Il Fisco può contestare correttezza e veridicità del bilancio anche senza querela di falso

06 Dicembre 2018

Ritenuto che il bilancio di una società non fa fede fino a querela di falso, è consentito all'Ente Impositore contestarne la correttezza e veridicità, senza che ne sia previamente accertata la falsità in sede penale o civile, tramite il procedimento della querela di falso di cui agli artt. 221 ss. c.p.c..
Massima

Gli amministratori della società, cui spetta di redigere il bilancio secondo le norme di cui agli artt. 2423 - 2426 c.c., non rivestono la qualità di pubblici ufficiali e tanto basta ad escludere che il bilancio sia annoverabile fra gli atti che, ai sensi dell'art. 2700 c.c., fanno piena prova, sino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute.

Il caso

Una società immobiliare impugnava l'avviso di accertamento con cui la competente Agenzia delle Entrate, aveva richiesto la restituzione di un rimborso IVA, sul presupposto che la persona giuridica dovesse essere qualificata come non operativa, ai sensi della L. n. 724/1994, art. 30.

In tale atto impositivo si rilevava che la società, pur avendo ad oggetto l'acquisto, la vendita, la permuta e le valorizzazione di beni immobili, aveva svolto esclusivamente attività di locazione dell'unico immobile di cui era proprietaria mai posto in vendita e che, pertanto, il bene, che nel bilancio societario figurava quale voce dell'attivo circolante (di cui all'attivo dello Stato Patrimoniale ai sensi dell'art. 2424 c.c., nella classe C. I 4), avrebbe dovuto essere appostato tra le immobilizzazioni materiali (allocate nell'attivo dello Stato Patrimoniale ai sensi dell'art. 2424 c.c., nella classe B. II 1).

A fronte di tale errata appostazione, l'Ufficio riclassificava la voce del bilancio e riteneva corretto applicare la disciplina delle società di comodo. Avverso tale riclassificazione, la società frapponeva ricorso, poi accolto Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio.

A fronte di tale decisone, l'Agenzia delle Entrate proponeva atto di appello principale, respinto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Nello specifico, il secodno Giudice riteneva che il bilancio di una società di capitali facesse fede fino a querela di falso della corrispondenza al vero di quanto in esso appostato e che, ai fini della sua riclassificazione, era necessario il preventivo esperimento di un'azione penale che ne accertasse la falsità totale o parziale.

La CTR, pertanto, equiparava la figura dell'amministratore di società, cui spetta di redigere il bilancio secondo le norme di cui agli artt. 2423 - 2426 c.c., a dei pubblici ufficiali. Avverso tale decisione di secondo grado, l'Ente Impositore proponeva Ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo.

In particolare, la ricorrente Agenzia lamentava la violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 264/1994, art. 30, L. n. 662/1996, art. 3, comma 45, d.P.R. n. 600/1973, art. 39, d.P.R. n. 633/1972, art. 54, artt. 2423, 2423-bis, 2621 e 2700 c.c..

Sosteneva il ricorrente, che il bilancio non fa fede fino a querela di falso, poiché esso non proviene da un pubblico ufficiale; di guisa la correttezza e veridicità del bilancio, può essere contestata dall'Agenzia delle Entrate, senza che ne sia previamente accertata la falsità in sede penale o civile.

Tale motivo era condiviso dalla Cassazione, la quale accoglieva il ricorso e disponeva l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio della causa, per nuovo esame, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.

Ad avviso dei Giudici supremi, infatti, gli amministratori della società, cui spetta di redigere il bilancio, non rivestono la qualità di pubblici ufficiali: ciò basta ad escludere che il bilancio sia annoverabile fra gli atti che fanno piena prova ex art. 2700 c.c., sino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute.

Del resto, in sede di verifica fiscale, è implicita la facoltà dell'Ufficio di contestare i criteri utilizzati dal contribuente nella redazione del bilancio e delle relative appostazioni contabili.

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se in tema di accertamento delle imposte, gli amministratori di società, cui spetta di redigere il bilancio secondo le norme di cui agli artt. 2423 -2426 c.c., rivestano la qualità di pubblici ufficiali e se, per l'effetto, il bilancio faccia piena prova, fino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute.

Nel caso che ci occupa, a mezzo avviso di accertamento, l'Agenzia delle Entrate aveva provveduto a riclassificare alcune voci del bilancio di una società immobiliare, contestando la qualifica di società di comodo della persona giuridica, ovverosia quelle società che il legislatore presume non operative e costituite solo a scopi elusivi.

