al caso in esame sarebbe bastato alla Corte rilevare – cosa peraltro già fatta in sede di appello – che le linee guida prescrivevano il Tilt Test solo dopo aver escluso la possibile ricorrenza di patologie cardiache, mentre lo specialista non si era nemmeno interrogato sulla possibile derivazione cardiaca degli episodi sincopali. Ciò, peraltro, avrebbe permesso alla Corte anche di non doversi sbilanciare sulla qualificazione in termini di imperizia, negligenza o imprudenza della condotta incriminata. Dall'altro lato, occorre segnalare come questa qualificazione sia richiesta solo in relazione all'applicazione dell'art. 590-sexies c.p. che ne esplicita la necessità, laddove, in senso opposto, la giurisprudenza della Cassazione immediatamente precedente all'approvazione della recente riforma aveva escluso, dopo un iniziale disorientamento, che si dovesse distinguere tra le tre forme di colpa ai sensi dell'art. 43 c.p. per l'applicazione del più favorevole regime di responsabilità solo per colpa grave ex art. 3 del d.l. “Balduzzi” (sul punto si veda la sentenza “Denegri” - Cass. pen., sez IV, 11 maggio 2016 n. 23283, rel. Montagni, imp. Denegri). È chiaro che, essendo i fatti oggetto del caso in esame ben precedenti all'entrata in vigore dell'art. 590-sexies c.p., se il medico avesse rispettato le linee guida si sarebbe visto negare senza motivo l'esimente per colpa lieve prevista dalla disciplina abrogata, ma da considerarsi come più favorevole. Ulteriori perplessità sono poi sollevate dalla qualificazione di un errore diagnostico quale quello registrato nel caso di specie in termini di negligenza. Solitamente, quest'ultima si sostanzia in una condotta omissiva e, pertanto, l'omissione di una diagnosi potrebbe in un certo senso colorarsi di negligenza. Tuttavia, pur senza negare l'assoluta “fluidità” delle definizioni delle tre forme di colpa, non si comprende a questo punto quali condotte possano essere qualificate come forme di imperizia. Tanto più se si considera che, a differenza del caso deciso recentemente dalle Sezioni Unite che ha identificato come negligente il comportamento del medico giudicato che non si era neppure presentato ad una visita concordata con il paziente, nella fattispecie esaminata nella sentenza in commento non emerge una particolare sciatteria del sanitario ma più semplicemente un errore nella mancata prescrizione di un altro esame diagnostico. Sia ben chiaro: nel caso di specie, posta l'inosservanza delle linee guida, l'esito non sarebbe stato diverso anche laddove si fosse individuata un'imperizia nella condotta di omessa diagnosi del sanitario. Tuttavia, va registrato l'orientamento della Corte, che potrebbe condurre, in casi futuri, a classificare come negligente (o imprudente) condotte osservanti le linee guida e che, pertanto, meriterebbero l'applicazione della nuova disciplina di favore (o, comunque, del d.l. “Balduzzi”). In conclusione. L'introduzione dell'art. 590-sexies c.p. ed il relativo processo interpretativo sono stati costellati da una lunga serie di difficoltà. Le Sezioni Unite dello scorso dicembre hanno denotato una certa sensibilità nell'individuare – operazione non semplice – un margine di operatività di questa norma (più volte definita) “ermetica”. Tuttavia, le numerose incertezze riproposte da pronunce come quella in esame – per la verità, in gran parte dovute alla formulazione della norma e ad alcuni equivoci della prima giurisprudenza post “Balduzzi” – lasciano intendere che il cammino per l'affermazione della colpa grave in ambito sanitario è ancora lungo e tutt'altro che scontato.
G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, La fisionomia dell'art. 590-sexies c.p. dopo le Sezioni Unite: tra “nuovi” spazi di graduazione della colpa ed “antiche” incertezze, in www.penalecontemporaneo.it, 9 aprile 2018.; G.M. CALETTI, Le Sezioni Unite penali e l'interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 590-sexies c.p., in Ridare.it, 7 marzo 201; G.M. CALETTI, Aspettando le Sezioni Unite penali sul riformato assetto della colpa in ambito sanitario, in Ridare.it, focus del 20 dicembre 201; G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, Una prima lettura della legge “Gelli-Bianco” nella prospettiva del diritto penale, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2017, n. 2, 83 ss.
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