È tributaria la natura del contributo al fondo per il servizio antincendi negli aeroporti

26 Settembre 2018

Il contributo al fondo per il servizio antincendi negli aeroporti, previsto dall'art. 1, comma 1328, L. n. 296/2006, mantiene natura tributaria a dispetto di quanto stabilito dal legislatore in sede di interpretazione autentica.
Massima

È fondata, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 478, L. n. 208/2015, secondo il quale le disposizioni in materia «di corrispettivi a carico delle società di gestione aeroportuale relativamente ai servizi antincendi negli aeroporti, di cui all'art. 1, comma 1328, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296», si interpretano nel senso che dalle stesse non sorgono obbligazioni di natura tributaria. In presenza degli elementi strutturali di un tributo, la norma interpretativa censurata, lungi dall'esplicitare una possibile variante di senso della disposizione interpretata, le attribuisce un significato non compatibile con l'intrinseca e immutata natura tributaria della prestazione, così ledendo la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico e traducendosi in una violazione del principio di ragionevolezza.

Il caso

Alcune società di gestione aeroportuale avevano impugnato davanti alla CTP di Roma la nota con cui l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC) aveva richiesto il versamento delle somme, dovute in proporzione al traffico generato, destinate ad alimentare, ai sensi dell'art. 1, comma 1328, L. n. 296/2006, il fondo istituito per finanziare il servizio antincendi negli aeroporti nazionali.

L'adita CTP aveva ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice tributario, mentre, in sede di appello, la CTR del Lazio aveva per contro dichiarato il difetto di giurisdizione, affermando quella del giudice ordinario.

Avverso tale sentenza le citate società di gestione aeroportuale hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendo la declaratoria della giurisdizione del giudice tributario, assumendo che la prestazione patrimoniale in questione avesse le caratteristiche proprie dei tributi.

Investite del ricorso, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono dovute confrontare con lo ius superveniens rappresentato dall'art. 1, comma 478, L. n. 208/2015, con cui il legislatore ha sostanzialmente disposto che (anche) i corrispettivi a carico delle società di gestione aeroportuale relativamente ai servizi antincendi negli aeroporti, di cui all'art. 1, comma 1328, L. n. 296/2006, dovevano intendersi privi di natura tributaria.

La questione

Secondo il rimettente, la disposizione censurata, violerebbe, tra l'altro e in primo luogo, l'art. 3 Cost., perché il legislatore, con una norma di interpretazione autentica, avrebbe irragionevolmente escluso la natura tributaria dei contributi al fondo antincendi, in assenza di una situazione di incertezza del dato normativo e pur sussistendo tutti gli elementi strutturali dei tributi.

Nel caso di specie, infatti, ricorrerebbero tutti gli elementi identificativi dei tributi per come enucleati dalla giurisprudenza costituzionale e della Corte di cassazione, vale a dire:

a) la matrice legislativa della prestazione imposta, poiché il prelievo nasce direttamente in forza della legge, risultando irrilevante l'autonomia contrattuale;

b) la doverosità della prestazione, con ablazione delle somme e loro attribuzione a un ente pubblico, per cui i soggetti tenuti al pagamento non possono sottrarsi a tale obbligo e la legge non dà alcun rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti;

c) il nesso con la spesa pubblica, nel senso che la prestazione è destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente impositore.

Escludendo la natura tributaria del contributo, la norma interpretativa radicherebbe senz'altro la giurisdizione ordinaria, provocando la reiezione del ricorso per cassazione.

Se tale considerazione rende evidente la rilevanza della questione, la problematica che si agita sullo sfondo sembra essere costituita dalla possibilità per il legislatore di escludere la natura tributaria di un prelievo pur in presenza dei suoi connotati essenziali.