Quest'ultima proponeva ricorso, accolto in primo Grado; tale decisione era impugnata innanzi alla competente CTR la quale, riteneva possibile una rettifica del bilancio societario, solo a seguito dell'esperimento della procedura di cui agli artt. 221 e ss. c.p.c..

Avverso la decisione di seconde cure, era frapposto ricorso per cassazione, ove era dedotta violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 264/1994, art. 30, L. n. 662/1996, art. 3, comma 45, d.P.R. n. 600/1973, art. 39, d.P.R. n. 633/1972, art. 54, artt. 2423, 2423-bis, 2621 e 2700 c.c., laddove la CTR aveva fondato il suo convincimento sulla natura di atto pubblico (v. art. 2699 c.c.) del bilancio.

Tale censura era accolta dalla Suprema Corte, la quale riteneva che il bilancio societario non fa piena prova, fino a querela di falso.

Le soluzioni giuridiche

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituti coinvolti.

A mente dell'art. 2424 c.c., lo Stato Patrimoniale (di seguito SP) rappresenta la situazione del patrimonio aziendale in un determinato momento di vita dell'azienda.

Esso si suddivide in due sezioni contrapposte, denominate:

1) Attivo, comprendente: il magazzino, le immobilizzazioni, le disponibilità liquide e i crediti. Si tratta di tutti gli investimenti indispensabili all'azienda per svolgere al meglio la propria attività;

2) Passivo, comprendente: le riserve, il capitale sociale, gli utili e le perdite dell'esercizio. riportati a nuovo, ossia i debiti a breve, medio e lungo termine. Dal punto di vista finanziario, rappresentano i mezzi propri o di terzi, di cui si è dotata l'azienda per finanziare gli investimenti in modo da svolgere al meglio la propria attività.

Tra le attività, sono allocate le immobilizzazioni (lettera B) che rappresentano beni o risorse con una vita utile superiore ad un anno. In questa categoria si identificano 3 sottogruppi: materiali (ad esempio edifici o macchinari, identificate dal numero romano II), immateriali (come brevetti) e finanziari (titoli o partecipazioni in altre società).

La lettera C dello SP, invece, identifica l'attivo circolante, voce che include tutte le risorse che vengono impiegate nel breve termine.

In questo gruppo rientrano le rimanenze, i crediti con specifiche caratteristiche, gli elementi finanziari che non rientrano nelle immobilizzazioni e le risorse liquide.

Tornando al caso che ci preme, l'unico immobile della società di capitali, sebbene locato, figurava quale voce dell'attivo circolante (di cui all'attivo dello Stato Patrimoniale ai sensi dell'art. 2424 c.c., nella classe C. I 4).

All'opposto detto bene, avrebbe dovuto essere appostato tra le immobilizzazioni materiali (allocate nell'attivo dello Stato Patrimoniale ai sensi dell'art. 2424 c.c., nella classe B. II 1).

L'OIC 16 definisce le immobilizzazioni materiali come beni tangibili di uso durevole costituenti parte dell'organizzazione permanente della società, la cui utilità si estende oltre i limiti dell'esercizio.

Non è la natura intrinseca del bene a qualificarlo come immobilizzazione, ma la sua destinazione nell'ambito del ciclo operativo della società. Difatti, costituiscono immobilizzazioni materiali tutti quei cespiti che vengono utilizzati come strumenti di produzione. Al contrario, i beni destinati alla vendita oppure alla trasformazione non devono essere classificati tra le immobilizzazioni materiali.

Pertanto, la classificazione dei beni in oggetto, può essere differente a seconda del settore merceologico cui l'impresa appartiene, ma anche, all'interno della medesima impresa, a seconda del momento temporale.

Per ciò che attiene alle società immobiliari, vanno classificati tra le rimanenze (attivo circolante, ossia attivo SP, classe C. I 4) - e non tra le immobilizzazioni - i fabbricati costruiti o ristrutturati per la vendita dalle società edili di costruzione e ristrutturazione o gli immobili (terreni e fabbricati) acquistati per la rivendita dalle società di compravendita immobiliare.

Laddove la destinazione economica dei beni muti nel tempo e cespiti dapprima utilizzati come strumenti di produzione siano poi destinati alla vendita, essi dovrebbero essere classificati separatamente dalle immobilizzazioni materiali, ossia in un'apposita voce dell'attivo circolante (v. OIC 16).

Tale riclassifica è effettuata se le immobilizzazioni sono vendibili alle loro condizioni attuali o non richiedono modifiche tali da differirne l'alienazione, se la vendita appare altamente probabile alla luce delle iniziative intraprese, del prezzo previsto e delle condizioni di mercato o se l'operazione dovrebbe concludersi nel breve termine.

