Nullità della delibera che vieta il mutamento di destinazione in spregio al regolamento contrattuale e interesse giuridico a tale declaratoria

Nino Scripelliti
19 Settembre 2018

Delineato il delicato discrimen tra delibere nulle e meramente annullabili, il Tribunale di Firenze opta per la prima alternativa in ordine alla decisione assembleare con cui era stato vietato il mutamento di destinazione d'uso di una singola unità immobiliare di proprietà esclusiva di un condomino nonostante...
Massima

Costituisce delibera affetta da nullità quella con cui viene vietato il mutamento di destinazione d'uso di una singola unità immobiliare di proprietà esclusiva di un condomino in violazione delle norme del regolamento condominiale contrattuale. La pronuncia di nullità si rivela necessaria nel mondo giuridico anche se i lavori di frazionamento ai fini del mutamento di destinazione sono già conclusi e il condominio non abbia richiesto la messa in pristino.

Il caso

Con apposita delibera assembleare venne vietato alla società Alfa, proprietaria di un'unità immobiliare facente parte del condominio di via (omissis), l'effettuazione di lavori di ristrutturazione volti a ottenere il frazionamento e a mutare la destinazione d'uso (da commerciale a abitativo) di detta unità.

La società Alfa impugnò la delibera chiedendone l'annullamento, perché adottata da assemblea non correttamente convocata (dal momento che erano state omesse le comunicazioni ai condomini del supercondominio).

La domanda venne respinta dal Tribunale e confermata dalla Corte d'Appello.

Nelle more del giudizio, la società Alfa procedette comunque ai lavori di frazionamento e alla vendita delle due unità immobiliari così ottenute, cedendo l'una a Caia, quale nuda proprietaria, in virtù della cessione del diritto di usufrutto a Tizio, e l'altra alla società Beta.

Con successivo atto di citazione sia Tizio, sia Caia, che la società Beta impugnavano (per motivi diversi da quelli sui quali si era formato il giudicato) la stessa delibera assembleare, chiedendone stavolta la nullità per violazione del diritto di proprietà esclusiva e dell'articolo del regolamento condominiale contrattuale, che consentiva ad ogni condomino di mutare la destinazione d'uso delle unità immobiliari. Gli attori citavano in giudizio, oltre al condominio di via (omissis), anche il supercondominio di via (omissis) e via (omissis), in persona dell'amministratore Mevio.

Il condominio si costituiva rilevando che il mutamento della destinazione d'uso, illegittimo poiché suscettibile di violare le esigenze di tranquillità, decoro, sicurezza e pacifico godimento del bene di tutti, sarebbe pure stato accompagnato, nel caso di specie, dal necessario frazionamento dell'unità immobiliare, che avrebbe perciò interessato l'utilizzo dei servizi comuni (nello specifico l'utilizzo più intenso dell'impianto di scarico e di adduzione delle acque con conseguente aggravio degli oneri condominiali). Il condominio deduceva, inoltre, la cessazione della materia del contendere, essendo oramai ultimati i lavori di frazionamento e non formulato richiesta di messa in pristino. Il supercondominio deduceva infine la sua carenza di legittimazione passiva.

La questione

Le questioni poste all'attenzione del Tribunale di Firenze sono le seguenti: è affetta da nullità la delibera che vieta il mutamento di destinazione d'uso al condomino in relazione alla sua proprietà esclusiva? È possibile la cessazione della materia del contendere in relazione ad una delibera nulla rimasta inattuata? Infine, è dotato di legittimazione passiva il supercondominio in relazione a fatti riguardanti le unità abitative del singolo complesso condominiale?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale accoglie la richiesta di parte attrice dichiarando la nullità della delibera assembleare in quanto in contrasto con espressa disposizione dettata dal regolamento contrattuale. Viene disattesa la tesi di parte convenuta, che rilevava l'impossibilità di autorizzare frazionamenti di unità immobiliari facenti parte del condominio, poiché gli stessi sarebbero responsabili di alterare il decoro architettonico e l'equilibrio nell'uso degli impianti condominiali.

