Impresa familiare e IRAP: la (ingiusta) disputa giurisprudenziale
04 Ottobre 2018
Massima
L'Agente di commercio, che svolge la propria attività sotto forma di impresa familiare, non è soggetto ad IRAP qualora si avvalga di un solo collaboratore per operazioni meramente esecutive. Il caso
La sentenza affronta il tema della assoggettabilità ad IRAP dell'impresa familiare. Secondo l'Agenzia delle Entrate la presenza di collaboratori familiari, in una attività ausiliaria del commercio strutturata in forma di impresa familiare (nello specifico agente di commercio), è elemento sufficiente, per soddisfare il requisito dell'autonoma organizzazione, e ciò in quanto l'esercizio dell'attività, qualunque essa sia, attraverso l'impresa familiare è a tutti gli effetti un'attività di impresa che, in quanto tale, è autonomamente organizzata e dunque va assoggettata ad IRAP. La questione
La controversia è incentrata sulla annosa questione dell'assoggettamento o meno all'IRAP dei soggetti che producono reddito di impresa.
In sede di appello l'Agenzia delle Entrate sostiene che l'imprenditore familiare, e non anche i familiari collaboratori, è soggetto passivo IRAP, in quanto detta imposta colpisce il valore della produzione netta dell'impresa e la collaborazione dei partecipanti all'impresa familiare integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare. Al contrario, il contribuente ritiene che non necessariamente l'attività svolta per il tramite dell'impresa familiare sia equiparabile allo svolgimento di un'attività d'impresa tout court in relazione alla quale sussiste, in ogni caso, la presenza di autonoma organizzazione. Infatti, ai fini dell'imponibilità ai fini Irap, è necessario verificare le concrete modalità di svolgimento dell'attività, al fine di verificare la sussistenza o meno del presupposto dell'imposta. La CTR del Piemonte ha ritenuto che l'esercizio dell'attività di agente di commercio, svolta sotto forma di impresa familiare, non comporti automaticamente l'assoggettamento a Irap e che, dunque, i giudici di merito devono accertare la ricorrenza in concreto della autonoma organizzazione. Infatti, è necessario verificare il ruolo del collaboratore dell'impresa familiare al fine di stabilire se sussista o meno un'organizzazione autonoma.
Le soluzioni giuridiche
La sentenza in esame offre lo spunto per alcune riflessioni sul tema della assoggettabilità ad Irap dei soggetti che producono reddito d'impresa.
Inesistenza del nesso reddito di impresa = assoggettabilità Irap
È ormai pacifico che l'organizzazione in forma di impresa è uno dei presupposti per l'assoggettabilità ad IRAP in assenza del quale non trova applicazione l'imposta. In particolare, se per il lavoro autonomo si può ritenere, in linea di massima, la non debenza dell'Irap se manca una adeguata organizzazione, per i soggetti che percepiscono reddito d'impresa la questione è più complessa. Con specifico riferimento poi all'impresa familiare, la Cassazione ha confermato, nell'ordinanza 17 giugno 2016, n. 12616, che deve ritenersi soggetto all'IRAP l'imprenditore commerciale, titolare di un'impresa familiare (non i familiari collaboratori), afferendo l'IRAP non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un'attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.
Si ritiene, però, che detto principio non sia corretto soprattutto in ragione del principio affermato dalle Sezioni Unite della stessa Corte, secondo il quale, tra i soggetti che conseguono reddito d'impresa e quelli che percepiscono redditi di lavoro autonomo esiste una “zona grigia”, una linea mobile di confine, rappresentata dallo svolgimento delle attività ausiliarie di cui all'art. 2195 c.c., le quali, pur essendo ai fini delle imposte sul reddito considerate produttive di reddito d'impresa, possono essere (e spesso sono) svolte dal soggetto senza organizzazione di capitali o lavoro altrui. “Se, infatti, si considerassero ai fini IRAP queste attività tout court "attività di impresa", l'imposta non troverebbe corrispondenza nella sua ratio, e finirebbe per colpire una "base fittizia", un "fatto non reale", in contraddizione con una interpretazione costituzionalmente orientata del presupposto impositivo. Non è, infatti, la oggettiva natura dell'attività svolta ad essere alla base dell'imposta, ma il modo - autonoma organizzazione - in cui la stessa è svolta” (Cass. civ., SS.UU., 26 maggio 2009 n. 12110).
Di qui, non sembra corretto sostenere che in presenza di soggetti, diversi da società o enti commerciali, che conseguono reddito d'impresa sussista, a prescindere, l'assoggettabilità ad IRAP atteso che va valutata, caso per caso, la sussistenza o meno del requisito dell'autonoma organizzazione. Infatti, non va dimenticato che il presupposto dell'assoggettabilità all'IRAP, è rappresentato dall' “esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi” e solo le attività esercitate dalle società e dagli enti sono assoggettate ad IRAP a prescindere dall'esistenza o meno di un'organizzazione autonoma.
