Il raddoppio del contributo unificato in caso di soccombenza nell'impugnazione non si applica al processo tributario
17 Ottobre 2018
Massima
In tema di contributo unificato, non è applicabile al processo tributario l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, trattandosi di una norma avente carattere eccezionale e lato sensu sanzionatoria, la cui operatività deve intendersi circoscritta al processo civile; la parte che ha promosso l'impugnazione in un processo tributario, pertanto, non può essere sanzionata in caso di soccombenza. Il caso
L'ordinanza in commento è scaturita da un ricorso presentato dal contribuente in tema di TARSU a seguito di condanna subita sia in primo sia in secondo grado. La Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso del contribuente, dichiara contestualmente la non applicabilità al processo tributario (ma solo a quello civile) dell'art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” in base al quale “quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale a norma del comma 1-bis”.
Di conseguenza il contribuente, benché sia risultato soccombente in entrambi i gradi di giudizio del processo tributario, non è tenuto in relazione agli stessi, a versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione. La Corte, tuttavia, stabilisce che in caso di soccombenza nel giudizio di legittimità, come nel caso di specie, il proponente dovrà corrispondere il predetto importo aggiuntivo, stante la natura di ordinario processo civile rivestita dal giudizio di Cassazione, come tale disciplinato dalle norme del codice di rito, avente ad oggetto l'impugnazione di pronuncia resa da una Commissione tributaria regionale. La questione
La questione prende origine dalla doppia soccombenza di un contribuente a seguito dell'impugnazione di un avviso di accertamento per TARSU relativa all'anno 2012 nei confronti del Comune di Ortona.
A fronte della decisione della CTR L'Aquila, sezione distaccata di Pescara, che aveva ritenuto tout court applicabile al processo tributario d'appello la disposizione di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, i giudici di legittimità statuiscono, invece, che trattasi di una norma avente carattere di misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria, la cui operatività deve intendersi circoscritta al processo civile. Nello stabilire tale principio, la Corte di cassazione richiama l'esegesi della disposizione in argomento, indirettamente avallata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 18, depositata il 2 febbraio 2018, condividendone la statuizione e negando l'estendibilità della norma in questione anche al processo tributario.
Nel ricorso per Cassazione il ricorrente ha dichiarato di impugnare, fra l'altro, pur non formulando un espresso ed argomentato motivo di ricorso, la decisione del giudice d'appello che lo aveva condannato al pagamento di una somma pari a quella del contributo unificato, proprio in applicazione del comma 1-quater dell'art. 13 del d.P.R. n. 115/2002. I giudici di legittimità, pur rilevando che la doglianza relativa alla condanna alla duplicazione del contributo unificato non fosse stata consacrata in uno specifico motivo di ricorso, hanno ritenuto che simile questione andasse comunque valutata, essendo la Corte tenuta a rilevare anche d'ufficio l'erroneità della statuizione in argomento, attesa la natura di carattere amministrativo della medesima che non attiene alla sfera della decisione sullo ius litigatoris bensì al rapporto dell'erario nei confronti del contribuente in relazione alle “condizioni per l'accesso alla giustizia”
La Corte ha colto l'occasione per statuire, altresì, che il giudizio di Cassazione ha la natura di processo civile ordinario, disciplinato dalle norme del codice di rito, anche quando ha ad oggetto l'impugnazione di una pronuncia resa da una Commissione tributaria regionale, come ribadito dalla Cass. civ., SS.UU. 7 aprile 2014, n. 8053, ragion per cui, in caso di soccombenza del ricorrente nel processo di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione, si applica la norma in questione con relativo doppio pagamento sanzionatorio in capo al medesimo ricorrente.
Le soluzioni giuridiche
La Corte Costituzionale aveva già avuto modo di pronunciarsi sulla norma incriminata a seguito di una ordinanza di remissione con cui la CTR Catanzaro aveva sollevato questione di legittimità costituzionale per l'appunto dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione.