Il Tribunale afferma che il condominio non ha dato prova di siffatto mutamento nell'equilibrio condominiale. L'art. 69 disp. att. c.c., infatti, prevede, in caso di variazione di oltre un quinto dei rapporti di valore tra singole proprietà esclusive e intero edificio condominiale, la possibilità di modifica e rettifica delle tabelle millesimali, anche su richiesta del singolo condomino, col quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. Il codice detta quindi una presunzione di alterazione dell'equilibrio condominiale in caso di aggravio dei valori per oltre il 20%, presunzione che peraltro legittima il ricorso alla modifica delle tabelle millesimali ai fini di ridistribuire gli oneri. Nulla è stato detto in tal senso nella delibera in questione. Dal momento che ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat, viene respinta tale eccezione di parte convenuta.

Nella pronuncia, si afferma inoltre la necessità della dichiarazione di nullità, pur se il condominio non abbia chiesto la rimessione in pristino e i lavori fossero già ultimati, in quanto l'esistenza della delibera legittimerebbe in astratto l'amministratore ad eseguirla e potrebbe aver dunque un riverbero futuro sulle posizioni proprietarie degli attori. Una volta ricondotta la fattispecie all'alveo del vizio comportante la nullità, non è arduo rinvenire l'interesse alla decisione: le nullità sono infattideducibili in via giudiziale in ogni tempo, oltre ad essere imprescrittibili e possono essere proposte da chiunque vi avesse interesse. Le delibere affette da nullità non possono poi essere né sanate, né convalidate, ma solo, in ipotesi, sostituite da altre di analogo contenuto, validamente adottate. La cessazione della materia del contendere sarebbe dunque stata possibile solo nel caso in cui fosse stata adottata, nelle more del giudizio, una nuova delibera sostitutiva di quella nulla.

Viene rilevata, infine, la carenza di legittimazione passiva del supercondominio, già rilevata dal primo giudizio promosso dalla società Alfa, e qui semplicemente ribadita, in virtù della considerazione della relazione di intersoggettività fra condominio e supercondominio. Il termine supercondominio individua infatti i complessi immobiliari costituiti da singoli edifici a cui corrispondono altrettanti condominii, quando talune cose, impianti o servizi sono contestualmente legati dalla relazione di accessorio a principale con più di uno degli edifici stessi (Cass. civ., sez. II, 7 luglio 2000, n. 9096). In virtù di tale intersoggettività andranno dunque convocate tante assemblee quanti sono i palazzi condominiali ed un'assemblea specifica per il supercondominio, con la conseguenza della carenza di legittimazione passiva per quest'ultimo in ordine alle questioni tutte interne al singolo edificio.

Osservazioni

In ordine al confine fra casi in cui si riconosce la nullità della delibera e casi in cui il vizio dà luogo a mera annullabilità (come tale soggetta al termine di decadenza di 30 giorni), si è assistito ad un mutamento di indirizzo giurisprudenziale a partire dagli anni duemila.

