Confermata la possibilità di notificare l'appello via PEC nel caso di processo di primo grado “cartaceo”

Jacopo Lorenzi
08 Ottobre 2018

L'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata nell'atto introduttivo del processo di primo grado costituisce, ope legis, elezione di domicilio telematico valevole per le comunicazioni e le notificazioni degli atti processuali, tra cui il ricorso in appello. Il giudizio di appello può essere introdotto in forma telematica (con notifica dell'atto via PEC) anche nel caso in cui il primo grado sia stato introdotto con modalità cartacee dal ricorrente.
Massima

L'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata nell'atto introduttivo del processo di primo grado costituisce, ope legis, elezione di domicilio telematico valevole per le comunicazioni e le notificazioni degli atti processuali, tra cui il ricorso in appello.

Il giudizio di appello può essere introdotto in forma telematica (con notifica dell'atto via PEC) anche nel caso in cui il primo grado sia stato introdotto con modalità cartacee dal ricorrente.

Il caso

Un contribuente impugnava, innanzi alla CTP di Caserta, un'ingiunzione di pagamento emessa da un consorzio di bonifica e relativa a contributi consortili per l'irrigazione. Il ricorrente notificava il ricorso alla controparte e si costitutiva in giudizio con modalità “cartacea”. L'ente resistente rimaneva contumace.

Il giudizio di primo grado si concludeva con l'accoglimento del ricorso e la relativa sentenza veniva appellata dal consorzio tramite impugnazione “telematica”, cioè con la notificazione via posta elettronica certificata del ricorso in appello all'indirizzo pec indicato dal difensore del ricorrente nel ricorso, “cartaceo”, di primo grado.

Le questioni

Le questioni di particolare interesse sono due e sono state portate all'attenzione della CTR ad opera del contribuente, appellato nel giudizio di secondo grado, che ha richiesto:

  1. l'inammissibilità dell'appello per inesistenza della notifica, perché il consorzio aveva notificato l'appello via pec in assenza di elezione di domicilio digitale ai fini delle notificazioni telematiche;
  2. l'inammissibilità dell'appello perché notificato in via digitale quando il giudizio di primo grado era stato introdotto, dall'appellato-contribuente, in forma cartacea.

Con riferimento alla prima questione, il contribuente-appellato ha eccepito la violazione dell'art. 16, D.Lgs. n. 546/1992, nonché la violazione degli artt. 2, comma 3 e 6, comma 1, D.M. 23 dicembre 2013, n. 163 (Regolamento per l'uso degli strumenti informatici e telematici nel processo tributario).

Segnatamente, per il contribuente l'appello era da considerare inammissibile perché notificato sulla pec del proprio difensore in assenza di elezione di domicilio digitale ai fini delle notificazioni telematiche.

Relativamente alla seconda questione, per il contribuente l'appello del consorzio sarebbe stato inammissibile perché il giudizio di primo grado era stato introdotto in forma cartacea e la notifica telematica dell'appello si sarebbe posta in contrasto con la preclusione contenuta nell'art. 2, comma 3, D.M. n. 163/2013, a mente del quale la parte che, in primo grado, ha utilizzato le modalità telematiche di cui al Regolamento medesimo, è obbligata ad utilizzare le medesime modalità per l'intero grado del giudizio e per l'appello (salvo il cambio di difensore).

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento alla prima questione, la CTR ha ritenuto l'appello ammissibile perché il Regolamento riconosce espressamente la facoltà delle parti di avvalersi delle notifiche telematiche nei casi in cui venga indicato l'indirizzo pec nell'atto notificato. Ciò in quanto l'indicazione della pec, per la CTR, costituisce elezione di domicilio digitale.

Di conseguenza, l'assunto per cui il domicilio digitale deve essere volontariamente eletto è erroneo e non trova riscontro nella normativa di settore, dov'è proprio l'art. 6, comma 1, D.M. n. 163/2013, a prevedere che “L'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata … contenuta nel ricorso introduttivo o nell'istanza di reclamo e mediazione notificati tramite PEC, equivale ad elezione di domicilio digitale ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche”.

Secondo la CTR Campania, quindi, l'elezione di domicilio digitale si realizza ope legis, cioè deriva quale automatica conseguenza della mera indicazione della pec nell'”atto di ricorso”, venendosi a creare – con l'indicazione in atti della pec – una fictio iuris di elezione di domicilio digitale.

Su questa questione si rinvengono alcuni precedenti definibili conformi e difformi, anche se non propriamente relativi all'istituto del domicilio digitale. Tra quelli conformi rientra la sentenza CTR Toscana n. 780 del 20 aprile 2018, secondo cui l'art. 16-bis, D.lgs. n. 546/1992, consente di notificare il ricorso in appello in via telematica perché, in base alle definizioni contenute nell'art. 1 del Regolamento, il termine “ricorso” designa sia il ricorso di primo grado che il ricorso in appello. Risulta difforme, invece, CTR Toscana n. 1377 del 31 maggio 2017, per la quale “la notifica di atti giudiziali tributari a mezzo pec … non può ritenersi ammissibile alla stregua della testuale esclusione prevista a riguardo dall'art. 16 co. 4 del regolamento sull'utilizzo della pec approvato con D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 684”.

Per quanto riguarda la seconda questione, invece, per la CTR in commento non sussiste, ai sensi dell'art. 2, comma 3, D.M. n. 163/2013, una vincolatività in grado di appello delle forme di veicolazione del ricorso utilizzate in primo grado.

Il predetto vincolo rimane circoscritto alla sola parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche e, siccome nel caso di specie il primo grado era stato introdotto con modalità “cartacea” da parte del contribuente, tale preclusione non avrebbe potuto operare, tanto più considerato che l'Ente impositore era rimasto, nel primo grado, contumace.

