Contraddittorio endoprocedimentale: costituisce un principio generale dell’ordinamento?
12 Ottobre 2018
Massima
Le norme nazionali non prevedono un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario.
Il diritto comunitario invece lo fa, ma tale precetto trova applicazione solo in relazione ai “tributi armonizzati”. Sussiste quindi nell'ordinamento una frattura tra procedimento tributario “armonizzato” e “non armonizzato” che non è, allo stato, saldata da una interpretazione giurisprudenziale “comunitariamente orientata”.
Fonte: ilfallimentarista.it Il caso
Una società (in seguito “CESI”) prima della dichiarazione di insolvenza (liquidazione coatta), aveva usufruito della agevolazione di cui all'art. 1, commi 25 ss. della legge 244 del 24 dicembre 2007 (finanziaria per il 2008). L'Amministrazione finanziaria con due avvisi di liquidazione pretendeva di revocare tale agevolazione sulla base della previsione per cui la mancata realizzazione degli interventi edilizi ne comporti la decadenza. Il commissario liquidatore della CESI impugnava i due avvisi di liquidazione fondando il ricorso su due motivi, uno dei quali centrato sulla richiesta di dichiarare la nullità dell'accertamento per difetto di contraddittorio. L'adita Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso statuendo che all'interno dell'ordinamento non è rinvenibile un obbligo generalizzato di contraddittorio, richiamando in tal senso la sentenza della Corte di Cass. 24823 del 9 dicembre 2015. La questione
Esiste una disposizione dell'ordinamento nazionale, anche di derivazione comunitaria, che preveda in via generale il principio del contraddittorio endoprocedimentale?
All'interno dell'ordinamento nazionale non si rinvengono norme che prevedano in modo esplicito l'obbligatoria partecipazione del contribuente al procedimento tributario. Vi sono invero solo norme specializzate, tra cui: il quinto comma dell'art. 6 dello Statuto del contribuente che impone all'ufficio di invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora vi siano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione; il sesto comma dell'art. 10-bis dello Statuto che prevede che l'ufficio debba notificare al contribuente una richiesta di chiarimenti prima di emettere l'accertamento di una operazione considerata elusiva; il settimo comma dell'art. 12 dello Statuto, in base al quale, “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza” (F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, 2017, 170 ss.).
Si discute se l'obbligo in esame trovi copertura costituzionale, in specie in forza degli artt. 24 e 97 della Carta. Ma l'art. 24 pare riferirsi soltanto ai procedimenti giurisdizionali e l'art. 97, sull'organizzazione della pubblica amministrazione, mancare di ogni riferimento al necessario coinvolgimento del privato nel procedimento amministrativo.
E la Legge n. 241/1990 nel regolare la partecipazione al procedimento amministrativo esclude espressamente da tale disciplina partecipativa “i procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li riguardano” (art. 13, comma 2). È solo nel diritto comunitario che si rinviene una norma, l'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che garantisce “il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”.
Le soluzioni giuridiche
Le pronunce della giurisprudenza
Attorno alla questione che ci occupa si pongono due orientamenti giurisprudenziali di segno opposto, promananti entrambi dalle Sezioni Unite della Cassazione. Con le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014, il Supremo Giudice nel sancire la nullità dell'iscrizione ipotecaria richiesta dall'Amministrazione Finanziaria ha stabilito che prima di procedervi, allo scopo di consentire un corretto esercizio del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.), sia necessario darne comunicazione al contribuente concedendo un termine minimo di trenta giorni per il contradditorio. Questo il passaggio cruciale: “l'amministrazione prima di iscrivere ipoteca, deve comunicare al contribuente che procederà alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest'ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni – perché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto. L'iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell'obbligo che incombe all'amministrazione di attivare il «contraddittorio endoprocedimentale», mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo”.
