Il “plafond” IVA costituisce un semplice limite quantitativo monetario
06 Novembre 2018
Massima
In tema di IVA, il “plafond” di cui all' art. 8, comma 1, lett. C.), del d.P.R. n. 633/1972 , costituisce solo un limite quantitativo monetario – pari all'ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni – utilizzabile nell'anno successivo per effettuare acquisti in regime di sospensione d'imposta, che non incide sulla sussistenza del credito impositivo ma soltanto sull'esecutività dello stesso, tenuto conto del maggior credito nei confronti dell'Erario strutturalmente collegato all'attività di esportatore abituale: ne deriva che, in mancanza di detto “status”, detto limite viene meno. Il caso
Una società, successivamente fallita, effettuava acquisti e importazioni senza versare l'IVA in quanto riteneva di beneficiare del cd. plafond sulla base di semplici lettere d'intento e in assenza dello status di esportatore abituale. Successivamente, con avviso di accertamento, l'Agenzia delle entrate recuperava a tassazione l'IVA non addebitata dai fornitori.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso proposto dalla società contribuente. Diversamente, la Commissione tributaria regionale, accogliendo l'appello proposto, riteneva che l'indebito utilizzo del plafond IVA non avesse arrecato danni all'erario, in quanto la contribuente aveva il diritto di detrarre l'IVA sugli acquisti e pertanto escludeva la sanzionabilità della condotta.
L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di appello.
La Suprema Corte, sezione Tributaria, investita della controversia, ha affermato che il plafond IVA, di cui all' art. 8, comma 1 , lett. c., del d.P.R. 633/1972 , “… rappresenta un semplice limite quantitativo monetario – pari all'ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni – utilizzabile nell'anno successivo per procedere ad acquisti in sospensione d'imposta …”.
Più precisamente, secondo i giudici di legittimità, l'utilizzo del meccanismo del plafond IVA non osta al diritto alla detrazione dell'IVA, ma “… blocca soltanto l'esecutività del debito IVA, in ragione del maggior credito ontologicamente correlato all'attività di esportatore abituale. Anzi, gli esportatori abituali giustappunto a causa delle poste attive maturate sugli acquisti fruiscono del regime di sospensione …”.
Pertanto, l'esistenza del cd. plafond incide solo sull'operatività del regime, ossia sull'esecutività dello stesso senza inficiare la sussistenza del debito IVA. La questione
L 'aspetto giuridiricamente rilevante, nella pronuncia della Cassazione, riguarda l'utilizzo del plafond da parte degli esportatori abituali che potranno così acquistare beni e servizi senza dover applicare l'IVA, rispettando i limiti delle esportazioni o operazioni assimilate registrate nell'anno solare precedente (“plafond fisso”) oppure nei dodici mesi antecedenti (“plafond mobile”), per un ammontare superiore al 10% del complessivo volume di affari. Plafond che non inficerà sull'esistenza del credito ma solo sulla esecutività dello stesso.
Più nel dettaglio, la questione trae origine dall'impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società, poi fallita, col quale l'Agenzia delle Entrate ha recuperato l'IVA non addebitata dai fornitori.
Dopo che i giudici di prime cure avevano rigettato il ricorso, la Commissione tributaria regionale, di contrario avviso, ha accolto l'appello sostenendo che l'indebito utilizzo del plafond IVA non abbia arrecato alcun danno all'erario in quanto la società aveva comunque diritto a detrarre l'IVA sugli acquisti, escludendo così la sanzionabilità della condotta.
L'Agenzia ha così proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo, rilevando che la società non possedeva i requisiti necessari per fruire del plafond IVA e pertanto, in qualità di cessionaria, risultava obbligata a pagare il tributo e le relative sanzioni.
Operazioni non imponibili
Con il primo ordine di argomentazioni, i giudici di legittimità distinguono le fattispecie di operazioni non imponibili tra quelle relative alla sussistenza del debito IVA, ossia all'insussistenza delle stesse, elencate nell' art. 8, comma 1, lett. a) e b), d.P.R. n. 633 /1972 e le ipotesi contemplate dall' art. 8, comma 1, lett. c) e comma 2, d.P.R. n. 633/1972 , riguardanti invece l'esecutività del debito IVA e non la sua sussistenza.