Tutte le immobilizzazioni materiali, compresi i terreni e fabbricati, devono essere iscritte in bilancio al costo di acquisto o di produzione (v. art. 2426 co. 1 n. 1 c.c.).

La loro rilevazione iniziale avviene alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e dei benefici connessi al bene, che di solito coincide con il momento del trasferimento del titolo di proprietà.

Le immobilizzazioni, laddove utilizzate dall'impresa per più esercizi, vanno sottoposte ad ammortamento ovverosia la ripartizione del valore di un'immobilizzazione materiale tra gli esercizi della sua vita utile (v. documento OIC 16); tale principio non trova applicazione per quei cespiti la cui utilità non si esaurisce (per esempio, i terreni e le opere d'arte). L'ammortamento si estrinseca nella determinazione delle quote di costo da attribuire ai vari esercizi e che prendono il nome di quote di ammortamento.

Per quanto attiene ai fabbricati, l'ammortamento deve essere effettuato in modo “sistematico”, deve cioè essere determinato facendo riferimento ad un piano di ammortamento economico-tecnico e, in caso di variazione dei coefficienti applicati, le motivazioni di tale modifica devono essere illustrate in Nota integrativa.

Per attivo circolante (attivo SP, classe C. I), invece, s'intende l'insieme di tutti gli investimenti a breve termine dell'impresa.

Si tratta, pertanto, di tutti i beni e i crediti che, diversamente dalle immobilizzazioni, non sono destinati a rimanere per lungo tempo nel patrimonio dell'impresa perché sono finalizzati, in tempi rapidi, al consumo (ad esempio le rimanenze di materie prime), alla vendita (ad esempio le rimanenze di prodotti pronti per la vendita) o all'incasso (come i crediti verso i clienti).

Tornando al caso in premessa, atteso che la società di capitali era proprietaria di un unico bene, destinato alla vendita e/o permuta, tale bene avrebbe dovuto essere iscritto nella classe C. I 4, rimanenze (v. OIC 13, artt. 2424 c.c. e 92 e 93 d.P.R. n. 917/1986, ossia quei beni acquistati o prodotti dall'impresa, ma non ancora venduti al cliente al termine dell'esercizio) di prodotti finiti e merci (cioè quei prodotti che giacciono in magazzino in attesa di essere venduti o quei prodotti, acquistati da terzi, della cui commercializzazione è incaricata l'impresa).

Le rimanenze di magazzino sono valutate al minore tra il costo di acquisto o di produzione ed il valore di mercato (quest'ultimo stimato come valore di sostituzione o valore di realizzo al netto dei costi di completamento).

Ciò esposto, il contenzioso di cui in parola originava da una riclassificazione di poste di bilancio effettuata dall'Ufficio: difatti, atteso che l'immobiliare pur avendo ad oggetto l'acquisto, la vendita, la permuta e le valorizzazione di beni immobili, aveva svolto esclusivamente attività di locazione dell'unico immobile di cui era proprietaria, detto fabbricato avrebbe dovuto essere appostato fra le immobilizzazioni materiali e non quale voce dell'attivo circolante.

Tale visione non era condivisa dalla società di capitali, la quale frapponeva ricorso tributario, poi accolto dalla competente Commissione provinciale.

L'appello dell'Ufficio era, in seguito, respinto dalla CTR, ritenendo che il bilancio della società facesse fede fino a querela di falso e che, ai fini della sua riclassificazione, era dunque necessario il preventivo esperimento di un'azione penale che ne accertasse la falsità.

A detta del secondo Giudice, il bilancio societario era munito della stessa efficacia di un atto pubblico (v. art. 2700 c.c.), ossia fidefaciente sino a querela di falso.

A tal proposito, l'efficacia che la legge attribuisce all'atto pubblico è quella assoluta e incondizionata di prova legale, sottratta al libero apprezzamento da parte del giudice.

Tale efficacia copre, in primo luogo, l'attestazione in ordine alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale (v. Cass. Civ., n. 22903/2017) che sottoscrivendolo, si identifica quale autore dell'atto stesso.

L'efficacia si estende inoltre alle modalità di formazione dell'atto pubblico, ed in particolare all'attestazione del luogo e della data in cui l'atto stesso è stato redatto.

All'opposto, l'art. 2700 c.c. non estende la valenza probatoria privilegiata alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale, il cui contenuto intrinseco può essere oggetto di prova contraria, senza necessità di esperire lo speciale procedimento della querela di falso (v. Cass. Civ., n. 26140/2017).

