Criteri di deducibilità dei costi di regia infragruppo
09 Novembre 2018
Massima
È errata l'affermazione per cui i costi per consulenza, studio e assistenza, calcolati in misura forfettaria e addebitati dalla controllante alla controllata, sono legittimi per il solo fatto che sono stati pattuiti nel contratto stipulato tra le due società del medesimo gruppo, attribuendosi, altrimenti, all'autonomia negoziale delle parti la capacità di derogare a norme imperative, e violando, in particolare, il disposto dell'art. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, secondo cui tutti i componenti negativi devono possedere il requisito della inerenza, ossia devono avere un nesso di effettiva funzionalità rispetto alla produzione dei ricavi. Il caso
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 23698/2018, ha chiarito quali sono i criteri di deducibilità dei cosiddetti costi di regia infragruppo.
Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate notificava a ad una società due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2003 e 2004, con i quali recuperava a tassazione l'indebita deduzione di costi per "consulenze Capogruppo", sostenuti dalla società controllante totalitaria e riaddebitati alla controllata, quantificati nella misura forfettaria del 1,75 del volume delle vendite della stessa controllata. Contro gli avvisi di accertamento la società contribuente proponeva distinti ricorsi alla Commissione Tributaria Provinciale di Isernia, che, previa riunione, li accoglieva. L'Agenzia delle Entrate proponeva quindi appello, rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale con sentenza infine impugnata dall'Amministrazione finanziaria davanti alla Corte di Cassazione. Con un primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate deduceva violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR, 19 d.P.R. n. 633/1972 e 2697 cod.civ., nella parte in cui la CTR aveva ritenuto la deducibilità fiscale dei costi per il solo fatto che essi erano previsti nel contratto stipulato tra società controllata e società controllante, effettuando così un inammissibile ribaltamento sull'Ufficio dell'onere della prova sulla esistenza, congruità ed inerenza dei costi, posto invece dalla legge a carico della società. Il motivo, secondo la Suprema corte, era fondato. I giudici di legittimità, infatti evidenziano che la CTR aveva, tra le altre, rigettato l'appello dell'Ufficio, ritenendo che la determinazione dei costi per consulenze nella percentuale del 1,75% dovesse considerarsi lecita, in quanto corrispettivo liberamente pattuito tra le parti "non sussistendo alcuna preclusione statuita ex lege attinente la stessa (percentuale)".
Secondo la Corte, però, l'affermazione per cui i costi per "consulenza, studio e assistenza" (calcolati nella misura forfettaria del 1,75% del volume delle vendite e addebitati dalla controllante alla controllata) erano legittimi per il solo fatto che erano stati pattuiti nel contratto stipulato tra le due società del medesimo gruppo, attribuiva, erroneamente, all'autonomia negoziale delle parti la capacità di derogare alle norme imperative previste in ambito fiscale, violando in particolare il disposto dell'art. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, secondo cui tutti i componenti (positivi o negativi) del reddito di impresa devono essere certi e di ammontare determinabile obiettivamente (primo comma) e i componenti negativi (costi) devono possedere l'ulteriore requisito della inerenza (quinto comma), ossia devono avere un nesso di effettiva funzionalità rispetto alla produzione dei ricavi.