Nel primo caso, i Giudici della Suprema Corte, richiamando precedenti pronunce ( Cass. civ., nn. 5854/2016 , 5853/2016 , 22430/2014 e 5894/2013 ), osservano che “le cessioni all'esportazione sono soggette agli obblighi formali di fatturazione e dichiarazione, in ragione del principio di territorialità. Infatti tali operazioni sarebbero imponibili se non fosse la legge a considerarle non imponibili in base al principio della detassazione dei beni in uscita dal territorio unionale e dell'applicazione dell'IVA italiana a quelli in entrata …”.
Successivamente, la S.C. si concentra sulla fattispecie di cui all' art. 8, comma 1, lett. c) e comma 2, d.P.R. n. 633/1972 , considerando che “sono operazioni non imponibili – sebbene si tratti di merci o prestazioni di servizi destinate ad entrare o ad essere eseguite nel territorio comunitario – le cessioni di beni (…) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano compiuto abitualmente cessioni all'esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l'imposta sull'operazione di acquisto e/o di importazione.”.
Plafond IVA
Con riguardo alla possibilità di utilizzare il Plafond IVA da parte del contribuente che ponga in essere determinate operazioni, i Giudici di legittimità, richiamando precedenti pronunce ( Cass. civ., nn. 5168/2016 e 3788/2013 ), hanno sancito che: “Il legislatore consente ai contribuenti che rivestono la qualifica d'esportatore abituale di acquistare beni e servizi senza applicazione dell'iva nei limiti delle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell'anno solare precedente – c.d. “plafond fisso” – o nei dodici mesi precedenti – c.d. “plafond mobile”, per un ammontare superiore al 10% del complessivo volume di affari (…)”.
Quindi coloro che svolgono esclusivamente o prevalentemente, in quanto esportatori abituali, tali operazioni, si troverebbero in costante credito con l'erario. Ma a causa delle ridotte, se non limitate, operazioni imponibili effettuate (a debito), non riuscirebbero a compensare quelle sugli acquisti (a credito). Cosicché, per evitare che determinati soggetti si trovino ad attendere, quasi in modo permanente, i rimborsi dell'eccedenza di imposta, il legislatore ha previsto che costoro possano effettuare acquisti senza applicare l'IVA, includendo così tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti.
In definitiva, i giudici di legittimità, riferendosi ad una loro precedente statuizione ( Cass. civ., n. 4556/2015 ), hanno concluso che “il plafond disciplinato dall'art. 8, comma 10, lett. c., rappresenta un semplice limite quantitativo monetario – pari all'ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni – utilizzabile nell'anno successivo per procedere ad acquisti in sospensione d'imposta.”.
Aggiungendo poi: “La ratio di tali previsioni è di agevole comprensione, ove si consideri che le cessioni all'esportazione – come le operazioni intracomunitarie – non limitano la detrazione dell'imposta sugli acquisti” ( Cass. Civ., n. 12763/2015 ).
La soluzione giuridica
La Suprema Corte di Cassazione ha risolto il caso in esame statuendo che non poteva negarsi l'esistenza del diritto alla detrazione ma solo “l'operatività del limite di esecutività del debito IVA, correlato alla qualità di esportatore abituale”.
Prosegue poi la Corte osservando che se mancasse la qualità di esportatore abituale verrebbe meno anche il limite di esecutività, al fine di non arrecare danno all'erario. Sarà pertanto indifferente lo stato soggettivo del cessionario o del committente, in quanto l'operatività del regime è subordinata all'esistenza del plafond IVA che prescinde dalla buona fede del cessionario o committente.
Successivamente i giudici di legittimità si sono soffermati sul “diverso momento di decorrenza del termine di decadenza biennale”, previsto dall' art. 60, d.P.R. n. 633/1972 , statuendo che “si riferisce al tardivo esercizio del diritto di rivalsa in conseguenza dell'accertamento o della rettifica nei confronti di cessionari di beni o dei committenti di servizi”.
