Codice Civile art. 2257 - Amministrazione disgiuntiva.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Amministrazione disgiuntiva.

[I]. L'istituzione degli assetti di cui all'articolo 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori. Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri.1.

[II]. Se l'amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all'operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.

[III]. La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull'opposizione.

[1] Comma sostituito dall'art. 40, comma 1, d.lgs. 26  ottobre 2020, n. 147. Ai sensi dell'art. 42, comma 1, del citato decreto la presente disposizione entra in vigore il  20 novembre 2020. Il testo del comma,  come da ultimo sostituito dall'art. 377, comma 1,  d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 era il seguente: <<La gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri>> . Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2,  d.lgs. n. 14, cit., entrava in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto (16 marzo 2019).  Il testo del comma  precedentemente alla sostituzione era il seguente: «Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri».

Inquadramento

La formulazione del comma 1 rende evidente che il modello legale, che attribuisce l'amministrazione della società a ciascun socio amministratore, è derogabile (Cass. I, n. 8538/2004, nella quale si puntualizza che il giudizio espresso dal giudice di merito sull'intervenuta stipulazione di un patto sociale derogativo non è censurabile dalla Corte di cassazione se adeguatamente motivato). In proposito si è deciso che la circostanza che, in una società di persone, in cui entrambi i soci abbiano per patto espresso l'amministrazione, venga affidata ad uno dei soci la direzione tecnica non vale a privare l'altro socio dei poteri di amministrazione e di rappresentanza, neppure nel caso in cui venga di comune accordo stabilito un compenso per la direzione tecnico-amministrativa affidata ad uno dei soci (Cass. I, n. 1313/1958).

La Cassazione, nel ribadire la derogabilità del modello legale, ha precisato che il potere di amministrazione disgiuntiva è derogabile solo mediante diversa pattuizione e che pertanto l'amministrazione deve ritenersi congiuntiva solo se la ricorrenza di tale pattuizione sia stata dimostrata e non anche se sia mancata la prova del fatto negativo, cioè dell'inesistenza di pattuizioni in deroga (Cass. I, n. 8538/2004).

Si ritiene, poi, che nelle società di persone, se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, i soci amministratori non addetti ad una specifica attività o settore hanno il diritto di avere dall'amministratore che vi è preposto notizia sullo svolgimento dei relativi affari, di consultare i documenti e ottenere il rendiconto (Cass. I, n. 2962/2017).

Giova premettere che le norme in tema di società semplice (tra cui l'art. 2257 inciso dalla riforma) trovano applicazione, ai sensi dell'art. 2293 c.c., anche nella disciplina delle società in nome collettivo, qualora questa non disponga diversamente, e che le norme sulla società in nome collettivo si applicano anche, in forza dell'art. 2315 c.c., alle società in accomandita semplice, in quanto compatibili (Corbi, Crepaldi, 13).

L'amministrazione delle società di persone dopo il codice della crisi

  Uno degli aspetti principali della riforma del diritto societario operata dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza riguarda la disciplina degli assetti adeguati (art. 377 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14). La novità normativa è duplice: da un lato si opera la generalizzazione a tutti i tipi societari di tale nuova disciplina; dall'altro si distingue tra la funzione di gestione dell'impresa, che spetta agli amministratori, e quella di amministrazione che spetta di regola a ciascun socio disgiuntamente, salva diversa pattuizione (Corbi, Crepaldi, 13).

Più precisamente, il Codice della crisi d'impresa ha inizialmente così riformulato il primo comma dell'art. 2257 c.c. : « La gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri»; con la precisazione che il richiamo all'art. 2086 c.c., formulato dall'art. 2257 c.c. in tema di s.s., ha una applicazione estesa, attraverso gli artt. 2293 e 2315 c.c., anche alla s.n.c. ed alla s.a.s..

Alla luce di questa iniziale formulazione testuale dell'art. 2257 c.c. una parte della dottrina ha ritenuto che il socio illimitatamente responsabile, escluso dall'amministrazione, non potrebbe in alcun modo occuparsi della gestione dell'impresa sociale. (Verna, 193). Si è inoltre affermato che la riforma avrebbe affiancato alla regola della spettanza dell'amministrazione ai soci, già desumibile dal testo previgente della norma in esame, il principio di esclusività della gestione d'impresa in capo agli amministratori, principio il cui ambito di operatività si estendeva finora solo alle società per azioni, in forza delle caratteristiche proprie di tale tipologia societaria (Di Bernardo, 342). Si è poi rilevato che il nuovo testo dell'art. 2257, comma 1, c.c., nel precisare che «la gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma» e quindi nel far riferimento all'obbligo degli amministratori di dotare la società di un assetto organizzativo adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, da un lato mira a consentire una tempestiva rilevazione della crisi e della perdita di continuità aziendale e a indurre gli amministratori ad attivarsi sollecitamente per l'adozione e l'attuazione di uno dei rimedi predisposti dall'ordinamento per superare la situazione di impasse (Di Bernardo, 341), dall'altro sembra porre l'accento sulla necessaria presenza di un organo amministrativo anche nelle società di persone, in correlazione alla necessaria sussistenza di un « principio di organizzazione» rispondente ad esigenze non solo di carattere funzionale, ma anche di tutela dei terzi.