La questione
Nel caso di specie, opponendo l'errata argomentazione della incondizionata deducibilità fiscale dei costi contrattualmente stabiliti, la CTR aveva dunque omesso di esaminare le circostanze dedotte nell'atto impositivo e riprese nell'atto di appello dell'Ufficio, in ordine al difetto di effettiva esistenza ed inerenza dei costi per i servizi di "consulenza, analisi e studio", asseritamente svolti dalla controllante in favore della controllata, in assenza di ogni documentazione (diversa dalla mera fatturazione degli importi) attestante la reale prestazione di servizi da parte della controllante a favore della controllata, e l'inerenza funzionale di detti servizi, sotto il profilo della necessità o utilità di essi ai fini dell'attività di impresa svolta dalla società contribuente. Le soluzioni giuridiche
Spesso società facenti parte di un medesimo Gruppo regolano la suddivisione delle spese per mezzo di scritture private, in base alle quali, una delle società del Gruppo (o la stessa capogruppo) si impegna ad eseguire nei confronti delle altre una serie di servizi. Nel caso in cui però l'Amministrazione Finanziaria chieda conto dei criteri e delle modalità di suddivisione di tali spese il contribuente oggetto di controllo dovrà necessariamente produrre la relativa documentazione giustificativa, pena la indeducibilità del costo per difetto della documentazione che ne provi la certezza ed effettività. Del resto è chiaro che l'onere della prova sia in tali casi a carico del contribuente. La fattispecie in esame rientra nei cosiddetti rapporti di service infragruppo, laddove la dottrina ha individuato le seguenti due forme di accordi:
I costi sostenuti da una società per la fruizione di un servizio infragruppo, però, per essere deducibili dal reddito d'impresa (di quella società), debbono essere dotati dei requisiti generalmente richiesti dalla normativa tributaria per qualsiasi componente negativo di reddito. E tra questi requisiti riveste particolare importanza quello dell'inerenza.
Tale requisito implica infatti la necessità che sussista (e che sia dimostrato e documentato) non solo un rapporto fra i servizi forniti e quelli effettivamente necessari alla gestione e allo sviluppo della singola società del gruppo, ma anche un collegamento degli stessi servizi alla specifica attività economica esercitata dalla società e ai redditi dalla stessa prodotti. Al fine di determinare la rilevanza fiscale di un rapporto di service in termini di inerenza è quindi innanzitutto necessario provare che il servizio offerto (nell'ambito del gruppo) genera un'utilità (cioè un vantaggio specifico) per la società fruitrice e non (solo o comunque non prevalentemente) per il gruppo in generale. La Circolare n. 32 del 1980 poneva del resto già in luce la necessità che le società fruitrici di servizi del genere conseguissero un vantaggio reale ed effettivo (e comunque effettivamente misurabile), che risultasse ben distinto dall'attività (generale) di controllo e di coordinamento, tipico della funzione di azionista della capogruppo (o di una sua delegata). In merito poi alla certezza dell'onere sostenuto spetta naturalmente alla società fruitrice, in base alle ordinarie regole di ripartizione dell'onere della prova, fornire la dimostrazione della sussistenza (anche) di tale requisito.
Se è vero del resto che la certezza non può certo prescindere dalla sussistenza di contratti aventi data certa anteriore all'imputazione in contabilità dei relativi costi (elemento questo pertanto indispensabile ai fini della deducibilità del costo), è però anche vero che tale (solo) elemento non è certo sufficiente. Sarà infatti anche necessario produrre tutta la documentazione che attesti l'effettività delle prestazioni.
Ultimo elemento di criticità in fattispecie come quella in esame riguarda infine la prova della congruità del costo. Ferma restando infatti la necessaria presenza dei requisiti generali di inerenza, competenza, certezza ed oggettiva determinabilità sopra citati, ancora la citata Circolare n. 32 del 1980 sottolinea che i costi per i servizi infragruppo debbono comunque essere suddivisi fra le varie consociate in relazione (specifica) ai benefici che ciascuna di esse può ottenere (ed effettivamente ottiene) dalla loro utilizzazione.
Osservazioni
In conclusione i riscontri finalizzati alla verifica della regolarità fiscale della determinazione del costo ed alla sussistenza dei requisiti di deducibilità dei cosiddetti costi di regia passano necessariamente attraverso i seguenti passaggi:
1) analisi della correttezza del criterio di determinazione del compenso-costo; 2) analisi del vantaggio; 3) verifica della congruità del prezzo (in termini anche di determinazione del valore normale ai fini del transfer pricing).
