La Corte di Cassazione ribadisce la duplice natura della responsabilità del medico in èquipe

24 Settembre 2018

La Corte di Cassazione ribadisce la natura duplice della responsabilità del medico in equipe in quanto estesa oltre i confini dell'intervento del singolo, all'esercizio di un dovere di vigilanza sull'operato antecedente e successivo degli altri componenti del gruppo.
Massima

La responsabilità del medico all'interno dell'èquipe può essere attribuita anche nelle ipotesi di attività sanitaria diacronica, cosicché anche l'operatore intervenuto in una fase successiva ed emergenziale dell'intervento assume una posizione di garanzia nei confronti del paziente, la cui fonte si individua nella situazione di fatto che ne ha ab origine imposto l'intervento. Tale obbligo di garanzia si estende al successivo decorso post-operatorio, con la conseguenza che è ravvisabile una responsabilità per colpa ove, terminato l'intervento, il medico si sia allontanato senza essersi personalmente accertato ovvero adoperato rispetto ad eventuali esigenze rilevabili nella fase successiva all'operazione chirurgica stricto sensu intesa, purché concretamente prevedibili nel caso specifico.

La questione

La Suprema Corte ha affrontato il problema della delimitazione dei confini della responsabilità del medico intervenuto in un momento successivo, per ragioni di urgenza e di emergenza, all'interno di un'èquipe già esistente che ne aveva richiesto il soccorso tecnico. In particolare, ha riflettuto sulla possibilità di addebitare il decesso della vittima – poi verificatosi - anche alla condotta eventualmente colposa dei sanitari che - dopo avere ultimato con successo, il proprio intervento si erano allontanati dalla sala operatoria, o comunque dall'equipe senza esercitare un controllo diretto sulle scelte dei colleghi circa la fase post-operatoria.

Le soluzioni giuridiche

Rispetto alla questione emersa nel caso concreto, la Suprema Corte ha censurato la soluzione dei giudici di merito di escludere la responsabilità del ginecologo e del chirurgo i quali, intervenuti in una fase finale dell'operazione in soccorso tecnico dei colleghi che avevano preso in carico la paziente fin dall'inizio – stabilendo da soli la diagnosi e le modalità d'intervento - avevano correttamente eseguito il proprio intervento chirurgico, salvo poi allontanarsi dall'equipe senza assumere determinazioni, o comunque fornire indicazioni a proposito del decorso post-operatorio della paziente. Quest'ultima, infatti, veniva ricoverata solo qualche ora dopo presso altro ospedale per ricevere le trasfusioni necessarie e lì moriva il giorno successivo. Il ragionamento dei Giudici di legittimità si è articolato attraverso nuclei logico – concettuali successivi.

a) la posizione di garanzia propria di tutti i componenti dell'èquipe

L'obbligo di garanzia gravante sul medico sopraggiunto a prestare ausilio all'attività di un gruppo di colleghi già in essere trae origine dalla condizione di fatto emergenziale in cui il suo intervento si è innestato, assumendo identici contenuti e confini rispetto a quello riferibile a coloro che compongono l'èquipe fin dall'inizio, che persiste sia quando il gruppo opera in maniera sincronica, sia quando opera diacronicamente, a seconda delle esigenze di cura e assistenza del singolo paziente.

b) l'avvicendamento degli obblighi di garanzia per le ipotesi di intervento in èquipe diacronicamente esteso

Nel caso sub iudice, in cui cioè la prestazione medico-chirurgica non si presenta contestuale, ma diacronica, la posizione di garanzia di ciascun componente dell'èquipe non può ritenersi esaurita al termine del proprio intervento, ma va estesa ad un doveroso controllo sull'operato degli altri, antecedente o successivo al proprio, e sempre nei limiti del necessario affidamento alla competenza e abilità degli altri professionisti coinvolti dall'attività in questione.