Sul punto si rinvengono dei precedenti conformi e difformi:

Conformi Difformi
è conforme CTP di Foggia, sent. n. 104 del 5 febbraio 2018, che ha stabilito che “va escluso che la modalità di costituzione (cartacea) adottata dal ricorrente possa influenzare le modalità di costituzione del resistente, obbligandolo a scegliere la stessa forma di costituzione … perché l'art. 2, comma 3, decreto 23/12/2013 n. 163 … si limita a stabilire tale obbligo per la sola parte che abbia adottato in primo grado le modalità telematiche, senza in alcun modo condizionare le scelte della controparte …”.

Di segno contrario, sulla seconda questione, si registrano:

i) CTP Reggio Emilia, sent. n. 245 del 12 ottobre 2017, per la quale “il sistema si ricostruisce nel senso che se il ricorso è introdotto tramite pec, la costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente debba avvenire in modo telematico … mentre nel caso il ricorso sia stato introdotto in altro modo, diciamo “cartaceo” … anche la costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente debba avvenire in modo cartaceo”.

Conforme a quest'ultima si veda, anche, CTP Reggio Emilia, sent. n. 1981 del 21 dicembre 2017.

Osservazioni

La sentenza, a parere di chi scrive, nel suo complesso esprime un giudizio condivisibile, anche perché in linea con lo spirito della riforma del processo tributario, riforma che mirava, com'è noto, a perseguire il massimo ampliamento dell'uso della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni.

Con riguardo alla questione relativa all'elezione del domicilio digitale v'è da dire, anzitutto, che la possibilità di notifica dell'impugnazione “presso il procuratore costituito” non trova diretta disciplina nel D.Lgs. n. 546/1992 bensì nel codice di rito, segnatamente all'art. 330, c.p.c. (Art. 330, c.p.c., Luogo di notificazione dell'impugnazione: “Se nell'atto di notificazione della sentenza la parte non ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l'ha pronunciata, l'impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell'art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio”), per la cui applicabilità al processo tributario si rimanda a quanto deciso da Cass. civ., SS.UU. n. 29290/2008.

Se questo è vero, detta norma (che prevede, lo si ripete, la possibilità di notificare l'impugnazione “presso il procuratore costituito”) deve essere coordinata con le regole relative al processo tributario “tradizionale” e “telematico”, cioè le regole contenute nel D.Lgs. n. 546/1992 e nel D.M. n. 163/2013, anche per cercare di comprendere il ragionamento seguito dalla CTR nella sentenza in commento.

Quando si parla di domicilio digitale si intende, molto semplicemente, un indirizzo di posta elettronica certificata o un indirizzo utilizzato da un altro servizio di recapito qualificato.

Orbene, nella motivazione la CTR Campania ha sostenuto che “Com'è noto, l'art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 espressamente prevede che le notificazioni tra le parti e i depositi … possano avvenire in via telematica secondo … (il D.M. n. 163/2013, ndr)e “… il successivo articolo 6 prevede poi che “L'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata di cui all'art. 7, ai sensi dell'articolo 18 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, contenuta nel ricorso introduttivo o nell'istanza di reclamo e mediazione notificati tramite PEC, equivale ad elezione di domicilio digitale ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche”.

Verosimilmente, il richiamo al terzo comma dell'art. 16 è un mero refuso, perché la norma richiamata è contenuta nel terzo comma dell'art. 16-bis; il problema, però, risiede proprio nel richiamo all'art. 6, comma 1, d.m. n. 163/2013, perché detta disposizione menziona espressamente ricorsi e reclami notificati via pec, come a dire che si ha “automatica elezione di domicilio digitale” nel caso in cui si notifichi il proprio atto difensivo (ricorso o reclamo) via pec.

E ciò avrebbe anche un senso, considerato che, ai sensi dell'art. 18, D.Lgs. n. 546/1992, l'indicazione della pec del difensore non è più opzionale: il tenore letterale dell'art. 6, comma 1, D.M. n. 163/2013, sembra dire, senza possibilità di diverse interpretazioni, che si ha automatica elezione di domicilio digitale nei casi in cui si indichi la pec in un atto notificato per via telematica.

A ben vedere, però, il discorso è più ampio (e più complesso), perché l'automatica elezione di domicilio digitale oggi è espressamente prevista dalla legge processuale, segnatamente dall'art. 16-bis, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992, a mente del quale L'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale alla comunicazione del domicilio eletto.

Alla luce di ciò quello che pare potersi affermare è questo: se un contribuente decide di farsi rappresentare in giudizio da un difensore abilitato ex art. 12, D.Lgs. n. 546/1992, oppure il giudizio ha un valore tale da richiedere l'obbligatoria assistenza tecnica, se detto contribuente elegge domicilio, ai fini delle notificazioni, presso il proprio difensore, l'elezione di domicilio digitale non è più facoltativa, in quanto espressamente prevista dalla legge processuale (art. 16-bis, comma 4, d.lgs. 546/1992).

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Relativamente alla seconda questione, cioè quella relativa all'inammissibilità dell'appello perché notificato in maniera telematica in un giudizio instaurato originariamente (cioè in primo grado) con modalità cartacea, ritengo che la sentenza non possa che essere condivisa, visto il chiaro tenore letterale dell'art. 2, comma 3, D.M. n. 163/2013, che prevede una preclusione definibile “unidirezionale”, cioè la preclusione relativa al cambio del rito si ha solo dal “telematico” al “cartaceo”, non viceversa.

Pertanto è indubbio che, da questo punto di vista, la notifica eseguita al difensore con modalità telematica non presenti profili di inammissibilità, intesi come relativi al “cambio di forma” del rito.

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