Il gruppo societario non potrà, pertanto, ripartire proporzionalmente, per esempio sulla base del fatturato mensile di ciascuna società controllata, detti costi di regia, a prescindere dalla effettiva natura e la rilevanza dei servizi. Il punto focale, in conclusione, è quello dell'inerenza, laddove, anche alla luce dei recenti precedenti della Corte (cfr., Cass. sentenza n. 18904 del 17 luglio 2018), i contenuti del principio di inerenza (e il rapporto con il giudizio di congruità ed antieconomicità), costituiscono un requisito fondamentale per la determinazione del reddito d'impresa e riguardano, in termini generali, l'esistenza di una relazione tra i costi e l'attività d'impresa. I costi sono dunque inerenti, in quanto siano collegati all'attività d'impresa produttiva del reddito, soggetto a tassazione. Tale nozione non trova, del resto, una esplicita definizione positiva, ancorché, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, possa essere fatta discendere dal vigente art. 109, comma 5, TUIR.
Il quale, però, disciplina un profilo ulteriore e successivo - le regole di deducibilità dei costi - rispetto all'inerenza, che è presupposta (i costi per essere deducibili debbono anche, e necessariamente, essere inerenti), ma non definita dalla norma. E, anche in tema di Iva, è possibile individuare indicazioni di analoga portata, laddove l 'art. 19, primo comma, d.P.R. n. 633/1972 prevede che il soggetto passivo ha diritto di detrarre «l'imposta assolta o dovuta […] o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione»:La nozione di inerenza, in sostanza, non è definita, ma “postulata” in relazione ai costi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa.
Tale nozione trae infatti il suo fondamento dallo stesso concetto economico-aziendalistico di reddito, che è quello al netto dei costi collegati all'esercizio dell'impresa. Da ultimo, la Corte, con la recente Ordinanza n. 450 del 11/01/2018, ha del resto riallineato la nozione fiscale di inerenza al fenomeno economico peculiare all'esercizio dell'attività d'impresa, affermando che «il principio dell'inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale», esclusa ogni valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità «perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo».
Indirizzo poi riconfermato con l'Ordinanza n. 3170 del 09/02/2018, che, più specificamente, ha precisato che esula ai fini del giudizio qualitativo di inerenza un "apprezzamento del costo in termini di congruità o antieconomicità", parametri che non sono espressione dell'inerenza ma "costituiscono meri indici sintomatici dell'inesistenza di tale requisito, ossia dell'esclusione del costo dall'ambito dell'attività d'impresa".
Il costo, quindi, attiene o non attiene all'attività d'impresa a prescindere dalla sua entità, dovendosi ribadire che il principio di inerenza si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo. Il giudizio quantitativo o di congruità, comunque, non è, però, del tutto irrilevante, collocandosi su un diverso piano logico e strutturale. La questione, infatti, si intreccia con il profilo dell'onere della prova dell'inerenza del costo, che incombe sul contribuente, laddove la prova deve investire i fatti costitutivi del costo. Il contribuente è cioè tenuto a provare (e documentare) l'imponibile maturato e, dunque, l'esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione. E quando l'operazione posta in essere risulti complessa, o anche atipica od originale rispetto alle usuali modalità di mercato, tale onere si atteggia in termini parimenti complessi: la qualificazione dell'operazione come atto d'impresa deve tradursi così in elementi oggettivi, suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di inerenza. E l'Amministrazione finanziaria, ove ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati, ovvero riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare la validità e/o la rilevanza di quelli allegati a fondamento dell'imputazione del costo alla determinazione del reddito, può contestare la valutazione di inerenza.
Vero è che, per le operazioni imprenditoriali di maggiore complessità, od inserite in una più ampia strategia aziendale, il cui articolarsi in concreto può comportare, anche per scelta, il compimento di atti onerosi o costi elevati, la contestazione dell'Ufficio non può tradursi in una mera non condivisibilità della scelta, perché apparentemente lontana dai canoni di normalità del mercato, che equivarrebbe ad un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma deve consistere nella positiva affermazione che l'operazione, sulla base di elementi oggettivi, non si inseriva nell'attività produttiva, sì da determinare un giudizio di inerenza negativo. In conclusione, bisogna negare che il rapporto trovi conforto nella mera contabilizzazione del costo, essendo, al contrario, necessario e incombente sul contribuente, al fine della prova dell'inerenza, l'onere di allegazione della documentazione di supporto da cui ricavare l'importo, la ragione e la coerenza economica della spesa. Tutta la questione, in sostanza, si sposta sul piano prettamente probatorio.
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