Le Sezioni Unite appoggiano il principio su diversi articoli dello Statuto dei diritti del contribuente (artt. 5, 6, 7, 10, comma 1, 12, comma 2), e sugli artt. 24 e 97 Cost. Dopo tanto liberale arresto le Sezioni Unite tornano sul tema - sentenza n. 24823 del 2015 – per fare un reciso revirement, limitando il significato delle sentenze commentate ”al relativo concreto decisum”. Questo il passaggio in cui circoscrivono il senso delle sentenze gemelle citate: “Invero le decisioni 19667/14 e 19668/14 hanno affrontato il tema del contraddittorio con specifico riguardo alle iscrizioni ipotecarie (...). E, pertanto, in relazione ad atti, per i quali (a differenza di quanto avviene per gli avvisi di accertamento, pur se adottati "a tavolino"), la comunicazione all'interessato non è normativamente prescritta in termini espliciti nemmeno dopo l'adozione, e per i quali il tema dell'assenza di contraddittorio si pone quindi (in rapporto alla disciplina applicabile ratione temporis), non solo, e non tanto, nell'ambito (endoprocedimentale) dell'iter amministrativo di formazione, quanto, e soprattutto, nella fase (postprocedimentale) successiva al perfezionamento dell'atto ed esposta alle conseguenze della relativa efficacia”. La sentenza motiva osservando che, quanto al diritto nazionale, la Legge n. 212/2000 non contempla un generalizzato obbligo al contraddittorio endoprocedimentalee non sono espressamente contemplate sanzioni a carico dell'Amministrazione finanziaria per l'inosservanza del contraddittorio. Nè, aggiunge il Supremo Giudice, il generalizzato obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale può essere ancorato agli articoli 24 e 97 della Costituzione in quanto, “le garanzie di cui all'art. 24 Cost. attengono, testualmente, all'ambito giudiziale; così pure quella di difesa di cui al 2° comma, sia per collocazione, tra il 1° comma ed il 3° e 4° comma (che recano il testuale inequivocabile riferimento all'ambito giudiziale), sia per l'esplicito riferimento al procedimento in ogni suo stato e grado”. Ed, inoltre, “non diversamente, l'art. 97 Cost. non reca, in alcuna delle sue articolazioni, il benché minimo indice rivelatore dell'indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale; né in seno al procedimento amministrativo (in relazione al quale l'obbligo del contraddittorio procedimentale è generalizzatamente sancito da legge ordinaria) né, tantomeno, con riguardo allo specifico procedimento tributario, per il quale la normativa ordinaria espressamente esclude la sussistenza di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, riconoscendo la ricorrenza dell'obbligo correlativo solo in presenza di specifica previsione”.
La Corte si pone il problema della disarmonia tra diritto interno e comunitario (cfr. Corte Giust. UE, 03/07/2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino; Corte Giust. UE, 18/12/2008, C-349/07, Sopropé) per concludere che la frattura tra tributi armonizzati e non armonizzati non può essere ricomposta per via interpretativa. Infatti, se è innegabile l'influenza che ha il diritto dell'Unione sull'esegesi del diritto nazionale, essa non può giungere fino a piegare a un senso che non ha e non vuole avere un quadro normativo interno univocamente interpretabile in senso diverso ed opposto: nella specie, nel senso dell'inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale. Ecco il principio di diritto che chiude la sentenza: "Differentemente dal diritto dell'Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto. Ne consegue che, in tema di tributi "non armonizzati", l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi "armonizzati", avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto".
Gli orientamenti della dottrina
Data l'importanza del tema e il conflitto apparente di arresti da parte delle Sezioni Unite, vivace è stato il confronto dottrinale. Secondo una corrente di pensiero (cfr. A. Ravera, Dalla Corte Costituzionale alla giurisprudenza di merito: un aggiornamento in tema di contraddittorio preventivo, in Dir. prat. trib., 3/2018, 1185 ss.; M.V. Serranò, Nullità dell'iscrizione ipotecaria in assenza di comunicazione preventiva, in Dir. prat. trib. 1/2018, 420 ss.; M. Procopio, Il contraddittorio preventivo endoprocedimentale e la nullità conseguente al mancato riscontro alle osservazioni dei contribuenti, in Dir. prat. trib., 6/2016, 2280 ss.) il contraddittorio endoprocedimentale deve costituire principio generale dell'ordinamento in quanto strumento di garanzia dell'interessato attraverso cui far valere le proprie ragioni ma anche in vista dell'interesse ad un corretto svolgimento dell'azione amministrativa. In tale prospettiva, questa dottrina critica la tesi per la quale tali esigenze siano soddisfatte dalla tutela giurisdizionale essendo evidente la non equivalenza tra il contraddire prima dell'avviso d'accertamento o solo nel giudizio di opposizione ad esso. La tutela differita comporta infatti oneri e disfunzioni sul piano individuale e di sistema che non vengono affatto controbilanciati dalla maggior speditezza di una procedura che rinunci al contraddittorio.
A questo orientamento si contrappone altra dottrina, che appare invero minoritaria, (F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, 2017, 170 ss.; F. Picardi, Gli atti tributari ed il contraddittorio endoprocedimentale: il raccordo tra il diritto interno e quello comunitario, Iltributario.it, 2016) che si allinea alla tesi della sentenza delle Sezioni Unite e prende atto della opposizione tra il diritto comunitario e quello nazionale. Osservazioni
La frattura sul tema dell'immanenza nell'ordinamento domestico di un principio di contradditorio endoprocedimentale è radicale e difficilmente componibile sul piano dell'interpretazione giurisprudenziale. Purtroppo un'attesa sentenza della Corte Costituzionale su una ordinanza di rimessione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana non si è avuta per un vizio di procedura nell'ordinanza stessa. Nell'attesa di un intervento del legislatore, e salvo ulteriori reviremment della Suprema Corte, il tema rimane aperto, con la stranezza, e forse l'incostituzionalità, di un regime asimmetrico tra tributi armonizzati e non. |