La S.C. ha poi proseguito osservando che “tale ipotesi risultava estranea al caso in cui la contribuente avrebbe potuto esercitare il diritto sin dal momento del compimento dell'operazione e, a maggior ragione, a quello in cui sin dal momento del compimento delle operazioni sono state conteggiate, ai fini della compensazione, in base al meccanismo descritto, pe poste attive costituite dall'iva a credito sugli acquisti.”.
La pronuncia in esame si allinea con la recente giurisprudenza ( Cass. civ., nn. 4556/2015 , 7720/2013 e 3788/2013 ) che ha individuato il plafond IVA quale “semplice limite quantitativo monetario”.
In passato, nella pronuncia n. 3788/2013, i giudici di legittimità si sono spinti oltre, osservando che il contribuente può acquisire lo “status” di esportatore abituale a condizione che soddisfi i requisiti previsti per la costituzione del plafond IVA. Al soggetto sarà lasciata piena discrezionalità circa la scelta del regime del plafond “cd. Fisso” o di quello “cd. Mobile”.
Con altra sentenza ( Cass. 7720/2013 ), la Suprema Corte ha sancito che il pagamento dell'IVA all'importazione che derivi da un indebito utilizzo del plafond IVA, genera una responsabilità solidale tra l'importatore – autore di una dichiarazione d'intento mendace, con la conseguente affermazione di un inesistente “” – ed il suo rappresentante indiretto che presenti la dichiarazione in dogana.
Infine con la statuizione n. 12774/2011, i giudici di legittimità hanno chiarito che per avvalersi della speciale ipotesi di sospensione dal pagamento dell'imposta – prevista per le cessioni all'esportazione di cui all' art. 8, lett. c), D.P.R. n. 633/1972 – è necessario che il soggetto possegga i requisiti di cui all' art. 8, lett. a) e b), D.P.R. n. 633/1972 . Non sarà pertanto sufficiente l'assunzione di responsabilità da parte del contribuente attraverso la cd. “dichiarazione d'intenti”. Osservazioni
Con la sentenza in commento la S.C. ha condiviso un precedente orientamento ( Cass. civ., n. 4556/2015 ) con il quale già statuiva che il plafond IVA costituisse un semplice limite quantitativo monetario (pari all'ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni) utilizzabile nell'anno successivo per acquisti in sospensione d'imposta.
Anzitutto i giudici di legittimità hanno definito lo strumento del plafond IVA, ossia l'ammontare delle esportazioni o delle operazioni assimilate che sono effettuate nell'anno solare precedente o nei dodici mesi precedenti, dovrà essere superiore al 10% del volume di affari generato nello stesso periodo, il quale è concesso a tutti coloro che svolgono attività di esportazione in modo abituale. Pertanto, il plafond è uno strumento che permette allo Stato di evitare un esborso fisico di denaro a vantaggio di tali categorie di contribuenti, che risultano così a credito di IVA.
Successivamente la S.C. ha delineato la differenza tra il cd. “plafond fisso” relativo alle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell'anno solare precedente ed il cd. “plafond mobile”, circoscritto alle operazioni realizzate nei dodici mesi antecedenti.
Tale istituto, sia fisso che mobile, svolge un ruolo nodale per tutte le categorie di soggetti che, come delineato sopra, rivestono la qualifica di esportatori abituali. Infatti, costoro si troverebbero costantemente in credito verso l'Erario, in quanto le poche e ridotte operazioni compiute (a debito) non potrebbero compensare quelle sugli acquisti (a credito). Ecco che grazie all'istituzione di questo strumento, tali contribuenti, per evitare di dover attendere tempi assai lunghi prima di ricevere i rimborsi dell'eccedenza dell'imposta, possono così effettuare acquisti senza l'applicazione dell'IVA, includendo altresì tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti.
Si evince chiaramente la ratio dell'istituto che da un lato salvaguarda il contribuente – che evita così di attendere rimborsi d'imposta che potrebbero protrarsi nel tempo e risultare pregiudizievoli nei suoi confronti – e dall'altro tutela l'Erario – che non si vedrà continuamente esposto a continue richieste di rimborso da parte dei soggetti legittimati, creando eventuali “ingorghi” di flussi di denaro in uscita dalle casse erariali. |