Precedentemente, infatti, si ritenevano nulle tutte quelle delibere prive di requisiti essenziali, affette da vizi o irregolarità nella costituzione dell'assemblea o nella formazione della volontà della maggioranza (Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 1999, n. 10886; Cass. civ., sez. II, 19 agosto 1998, n. 8199, in ordine alla mancata preventiva comunicazione a tutti i partecipanti; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1780, che rilevava la nullità anche nel caso in cui il voto del condomino non convocato non avrebbe avuto influenza per il raggiungimento della maggioranza), o aventi oggetto impossibile o illecito (Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288; Cass. civ., sez. II, 21 aprile 1979, n. 2237, in ordine alla lesione dei diritti di un condomino sulle cose o sui servizi o su quelle di proprietà esclusiva del singolo condomino; Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 1985, n. 208; Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1978, n. 5769, in ordine alla delibera che aveva modificato le disposizioni, incidenti nelle sfere dei diritti soggettivi e degli obblighi di ciascun condomino, contenute nel regolamento condominiale richiamato nei singoli atti di acquisto, avente natura contrattuale, e quindi suscettibili di variazioni soltanto con il consenso di tutti i condomini manifestato in forma scritta); mentre si ritenevano annullabili quelle delibere affette da vizi formali (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1988, n. 1515; Cass. civ. sez. II, 12 giugno 1975, n. 2346, per l'inosservanza dei termini per il relativo avviso ex art. 66, ultimo comma, disp. att. c.c. o delle modalità prescritte dal regolamento di condominio; Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1979, n. 989, nel caso di riunione tenuta in seconda convocazione nello stesso giorno della prima in violazione dell'art. 1136, comma 3, c.c.) o da eccesso di potere o incompetenza (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1974 n. 237; Cass. civ., sez. II, 21 novembre 1973, n. 3139, nel caso di assemblea convocata da un amministratore sospeso dal suo ufficio o su iniziativa di un condomino nell'ipotesi di mero impedimento e non di mancanza dell'amministratore).

Tuttavia, tale sistema prestava il fianco ai rilievi di chi sottolineava come il codice all'art. 1137 c.c. aveva disciplinata un regime di annullabilità in relazione a “tutte” le delibere invalide, non operando alcuna distinzione a seconda del vizio fatto valere in giudizio. Il legislatore infatti, prevedendo un termine di decadenza molto breve avrebbe mirato ad assicurare stabilità alle relazioni giuridiche interne alla vita condominiale e ad evitare situazioni di incertezza sulla operatività delle decisioni prese in assemblea.

La distinzione fra casi di annullabilità e nullità creava incertezze soprattutto per il fatto di non esistere un criterio certo e affidabile di discrimine, di modo che la riconduzione del vizio in una categoria rispetto che in un'altra finiva per costituire appannaggio dell'arbitrio del giudice.

Proprio per questo fu inaugurato un revirement giurisprudenziale (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 31; Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 2000, n. 1292), iniziato nel 2000 e confermato con la sentenza a sezioni unite del 2005 (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806), per il quale, in analogia con quanto previsto all'art. 2379 c.c. per le delibere assembleari di società di capitali, non si potrebbe ammettere altre cause di nullità se non l'impossibilità giuridica dell'oggetto o l'illiceità dello stesso.

Nel primo caso, saremmo di fronte a tutte le ipotesi in cui l'assemblea decida su interessi non idonei ad essere disciplinati con il metodo collegiale a maggioranza, nel secondo caso sarebbero ricomprese quelle ipotesi di violazione di norme imperative o quelle di diritti individuali dei singoli.

Pare allora ragionevole che sia stata riconosciuta nel caso di specie la nullità della delibera, adottata in violazione di una norma del regolamento contrattuale (la cui modifica richiede il consenso di tutti i condomini) e in violazione del diritto di proprietà esclusiva degli attori.

Sul tema della possibile alterazione del decoro architettonico in seguito al mutamento di destinazione, il Tribunale si mostra accorto nel tener presenti gli orientamenti del giudice di legittimità sul secondo cui «non vi può essere lesione del decoro architettonico del caseggiato da parte del condomino che, pur trasformando un locale di proprietà esclusiva, ricorre solo ad opere interne senza variazione del volume del locale originario»(Cass. civ., sez. VI, 30 gennaio 2012, n. 1326).

Anche l'utilizzo più intenso dell'impianto di adduzione delle acque comunque non pare giustificare in sé l'impossibilità del frazionamento. Del resto, per usare le parole dello stesso giudice delle leggi, «l'allaccio di nuove utenze ad una rete non costituisce di per sé una modifica della stessa, perché una rete di servizi - sia fognaria, elettrica, idrica o di altro tipo - è per sua natura suscettibile di accogliere nuove utenze, sicché è onere del condominio, che ne voglia negare l'autorizzazione, dimostrare che, nel caso particolare, l'allaccio di una sola nuova utenza incide nella funzionalità dell'impianto» (Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2007, n. 21832).

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