Operazioni inesistenti, costi fittizi indeducibili e ricavi non concorrenti alla formazione del reddito

15 Ottobre 2018

Ai sensi dell'art. 8 comma 2, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni nella Legge 26 aprile 2012, n. 44, è il contribuente a dover provare che i componenti positivi, che hanno concorso nell'accertamento alla formazione del reddito, sono anch'essi fittizi perché ed in quanto direttamente afferenti a componenti negativi che, siccome relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non sono ammessi in deduzione.
Massima

Ai sensi dell'art. 8 comma 2, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni nella Legge 26 aprile 2012, n. 44, è il contribuente a dover provare che i componenti positivi, che hanno concorso nell'accertamento alla formazione del reddito, sono anch'essi fittizi perché ed in quanto direttamente afferenti a componenti negativi che, siccome relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non sono ammessi in deduzione.

Il caso

Con due sentenze, dal deposito pressoché contestuale, il Giudice di Legittimità è tornato ad occuparsi della disciplina riservata, dall'art. 8 comma 2, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, agli elementi positivi di reddito direttamente afferenti ad elementi negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.

a) Cassazione Civile, Sez. trib., 7 marzo 2018 – 12 luglio 2018, n. 18390

I Supremi Giudici si sono pronunciati su di una fattispecie in cui il contribuente – impugnati due avvisi di accertamento a mezzo dei quali l'Amministrazione Finanziaria, sull'assunto dell'oggettiva inesistenza di talune operazioni commerciali, aveva contestato, ai fini IRES ed IRAP, l'illegittima deduzione di quote di ammortamento relative a beni strumentali – ha visto respinte le proprie doglianze, dapprima, dalla Commissione Tributaria Provinciale e, poi, dalla Commissione Tributaria Regionale.

La Corte di Cassazione, avanti alla quale la sentenza resa dal Giudice d'Appello era stata fatta oggetto di plurime censure, ha tuttavia riconosciuto l'erroneità dell'operato del predetto Giudice per non aver verificato se “il contribuente avesse assolto all'onere di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, fossero anch'essi fittizi, affinché detti componenti positivi andassero esclusi dalla base imponibile, fatta salva l'applicazione di una sanzione amministrativa”.

b) Cassazione Civile, sez. trib., 22 giugno 2018 – 17 luglio 2018, n. 19000

È invece intervenuta in una fattispecie in cui il Giudice d'Appello aveva dichiarato l'illegittimità dell'avviso di accertamento emesso dall'Amministrazione Finanziaria, evidenziando che “la rettifica, riferita alla fatturazione per operazioni inesistenti, era stata eseguita aumentando l'imponibile dichiarato dei costi di tali operazioni, senza però sottrarre dall'ammontare del reddito dichiarato i ricavi corrispondenti alle medesime operazioni”.

Il Giudice di Legittimità, accogliendo il ricorso proposto dal Pubblico Ufficio, ha cassato l'impugnata sentenza evidenziando che “la commissione tributaria regionale della Puglia non ha rispettato il dovere motivazionale sancito dal D.Lgs. n. 546/1992, art. 36, annullando l'avviso senza dar conto del fatto che il contribuente, come era suo onere ex art. 2697 c.c., avesse dimostrato la sussistenza di ricavi fittizi, riconducibili alle operazioni inesistenti contestategli dalla amministrazione, e da quest'ultima trascurati nel rideterminare l'imponibile”.

La questione

Come noto, l'art. 8 comma 2 D.L. 2 marzo 2012, n. 16, ha introdotto, in materia di utilizzo di fatture relative a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, una peculiare disciplina volta: alla esclusione da tassazione dei componenti positivi direttamente afferenti a componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati; all'assoggettamento a sanzione del comportamento antigiuridico consistente nella deduzione di costi o spese sostenuti in relazione a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.

Talché, la disposizione in commento ha previsto:

(a) che “ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi”;

(b) che nei predetti casi “si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell'ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all'art. 12 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell'art. 16, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472”.