Orbene, l'Agenzia delle Entrare, non condividendo la qualifica di atto pubblico dato al bilancio societario, frapponeva Ricorso per la Cassazione della sentenza resa dalla CTR Lombardia, sull'assunto che il documento di cui all'art. 2423-ter c.c., non provenisse da un pubblico ufficiale, cosicché la sua correttezza e veridicità poteva essere contestata dall'Ufficio senza che ne sia previamente accertata la falsità in sede penale o civile.

Le conclusioni della Suprema Corte di Cassazione

Tale tesi, era condivisa dalla Suprema Corte.

A detta del Giudice di Legittimità, gli amministratori della società, cui spetta di redigere il bilancio secondo le norme di cui agli artt. 2423-2426 c.c., non rivestono la qualità di pubblici ufficiali e tanto basta ad escludere che il bilancio sia annoverabile fra gli atti che, ai sensi dell'art. 2700 c.c., fanno piena prova, sino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute.

Per l'effetto, l'Ente Impositore può legittimamente rettificare il bilancio, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione e ciò al fine di far emergere la sussistenza di un credito tributario evaso o l'insussistenza di quello chiesto a rimborso: innanzi a tale riclassificazione delle poste contabili, il giudice tributario investito del ricorso è tenuto a valutare, sulla scorta delle risultanze di causa, se detta rettifica debba, o meno, ritenersi corretta e sia idonea a giustificare la maggiore pretesa impositiva od il diniego di rimborso.

Osservazioni

Con la sentenza in commento, i Giudici della Sezione Tributaria, prendendo posizione sul valore probatorio del bilancio societario, escludendone la natura di atto pubblico.

Difatti, salve qualche rare eccezioni (ad esempio, legale rappresentante di una società privata che proceda alla riscossione dell'imposta di soggiorno, il quale riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, v. Cass. Civ. n. 53467/2017), è pacifico che gli amministratori di una società non rivestano la qualità di pubblico ufficiale.

Ma ad ogni buon conto, anche a condividere la tesi della CTR Lombardia, ossia che il bilancio ha natura di atto pubblico, ha errato il secondo Giudice, in quanto la fede privilegiata non copre il contenuto intrinseco dell'atto, ossia nel caso che ci occupa, l'appostazione in bilancio del fabbricato di proprietà della società immobiliare.

La pubblica fede, infatti, attiene al solo contenuto estrinseco dell'atto (v. Cass. Civ., n. 12386/2006, Cass. 10701/2005 e Cass. Civ., n. 4865/1998), ovverosia nel caso di bilancio societario, alla predisposizione di esso da parte degli amministratori, al luogo e alla data di formazione, non certamente la correttezza delle appostazioni contabili, pacificamente rettificabili da parte dell'Ufficio delle Entrate.

Alla luce di quanto affermato, il bilancio non ha efficacia di prova legale.

A titolo meramente esemplificativo, se un contribuente è sottoposto a verifica fiscale poi trasfusa in un processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, siffatto atto è assistito da fede privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c., (v. Cass. Civ., n. 11779/2018).

Tale processo verbale, ha natura di atto pubblico, assistito da fede privilegiata ex art. 2700, anche rispetto a quegli atti richiamati esplicitamente nel medesimo processo verbale, che siano stati posti pure in essere da pubblici ufficiali.

Ne deriva che, qualora l'interessato voglia contestare la veridicità dell'atto richiamato nel processo verbale, dovrà necessariamente proporre querela di falso (v. Cass. Civ., n. 15311/2008).

Ritornando all'efficacia probatoria del bilancio regolarmente approvato, a mente dell'art. 2709 c.c., esso fa prova in ordine ai debiti della società medesima (v. Cass. Civ., n. 3190/2016 e Cass. Civ., n. 6547/2013) ed ha efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti (v. Cass. Civ. n. 15394/2013).

In conclusione, i bilanci societari, purché approvati regolarmente nelle forme di legge, possono costituire utile prova delle obbligazioni sociali ex art. 2709 (v. Cass. Civ., n. 8938/1997 e Cass. Civ., n. 2148/1983), ma non possiedono l'efficacia probatoria tipica dell'atto pubblico di cui all'art. 2700 c.c..

È, pertanto, legittima la rettifica delle poste contabili effettuata dall'Agenzia delle Entrate, la quale non dovrà ricorre alla procedura di cui agli artt. 221 e ss. c.p.c. (querela di falso).

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