L'art. 40, comma 1, d.lgs. n. 26  ottobre 2020, n. 147 (c.d. correttivo) ha, poi, modificato il disposto dell'art. 2257 c.c. chiarendo che è la (sola) “istituzione degli assetti di cui all'art. 2086, secondo comma” a spettare “esclusivamente agli amministratori”, ponendo così fine al vivace dibattito interpretativo nato durante la vigenza (dal 16 marzo 2019) della precedente formulazione, considerata in contrasto con la competenza dei soci a decidere sull'opposizione di uno degli amministratori all'operazione che un altro voglia compiere (art. 2257, comma 2 c.c.) nonché con la possibilità che l'atto costitutivo consenta ai soci accomandatari di dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni (art. 2320, comma 2) (Abriani-Rossi, 393 ss.).

Il legislatore ha così dissipato le perplessità sorte all'indomani del varo del c.c.i.i. che aveva esteso l'operatività della disposizione in origine dettata con la riforma del 2003 per il tipo azionario (artt. 2380-bis, comma 1, 2409-novies, comma 1 e 2409-septiesdecies comma 1) ed introduttiva della separazione tra proprietà e governo della s.p.a., prevedendosi, come evidenziato, che, anche per le società di persone, “la gestione spetta esclusivamente agli amministratori”.

Se il c.d. decreto correttivo ha circoscritto la riserva di competenza degli amministratori di società di persone alla sola istituzione degli assetti adeguati, in ogni caso, l'individuazione, sia pur con le necessarie distinzioni derivanti dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa, del minimo comune denominatore per l'imprenditore societario del principio di adeguatezza degli assetti, sembra collocarsi nella tendenza all'unificazione dei regimi di responsabilità degli amministratori di società (Murino, 1619 cui si rinvia per gli ampi riferimenti comparatistici con il sistema tedesco delle società di persone recentemente oggetto di riforma).

A seguito della riforma operata dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, pertanto, il dovere di corretta amministrazione ricomprende quelli di diligenza e lealtà ma, al contempo, fa assumere ai due doveri tradizionali – anche dei gestori di società di persone – un contenuto più incisivo, riferibile ad un particolare modo di comportarsi nello svolgimento dell'attività di amministrazione fondato su principi e regole, pure procedimentali, prestabiliti .

Inoltre il principio di adeguatezza degli assetti amministrativi, organizzativi e contabili porta con sé quello di proporzionalità: gli amministratori sono chiamati a calibrare gli assetti sulle specificità della singola società (date ad esempio da dimensioni dell'impresa, natura della stessa, complessità dell'attività sociale, regime di amministrazione concretamente adottato e altre circostanze concrete, quali il numero dei dipendenti/collaboratori, la programmazione di turni di lavoro, lo svolgimento dell'attività in più luoghi diversi).

In questo modo, in sostanza, è resa accountable la gestione dell'impresa, ossia costantemente verificabile da parte dei soci (Mosco).

La predisposizione di assetti adeguati alla natura ed alle dimensioni dell'impresa può, infatti, essere oggetto di controllo individuale del socio ai sensi dell'art. 2361 c.c. il quale agisce nell'esercizio del proprio individuale diritto all'informazione senza che gli amministratori possano esimersi dall'adempimento del predetto obbligo adducendo le dimensioni minime o la scarsa complessità dell'attività gestita (Capelli, 128). Inoltre, un ulteriore strumento operativo di salvaguardia degli assetti può essere individuato nel diritto di ciascun socio amministratore con poteri disgiunti di opporsi, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2257 c.c., all'operazione che l'altro amministratore voglia compiere qualora lo reputi esorbitante rispetto alla cornice protettiva costituita dagli assetti organizzativi (Silva, 463).

Società di fatto e in nome collettivo

Il modello legale di amministrazione delineato dal comma 1 dell'art. 2257 c.c. vale anche per la società di fatto (Cass. I, n. 2820/1961) e per quella in nome collettivo (Cass. I, n. 8538/2004).

Poteri degli amministratori

È pacifico che il potere di amministrare è il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale; che si pongono cioè in rapporto di mezzo a fine rispetto all'attività di impresa dedotta in contratto (per tutti, Campobasso, 97).

Da ciò si è dedotto che:

- il potere di vendere beni sociali compete agli amministratori, anche senza il conferimento di uno specifico mandato, se questa attività rientra nell'oggetto sociale (Cass. I, n. 5621/1989, nella quale si precisa che, in caso contrario, occorre che nel mandato sia specificamente indicato, con riferimento al tipo di negozio, l'atto che l'amministratore può compiere);

- salvo che l'atto costitutivo disponga diversamente, l'amministratore di società in nome collettivo può assumere impiegati con funzioni di direzione dell'impresa (Cass. I, n. 2434/1973);

- il socio di una società personale, cui spetta il potere di ordinaria amministrazione disgiuntamente dagli altri soci, anch'essi titolari dello stesso potere, può legittimamente conferire, secondo i patti sociali, procura ad amministrare ad altro socio escluso dall'amministrazione della società (Trib. Torino 8 ottobre 1984).