Di indubbia natura procedimentale [in quanto funzionale “ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi”; in tal senso, si veda, in dottrina, A. Carinci, La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dubbi e numerose incongruenze, in Rassegna Tributaria, 2012, 6], la disposizione in esame – muovendo dal pacifico assunto per cui, nel caso di operazioni commerciali oggettivamente inesistenti, i costi alle medesime afferenti, in quanto non realmente sostenuti, sono indeducibiligià e solo in ragione delle regole ordinarie che presiedono alla determinazione del reddito” [A. Carinci, La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dubbi e numerose incongruenze, in Rassegna Tributaria, 2012, 6] ed a prescindere, quindi, “da qualsiasi connessione degli stessi con fattispecie delittuose” [Agenzia delle Entrate, circolare 3 agosto 2012, n. 32/E, pag. 21] – ha previsto la “detassazione” [“(…) non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica (…)”] dei ricavi correlati [“(…) direttamente afferenti (…)”] ai predetti costi e nei limiti dell'ammontare dei medesimi [sulla norma in rassegna, quale “più radicale manifestazione, nel nostro sistema, della forza propria del principio di determinazione del reddito imponibile al netto”, si veda, in dottrina, G. Fransoni, Indeducibilità dei costi da reato ed eterogenesi dei fini, in Rassegna Tributaria, 2012, 6].

Se la norma in commento possa davvero dirsi compiuta declinazione del principio di cui all'art. 53 Cost. è quesito dall'articolato e, per vero, non univoco responso: secondo un primo orientamento interpretativo, la disposizione de qua è stata introdotta “in attuazione del principio costituzionale della capacità contributiva” [Cass. Civ., sez. trib., 26 marzo 2014 – 18 luglio 2014, n. 16456; in dottrina, si veda, S. Capolupo, La nuova disciplina dei costi da reato, in il fisco, 2012, 15]; diversamente e, si è persuasi, più correttamente, altra ricostruzione ermeneutica ha rimarcato l'insanabile contrasto della norma in commento con i fondamentali principi di cui all'art. 3 e 53 Cost., evidenziando, tra l'altro, come la stessa si risolva in “un affrancamento dei costi esposti in dichiarazione, relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti, attraverso l'automatica detassazione di componenti positivi per importo corrispondente” [A. Giovannini, Imprese criminali e costi da reato: per il rispetto della Costituzione, in Diritto e pratica tributaria, 2014, 3].

A ben vedere, tuttavia, quello illustrato non è l'unico dubbio esegetico sollevato dalla noma in questione [si veda, con riguardo alla sanzione introdotta dalla disposizione de qua, A. Giovannini, Proventi e costi di reato in generale nel diritto tributario, in A. Giovannini (diretto da), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, I, Diritto penale e processuale (a cura di A. Giovannini, E. Marzaduri, A. di Martino)].

Ai fini che qui interessano, infatti, non può non essere evidenziato come la stessa, da un lato, nulla specifica in merito a cosa debba intendersi laddove circoscrive l'anzidetta “detassazione” ai soli componenti positivi “direttamente afferenti” a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati e, dall'altro lato, tace con riguardo al soggetto – se il contribuente o il Pubblico Ufficio – tenuto a dar prova di detta “diretta afferenza”.

Le soluzioni giuridiche

Fin dai sui primi interventi, la Giurisprudenza di Legittimità ha chiarito, richiamando le regole dettate dall'art. 2697 c.c., che grava sul contribuente l'onere di provare quali sono i componenti positivi che, in ragione di quanto stabilito dall'art. comma 2 D.L. n. 16/2012, “ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito”.

Così, nel dettaglio, Cassazione Civile, sez. trib., 14 marzo 2013 – 20 novembre 2013, n. 25967, ha affermato che “grava (…) sul contribuente l'onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano nell'accertamento concorso alla formazione del reddito, siano fittizi anch'essi perché ricavi (…) “direttamente afferenti” a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati”.

E detta affermazione, costantemente ribadita [si vedano, al riguardo, Cassazione Civile, Sez. V, 08 luglio 2014 – 09 dicembre 2014, n. 27040; Cassazione Civile, sez. trib., 15 luglio 2014 – 8 ottobre 2014, n. 21189], è stata ripresa anche da Cassazione Civile, sez. trib., 22 giugno 2018 – 17 luglio 2018, n. 19000 e da Cassazione Civile, sez. trib., 7 marzo 2018 – 12 luglio 2018, n. 18390: quest'ultima, in particolare, annullando l'impugnata sentenza, ha censurato l'operato del Giudice d'Appello per non aver “verificato se il contribuente avesse assolto all'onere di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, fossero anch'essi fittizi, affinché detti componenti positivi andassero esclusi dalla base imponibile, fatta salva l'applicazione di una sanzione amministrativa”.