Nel caso rimesso alla Consulta, l'Agenzia delle Entrate aveva proposto appello avverso la sentenza della CTP Cosenza che era stata, altresì, impugnata in via incidentale anche dal contribuente. Il rimettente sosteneva che ai sensi della norma censurata ci sarebbe stata la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico di entrambe le parti. Sennonché simile istituto avrebbe riguardato, di fatto, solo l'appellante incidentale e non anche quello principale, amministrazione dello Stato esonerata, in quanto tale, dal pagamento del contributo unificato mediante il meccanismo della prenotazione a debito e, quindi, non assoggettata all'obbligo del versamento di un ulteriore importo a detto titolo, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, con conseguente violazione del principio della parità delle parti di cui all'art. 111, secondo comma, del dettato fondamentale. La Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, in riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., chiarisce che è errata la premessa interpretativa, enunciata in modo assertivo dalla rimettente, secondo cui la norma censurata debba trovare applicazione nel processo tributario d'appello. Secondo la Consulta tale premessa non trovava riscontro nel “diritto vivente” considerato che non si rinveniva un orientamento univoco nella giurisprudenza delle Commissioni tributarie regionali e che la Corte di Cassazione non risultava essersi ancora pronunciata al riguardo. La Corte Costituzionale, in tale occasione, rilevata l'assenza di una pronuncia della Cassazione sulla questione, proponeva l'opzione ermeneutica della norma incriminata basata sulla inapplicabilità estensiva o analogica al processo tributario del raddoppio del contributo unificato, trattandosi di misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria, anche sulla base del testo medesimo della disposizione che circoscrive la sua operatività al processo civile, attraverso specifico rinvio: l'ulteriore somma da corrispondere a titolo di contributo unificato viene, infatti, commisurata agli importi dovuti ai sensi del comma 1-bis del medesimo art. 13, disposizione che, a sua volta, rinvia al contenuto del precedente comma 1, che fa riferimento esclusivamente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato nel processo civile; quello tributario, invece, è disciplinato dal successivo comma 6-quater. A supporto di tale orientamento, i giudici costituzionali hanno richiamano la propria precedente sentenza n. 78/2016 con cui era già stato precisato che i primi sei commi dell'art. 13, incluso il comma 1-quater, riguardano il processo civile.
I giudici di legittimità, con l'ordinanza in commento, adottano pienamente la soluzione giuridica prospettata dalla Corte Costituzionale, riportando testualmente le definizioni usate dalla stessa secondo cui trattasi di “misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria”, statuendo espressamente che l'operatività della norma in questione “deve intendersi circoscritta al processo civile” e richiamando al riguardo l'esegesi della norma indirettamente avvallata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 18/2018. Osservazioni
Con l'ordinanza in commento la Cassazione raccoglie l'invito indirettamente formulato dalla Consulta, con la sentenza n. 18/2018, a pronunciarsi sulla applicabilità o meno dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R.n. 115/2002 al processo tributario d'appello, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 24 dicembre 2012, negandone l'estensione. Ne deriva che non è applicabile il doppio pagamento, a titolo di sanzione, del contributo unificato tributario al contribuente che perde nel grado di appello nel processo tributario. Tale sanzione, invece, è prevista solo per il processo civile, ragion per cui o il contribuente o gli enti impositori sono tenuti a pagare il doppio del contributo unificato in caso di soccombenza nel giudizio per Cassazione. La giurisdizione dei giudici di legittimità, infatti, è inquadrabile nell'ambito del processo civile (e non tributario) disciplinato dal codice di rito.
Si rende opportuno ricordare che il contributo unificato costituisce un prelievo coattivo volto a finanziare le spese di giustizia, commisurato in base al valore del processo; vengono assoggettate all'obbligo di versamento del CUT, ex art. 13, comma 6-quater del d.P.R. n. 115/2002, tutte le controversie aventi per oggetto tributi e relativi accessori mentre sono escluse dalla giurisdizione tributaria solo le controversie attinenti agli atti dell'esecuzione forzata tributaria, in base all'art. 2, comma 1 del D.Lgs.n. 546/1992, nonché il giudizio per Cassazione, che viene disciplinato dalle norme dettate dal codice di procedura civile, ex art. 62, comma 2 del D.Lgs. n. 546/1992.
Il raddoppio del contributo unificato, invece, è stato previsto dalla legge a tutela dell'economia processuale nel caso in cui si sia reso necessario l'impiego di ulteriori risorse processuali a seguito dell'esercizio del diritto di appello ed in caso di esito sfavorevole dello stesso, in presenza di conferma o non alterazione del provvedimento impugnato (Cass. civ., n. 6280 del 27 marzo 2015).
È possibile osservare, dunque, che il contributo unificato costituisce una sorta di controprestazione a fronte del costo del servizio di giustizia mentre la “maggiorazione” in argomento rappresenta una sorta di presidio sanzionatorio predisposto dal Legislatore contro possibili “abusi” del servizio stesso. Tale “ulteriore importo”, pertanto, parrebbe assumere una natura non risarcitoria ma afflittiva e latamente sanzionatoria. Come ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 10306 del 13 maggio 2014, il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di versamento della maggiorazione a titolo di contributo unificato è collegato alla circostanza oggettiva del rigetto integrale o della definizione in rito del gravame sfavorevole alla parte che ha proposto l'impugnazione e non, invece, alla condanna alle spese (di recente Cass. civ., n. 29681 del 12 dicembre 2017). L'obbligo del pagamento dell'ulteriore importo nasce, pertanto, ipso iure, nel momento stesso in cui viene depositato il provvedimento con cui è stata definita l'impugnazione, ragion per cui rappresenta un'automatica conseguenza sfavorevole dell'impugnazione che, in caso di esito sfavorevole al proponente, ha determinato un inutile funzionamento dell'apparato giudiziario con un vano dispendio delle sue già limitate risorse disponibili. |