Opposizione

Si è ritenuto che l'opposizione, la quale deve essere obbligatoriamente formulata prima che l'operazione contestata sia compiuta, possa legittimamente investire anche una pluralità di atti specie se omogenei (Pret. Milano 18 novembre 1988), ma non potrebbe investire in toto l'operato degli altri amministratori (Cass. I, n. 4018/1992, nella quale si puntualizza che detto comportamento potrebbe costituire «grave inadempienza» a norma dell'art. 2286 c.c.).

In mancanza di opposizione, si presume che la volontà espressa da uno dei soci nel negoziare per la società sia conforme a quella degli altri soci; e da ciò si è dedotto che se uno di essi abbia stipulato un contratto d'appalto col Comune, sussiste anche per l'altro la causa di ineleggibilità a consigliere comunale (Cass. I, n. 2760/1972).

Sull'opposizione «decide» la maggioranza dei soci, secondo quanto stabilito dall'ultimo comma dell'art. 2258 c.c. Tale decisione, pertanto, non attiene direttamente al compimento dell'operazione (così, per tutti, Campobasso, 91): detta dottrina da tale considerazione trae argomento per affermare: a) che se vi è rinuncia all'opposizione, viene meno la competenza della maggioranza dei soci; b) che se l'opposizione viene respinta, l'amministratore resta libero di compiere o meno l'operazione.

Società di due soci

Se l'amministrazione è disgiuntiva e si verifichi il recesso o la revoca dall'amministrazione di uno dei due soci, non si determina una situazione in cui sia consentito richiedere la nomina di un amministratore giudiziario, in quanto l'altro socio può esercitare i compiti di amministrazione inerenti al suo status, e quindi anche agire a tutela dell'interesse sociale (e non per un fine immediato attinente al proprio patrimonio) contro il primo per la reintegrazione del patrimonio sociale danneggiato dal medesimo (Cass. I, n. 134/1987).

Rinunzia al mandato

Quando l'amministrazione è attribuita disgiuntamente a più persone, non è invocabile il principio per cui la rinunzia di un amministratore ha effetto soltanto quando egli sia stato sostituito, in quanto la presenza di altro amministratore, nel quale si concentrano i poteri di ordinaria amministrazione, esclude che il dimissionario debba ancora occuparsi della gestione (Cass. I, n. 1602/2000).

Amministratore e lavoratore subordinato

Ritiene la Cassazione che in una società in accomandita semplice la carica di amministratore unico è incompatibile con la posizione di lavoratore subordinato della stessa, in quanto non possono in un unico soggetto riunirsi la qualità di esecutore subordinato della volontà sociale e quella di organo competente ad esprimere tale volontà (Cass. I, n. 7312/2013).

Famiglia coltivatrice

Nei confronti della famiglia coltivatrice sono applicabili, in mancanza di nomina di un rappresentante della stessa nei rapporti con il concedente, ai sensi dell'art. 48 della l. 3 maggio 1982 n. 203, le disposizioni degli artt. 2266 e 2257 c.c. in materia di società semplice, di talché ciascuno dei componenti può validamente rappresentare, sia attivamente che passivamente, la famiglia stessa, con l'ulteriore conseguenza che, ove il concessionario abbia posto il predio a disposizione dell'impresa familiare, il contratto di affitto di fondo rustico deve ritenersi corrente non tra il concedente e l'originario concessionario, ma tra il primo e la famiglia coltivatrice del secondo. Nella specie, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso sussistere un'insanabile contraddizione tra l'allegazione della sottoscrizione del contratto di affitto di fondo rustico da parte un membro soltanto della famiglia e la richiesta, avanzata dall'intera famiglia, di restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto a quanto pattiziamente stabilito (Cass. I, n. 15667/2011).

Bibliografia

Abriani-Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Soc., 2019, 393 ss.); G. F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Corbi, Crepaldi, Il nuovo diritto civile e penale della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Molfetta, 2019;  Di Bernardo, Modifiche al codice civile (Parte II - articoli 375 - 384), in Giorgetti, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza - commento al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, Pisa, 2019, 341; Mosco, L’amministrazione delle società di persone dopo il codice della crisi, in Giur. comm., 2021, 605 ss.); Capelli, sub art. 2257, in Società semplice, G. De Nova, (a cura di), Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, 2021, 125 ss. ; 363; Murino, Tendenze evolutive in tema di società di persone e ricadute su diritti, obblighi, revoca e responsabilità degli amministratori, in Trattato delle società diretto da Donativi, Tomo I, Utet, 2022, 1610 ss; Silva, Il nuovo codice delle crisi di impresa e dell'insolvenza: governance delle società di persone, in Riv. Not. 2022,3, 455 ss., Verna, Le modifiche al codice delle società (artt. 375-384), in Studio Verna, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Santarcangelo di Romagna, 2019,

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