Tuttavia, il criterio di temperamento in questione non può essere invocato in tutti i casi in cui le fasi dell'intervento “affidate” ad altri presentino errori di valutazione/trattazione macroscopici, ossia facilmente riscontrabili ed emendabili attraverso il ricorso alle leges artis genericamente sottese alla pratica medica, nonché a quelle poste a presidio della singola branca in cui lo specialista opera. In queste situazioni, dunque, rivive la posizione di garanzia del membro dell'equipe anche dopo la conclusione dell'attività chirurgica in senso stretto, poiché gli errori possono riguardare anche la gestione del paziente nel decorso post – operatorio.

c) lo scioglimento dell'èquipe

In virtù di questa impostazione di principio, la condotta del medico che, dopo aver ultimato con successo il proprio atto chirurgico, quando è imminente lo scioglimento dell'equipe operatoria non si curi di informare adeguatamente i sanitari che prendono in consegna il paziente, ovvero di assumere direttamente le iniziative necessarie a garantire l'esito positivo del decorso post-operatorio è censurabile, sotto il profilo della responsabilità per colpa, a meno che lo stesso non abbia potuto ottemperare a tale obbligo per ragioni di sopravvenuta urgenza nell'ambito del servizio prestato, e sempre che non si tratti di adempimenti di carattere manifestamente semplice o routinario, da valutare nel caso concreto.

La pronuncia in analisi si inserisce nel panorama di una giurisprudenza di legittimità sostanzialmente uniforme.

Nello stesso senso, solo a titolo esemplificativo, cfr. Cass. pen., sez. IV, 2 aprile 2010 n. 19637, relativa a un caso in cui nel corso di un intervento di mastoplastica additiva, la paziente era stata posizionata erroneamente sul lettino operatorio ed era stata mantenuta in tale incongrua posizione per tutta la durata dell'intervento con una conseguente lesione del nervo del plesso branchiale. In quell'occasione, la Corte ha sostenuto l'esistenza di un obbligo in capo al chirurgo attinente il posizionamento e la movimentazione della paziente sul lettino, in virtù di un principio generale di cooperazione multidisciplinare nell'attività medicochirurgica, per cui ogni sanitario è tenuto ad osservare, oltre che il rispetto delle regole di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine unico e comune.

Analogamente, v. pure Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2010 n. 119, secondo cui in una situazione di emergenza, peraltro abbastanza frequente nell'attività di un reparto di rianimazione, è obbligatorio per il medico che sia stato investito del caso di attivarsi per la soluzione dei problemi che pongono a rischio la vita del paziente o che siano, comunque, idonei a creare gravi rischi per la sua salute. Né tanto meno, questo dovere viene meno per via della eventuale conclusione dell'orario di servizio del sanitario, potendosi ritenere validamente esaurita la sua posizione di garanzia solamente a seguito e per effetto dell'adozione delle corrette pratiche terapeutiche.

Osservazioni

L'orientamento univoco della Corte di Cassazione a proposito della estensione e della durata della posizione di garanzia gravante sul medico all'interno di un'èquipe pone, a ben vedere, un serio problema di individuazione del confine, molto sottile, e a tratti davvero labile, rispetto a qualsivoglia ipotesi di responsabilità oggettiva che si annida, inevitabilmente, fra le maglie di obblighi di garanzia estesi ben oltre l'operato del singolo, in quanto tesi a ricomprendere il controllo su attività materialmente spettanti ad altri soggetti, parimenti esperti e competenti, ma sempre nei limiti imposti dal principio di affidamento.

Quest'ultimo criterio di temperamento assume quindi pregnanza cruciale al fine di delimitare in concreto un complesso di obblighi di sorveglianza potenzialmente indeterminati, circoscrivendone la rilevanza alle ipotesi di errori realmente percettibili e prevedibili dal sanitario membro del gruppo operatorio rispetto all'attività del collega. È sul giudizio di prevedibilità in concreto – evidentemente rimesso alla discrezionale valutazione del caso concreto da parte del giudice di merito – che si gioca, di volta in volta, la necessaria canalizzazione della responsabilità per colpa del sanitario in èquipe nell'assetto dei principi costituzionali di tassatività e personalità del rimprovero penalistico.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.