L'evoluzione della giurisprudenza
Con specifico riferimento all'assoggettabilità ad Irap dei soggetti percettori di reddito d'impresa, nel 2016 la Cassazione si è ripetutamente pronunciata con posizioni contrastanti sul tema. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza delle Sezioni Unite n. 9451/2016, ove gli ermellini hanno affermato il principio in base al quale «se fra "gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell'interessato, potenziandone le possibilità necessarie", accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi "personali" di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell'attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica (professionalità espressa nella) "attività diretta allo scambio di beni o di servizi", di cui fa discorso il D.Lgs. n. 946 del 1997, art. 2, e ciò vale tanto per il professionista che per l'esercente l'arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure "di confine" individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Corte. È infatti in tali casi che può parlarsi, per usare l'espressione del giudice delle leggi, di "valore aggiunto" o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di "quel qualcosa in più"» (Cass. civ., SS.UU., 10 maggio 2016 n. 9451).
Il che sta a significare che, nel caso di quote corrisposte dall'imprenditore ai familiari collaboratori dell'impresa familiare, occorre verificare se sia superata la soglia dell'impiego di un collaboratore esplicante mansioni di segreteria o meramente esecutive, atteso che soltanto al superamento di detta soglia scatta il presupposto impositivo dell'automa organizzazione e, quindi, l'assoggettamento ad IRAP.
Nonostante il principio affermato dalla Sezioni Unite, le posizioni assunte successivamente risultano essere contrastanti. Infatti, come detto, con l'ordinanza n. 12616/2016, la Cassazione ha affermato che deve ritenersi soggetto all'Irap l'imprenditore commerciale, titolare di un'impresa familiare, afferendo l'Irap allo svolgimento di un'attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (Cass. civ., 17 giugno 2016, n. 12616). Principio ribadito, pochi mesi dopo e in maniera ancor più netta, laddove i giudici affermano che tutti i soggetti che producono reddito di impresa, commerciale od agricola, sono tenuti al versamento dell'Irap, laddove non espressamente esentati, e quindi anche le imprese familiari, che producono un reddito d'impresa con la presenza di collaboratori familiari, vanno inquadrate nell'ambito delle attività soggette ad Irap (Cass. civ., 24 novembre 2016, n. 24060).
Di segno opposto l'ordinanza n. 17429/2016 ove i giudici affermano che ai fini dell'assoggettamento ad Irap dell'impresa familiare è necessario valutare se il collaboratore esplica mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Cass. civ., 30 agosto 2016, n. 17429). Più di recente, la diatriba giurisprudenziale non si è sopita. Infatti, con l'ordinanza n. 16742/2017, viene affermato il principio in base al quale, per stabilire se impresa familiare è dotata di autonoma organizzazione e dunque da assoggettare ad Irap, deve essere valutato l'apporto dei collaboratori familiari (Cass. civ., 6 luglio 2017, n. 16742).
Di segno opposto l'ordinanza n. 14789/2018 che, ancora una volta, si limita all'aspetto meramente oggettivo dell'impresa familiare, ovvero in quanto produttiva di reddito di impresa deve essere assoggettata ad IRAP (Cass. civ., 7 giugno 2018, n. 14789).
Osservazioni
Nonostante la giurisprudenza di legittimità non sia unanime, si ritiene che, per stabilire se un soggetto che produce reddito d'impresa, diverso dalle società, debba essere assoggetto ad Irap, sia necessario verificare se sussista il requisito dell'autonoma organizzazione.
Va ricordato, infatti, che la Corte costituzionale, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'imposta precisando che “l'Irap non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce... il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate” (Corte Cost., 21 maggio 2001, n. 156).
Evidente, quindi, che la ratio del tributo, deve essere ricercata nella rilevanza economica del valore aggiunto scaturente da ogni attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguenza che sarebbe incostituzionale, l'applicazione dell'imposta a soggetti privi del requisito dell'autonoma organizzazione.
Il che equivale a dire che, se l'imposta colpisse “l'oggettiva natura dell'attività svolta, e non “il modo in cui la stessa è svolta” (con o senza autonoma organizzazione), si darebbe prevalenza alla forma e non alla sostanza, e verrebbe colpito non il valore aggiunto di un'attività autonomamente organizzata bensì il valore aggiunto “ipotetico”, in contraddizione con una interpretazione costituzionalmente orientata della norma sul presupposto impositivo.
In conclusione, appare conforme al dettato costituzionale, un'interpretazione che privilegi la situazione reale che deve essere valutata caso per caso non solo nell'ambito del lavoro autonomo ma anche nell'ipotesi dei soggetti che producono reddito d'impresa al fine di valutare se esista o meno un valore aggiunto dell'attività autonomamente organizzata da assoggettare all'Irap.
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