Quanto, poi, al rapporto di diretta afferenza che, a tenore della disposizione in esame, deve intercorrere tra componenti positivi e componenti negativi “relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati”, la giurisprudenza di legittimità ha sovente fatto riferimento al concetto di correlazione [si vedano, al riguardo, Cass. Civ., sez. trib., 15 luglio 2014 – 08 ottobre 2014, n. 21189, secondo cui i componenti positivi indicati dall'art. 8, comma 2, D.L. n. 16/2012 sono fittizi “perché ricavi correlati, vale a dire “direttamente afferenti a (…) componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati”; Cassazione Civile, sez. V, 22 maggio 2013 – 12 dicembre 2013, n. 27821 la quale, in motivazione, ha fatto riferimento a “ricavi correlati agli acquisti accertati come inesistenti”], così evidenziandone la necessaria relazione di corrispondenza e, quindi, la derivazione del componente positivo da quello negativo [si veda, al riguardo, la già citata Cass. civ., sez. trib., 22 giugno 2018 – 17 luglio 2018, n. 19000, la quale in motivazione ha affermato che “la Commissione Tributaria Regionale della Puglia non ha rispettato il dovere motivazionale sancito dal D.Lgs. n. 546/1992, art. 36, annullando l'avviso senza dar conto del fatto che il contribuente, come era suo onere ex art. 2697 c.c., avesse dimostrato la sussistenza di ricavi fittizi, riconducibili alle operazioni inesistenti contestategli dalla amministrazione, e da quest'ultima trascurati nel rideterminare l'imponibile”].

Osservazioni

Come detto, la citata Giurisprudenza – univoca nella ripartizione dell'onere probatorio – ha, con altrettanta chiarezza, precisato che i componenti positivi menzionati dall'art. 8 comma 2, D.L. n. 16/2012 sono fittizi in quanto correlati a componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.

Talché, ribadito che è onere del contribuente quello “di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch'essi fittizi” [Cassazione Civile, Sez. trib., 9 febbraio 2016 – 20 aprile 2016, n. 7896], appare evidente come, nella prospettiva della disposizione in commento, non v'è fittizietà dei componenti positivi se non v'è correlazione fra i medesimi ed i componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.

Thema probadum è, quindi, la riconducibilità dei componenti positivi, che si vogliono non concorrenti alla formazione del reddito oggetto di rettifica, ai componenti negativi accertati come relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, cioè a dire la derivazione (eziologica) dei primi dai secondi, ovverosia, volendo avere riguardo all'operazione falsamente rappresentata, il “collegamento tra l'operazione oggettivate inesistente di acquisto (fattura passiva) e l'operazione oggettivamente inesistenza di rivendita (fattura attiva)” [Cassazione Civile, sez. trib., 28 aprile 2015 – 24 settembre 2015, n. 2019].

In altri termini, se è vero che all'affermazione della fittizietà di tutti o di alcuni dei costi esposti in dichiarazione non consegue, per automatismo, un generalizzato ed indiscriminato obbligo di esclusione proporzionale dei ricavi dichiarati, giacché, evidentemente, non sussiste una relazione necessaria ed esclusiva tra componenti negati e componenti positivi risultanti dalla dichiarazione, è parimenti vero che diversamente è a dirsi allorquando di detta relazione è data prova, poiché in tal caso deve escludersi che il ricavo dichiarato possa riferirsi ad un costo diverso e/o non dichiarato.

Pertanto, poiché gli elementi positivi in rassegna sono fittizi se ed in quanto correlati a componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, ciò che, nella prospettiva dell'art. 8 comma 2, D.L. n. 16/2012, deve essere provato, esclusivamente, che i predetti elementi positivi non possono essere stati realizzati se non mediante i suddetti componenti negativi, ovverosia che l'operazione attiva ha avuto ad oggetto il medesimo bene – o parte di esso, o il prodotto del medesimo – dell'operazione passiva.

Null'altro, nella prospettiva della disposizione in commento, deve essere dimostrato perché, nei limiti dell'ammontare dei componenti negativi che, in quanto relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non sono ammessi in deduzione, i correlati componenti positivi si debbano ritenere non concorrenti alla formazione del reddito oggetto di rettifica.

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