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale ha ritenuto che il contributo al fondo antincendi presenti tutte le caratteristiche del tributo:

  • una definitiva decurtazione patrimoniale a carico dei soggetti passivi, prevista dall'art. 1, comma 1328, L. n. 296/2006 e dall'art. 4, comma 3-bis, D.L. n. 185/2008;
  • la sua connessione con un presupposto economico, essendo ancorata al volume del traffico aereo generato e quindi al fatturato realizzato, indice di capacità contributiva, e il nesso con la spesa pubblica, poiché, il citato art. 1, comma 1328, L. n. 296/2006 prevedeva che le somme versate dalle società aeroportuali fossero utilizzate per compensare la riduzione della spesa statale per il pagamento del servizio antincendi negli aeroporti e il successivo art. 4, comma 3-bis, D.L. n. 185/2008 ha destinato tali somme al pagamento di indennità salariali integrative previste in favore di tutti i vigili del fuoco (e non solo di quelli che prestano servizio negli aeroporti);
  • la mancanza di una relazione sinallagmatica con il servizio antincendi, ove si consideri che la misura della contribuzione annua complessivamente gravante sulle società di gestione aeroportuale non è parametrata al costo effettivo di quel servizio reso in tutti gli aeroporti (né, conseguentemente, la misura richiesta alle singole società di gestione è parametrata al servizio reso nei relativi aeroporti), che il contributo, nella versione originaria, era dovuto a fronte di un servizio pubblico indivisibile reso in favore non delle sole società aeroportuali, ma di tutti gli utenti degli aeroporti, e che, a decorrere dal 2009, i prelievi non vanno più a coprire la riduzione della spesa per il servizio antincendi, ma le integrazioni salariali di cui si è detto.

Secondo la Corte costituzionale, a fronte dei ricordati elementi strutturali della fattispecie, negarne la natura tributaria assurge a operazione meramente nominalistica, che, lungi dall'esplicitare una possibile variante di senso della norma interpretata, incongruamente le attribuisce un significato non compatibile con l'intrinseca e immutata natura tributaria della prestazione, così ledendo la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico, in violazione del principio di ragionevolezza.

Osservazioni

Come non manca di rammentare la sentenza in commento, in passato la Corte costituzionale aveva più volte affermato che «una fattispecie deve ritenersi “di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili requisiti: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese” (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 269 e n. 236 del 2017)» (di recente, sentenza n. 89/2018).

Dunque, la decisione si porrebbe nel solco della tradizione giurisprudenziale consolidata.

Due, tuttavia, mi paiono gli spunti di novità da rimarcare.

Anzitutto – correttamente, a mio avviso – la Corte costituzionale non ha rimproverato al rimettente di non aver fatto piena applicazione del principio in questione e quindi considerato il prelievo come tributario a prescindere dalla qualificazione legislativa – con conseguente irrilevanza della questione – atteso che la norma censurata non intendeva limitarsi a una mera denominazione dello stesso, da cui eventualmente poter prescindere, ma vincolare l'interprete ad applicare a esso proprio uno specifico regime, quello non tributario.

In secondo luogo – e principalmente – diversamente da quanto più volte accaduto in passato, nella fattispecie la Consulta non si è trovata a valutare incidentalmente se il prelievo avesse o meno natura tributaria e, quindi, se esso fosse rispettoso o meno dei parametri posti a presidio della legittima imposizione fiscale. Ha affrontato frontalmente il tema della possibilità per il legislatore di negare l'assoggettamento di un prelievo – che, a una concreta disamina, presenti tutti i requisiti del tributo quali elaborati nel consolidato orientamento della giurisprudenza, segnatamente costituzionale – al relativo regime giuridico (nella fattispecie, sotto il profilo della giurisdizione).

Una volta che tale esame abbia avuto esito positivo, una norma che pretendesse di discostarsene risulterebbe automaticamente irragionevole, «ledendo la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico», anche a prescindere, dunque, dal fatto che il prelievo fosse discriminatorio o non ossequiasse i principi di capacità contributiva e di progressività, profili su cui, di solito, si appuntano le censure dei rimettenti.

A seguito della pronuncia in commento e del rigore che la caratterizza, se, da un lato, risulta rinvigorito il limite alla discrezionalità legislativa, dall'altro aumenta il rammarico per quei casi in cui la Corte costituzionale ha negato natura tributaria ad altri prelievi che ne presentavano tutti i connotati, avallando operazioni di maquillage tentate dal legislatore: sul punto, M. MASCIADRI, Il mimetismo criptico del contributo di solidarietà sulle “pensioni d'oro” e la sua vera natura tributaria (commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016), in questa rivista, Focus del 12 dicembre 2016.

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