I requisiti necessari per la personalizzazione del danno biologico alla salute
10 Dicembre 2018
Massima
Le attività realizzatrici della vita umana che non eccedono il complesso dei pregiudizi “normalmente” riconducibili alla lesione dell'integrità psicofisica accertata in relazione al tipo di postumi invalidanti in soggetto della stessa età del danneggiato e che costituiscono singoli aspetti peggiorativi della vita di relazione del soggetto, sono già ricompresi nella categoria del cd. danno biologico e trovano adeguato risarcimento nei criteri tabellari di liquidazione del danno Il caso
Tizio a seguito di un sinistro stradale riportava lesioni gravissime valutate in misura pari all'85% del grado di invalidità permanente. Nei giudizi di merito si escludeva la sussistenza del diritto alla personalizzazione del danno biologico perché le manifestazioni della compromissione della vita di relazione allegate, corrispondevano a quelle “normalmente” connaturate a quel tipo di lesione, che ogni adolescente che si trova nella medesima condizione patisce e che costituiscono, quindi, pregiudizi già adeguatamente compensati dal criterio tabellare. La questione
Quali sono gli aspetti dinamico-relazionali la cui lesione comporta il diritto alla personalizzazione del danno non patrimoniale alla salute? Le soluzioni giuridiche
Tizio è ricorso per cassazione lamentando che i Giudici di merito abbiano applicato il criterio tabellare di liquidazione del danno biologico senza tenere conto della compromissione dei molteplici aspetti della sua vita relazionale, quali, la partecipazione ad attività sportive, l'interesse nello studio e le escursioni in montagna, nonché della “deminutio” futura di attività di rilevanza sociale del danneggiato come la partecipazione alla vita politica e la formazione del nucleo familiare. La Corte di appello aveva ritenuto tali pregiudizi inclusi nella valutazione complessiva del danno biologico da invalidità permanente che, calcolato in quel sistema tabellare (Tabella di Roma) in termini di equivalente monetario secondo incrementi rispondenti ad una funzione progressiva, tale per cui il valore del risarcimento aumenta in misura più che proporzionale rispetto all'aumento del grado di invalidità, ricomprende in sé l'ordinaria compromissione degli aspetti dinamico-relazionali con la conseguenza che un'attribuzione risarcitoria ulteriore e maggiore rispetto a quella prevista dalla tabella sarebbe stata consentita solo se fossero state allegate e dimostrate specifiche attitudini del danneggiato che, per la loro peculiarità, non potevano ritenersi ricomprese nella valutazione tabellare. Spiegavano i Giudici di merito che la compromissione di attività sportive praticate a livello amatoriale, così come quelle ludiche e ricreative o di studio, o anche le frequentazioni amicali o la possibilità di guidare veicoli od avere relazioni pubbliche e sociali, non costituiscono attività riferibili a particolari attitudini od interessi ma pratiche del tutto comuni, condivise da qualunque coetaneo che si trovi nella stessa sfortunata condizione, sicché la loro compromissione in conseguenza di un danno alla salute, non comporta il diritto alla personalizzazione in aumento del danno biologico. La decisione in commento condivide la motivazione assunta dalla Corte di Appello, ricordando che solo ove venga allegato e provato il pregiudizio ad attività realizzatrici della vita umana del tutto eccezionali e non comuni a tutti i soggetti che subiscono la medesima lesione alla salute, è possibile procedere alla personalizzazione del danno biologico. Nella fattispecie Tizio, nonostante si dolesse del mancato riconoscimento della personalizzazione, aveva del tutto omesso di spiegare perché lo specifico pregiudizio allegato assumeva caratteristiche tali, per dimensione od intensità ed in relazione alle “particolari” condizioni di vita del soggetto leso che lo ponevano al di fuori delle «conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età»; conseguentemente, il valore di quelle attività dinamico relazionali doveva intendersi già compensato dall'applicazione del dato tabellare visto che non erano emerse conseguenze pregiudizievoli “peculiari” cioè legate «all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all'uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento». Per chiarire ancor più il concetto la SC riporta degli esempi come quello di chi abbia riportato una frattura ad un arto che, come conseguenze ordinarie e comuni e per ciò già comprese nella valutazione “standard” prospettata dai valori tabellari, incontrerà difficoltà nelle più comuni attività quotidiane come il vestirsi, il tagliare il cibo, praticare attività sportive, fare la spesa, accudire i figli, ecc. mentre qualora alla medesima frattura conseguano pregiudizi “peculiari” perché la limitazione del facere trasmoda dal compimento di atti della vita quotidiana o dalle attività comunemente riferibili ad un soggetto in buone condizioni di salute e di quella stessa età, assumendo un rilievo del tutto assorbente nella vita dinamica e relazionale del soggetto, allora, se allegato e dimostrato, quel pregiudizio, dovrà essere compensato. Un altro esempio citato a supporto della correttezza della motivazione, che spicca per chiarezza ma che non ritengo possa essere ritenuto un vero e proprio criterio discretivo perché la sua pedissequa ed incondizionata applicazione rischierebbe di “riservare” la personalizzazione a pochi eletti o a soggetti del tutto straordinari, è quello che riguarda la pratica di attività sportive che, secondo la SC rappresentano attività peculiari degne di ulteriore copertura risarcitoria e non ordinarie solo laddove il danneggiato le pratichi non a livello meramente amatoriale ma «agonistico partecipando a gare di campionato organizzate dalla federazione nazionale o che dedichi agli esercizi in palestra un costante e prolungato impegno quotidiano». Osservazioni
La decisione in commento si inserisce all'interno del consolidato orientamento della Cassazione Civile (Sez. Un. n. 26872/2008) che, recentissimamente, anche alla luce di interventi legislativi in tema di danno biologico, ha suscitato l'esigenza, che la Terza Sezione Civile ha colto dapprima con la sentenza 901/2018 e successivamente con l'ordinanza n. 7513/2018, di fornire chiarimenti concettuali allo scopo di garantire la integrale riparazione del danno non patrimoniale evitando nel contempo duplicazioni risarcitorie. In queste decisioni, riprendendo gli arresti della medicina legale e le definizioni date dal Legislatore, si chiarisce cosa si debba intendere per danno biologico. Secondo la medicina legale «Il danno biologico misurato percentualmente è…la menomazione all'integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulla attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti» (definizione data dalla Società Italiana di Medicina Legale al Congresso Nazionale del 2001 così come riportata nell'ordinanza n. 7513/2018). Secondo le definizioni contenute all'art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, all'art. 5 l. 5 marzo 2001, n. 57 ed agli artt. 138 e 139 cod. ass., il danno biologico si concretizza nella lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. Il costante riferimento all'incidenza della lesione “sugli aspetti dinamico relazionali” conduce alla conclusione che il Legislatore, con tale espressione, non abbia inteso designare un danno a sé ma lo abbia utilizzato solo come perifrasi di danno biologico. Sostanzialmente il danno biologico consiste nella “ordinaria” compromissione delle attività quotidiane (gli “aspetti dinamico-relazionali”) ma quando esso, a causa delle specificità del caso, ha compromesso non già attività quotidiane comuni a tutti, ma attività “particolari” (ovvero i “particolari aspetti dinamico-relazionali”), di questa perdita dovrebbe tenersi conto con la personalizzazione del grado di invalidità permanente. Conclude, infatti, la Terza Sezione della Cassazione che «la lesione alla salute risarcibile in null'altro consiste, su quel medesimo piano, che nella compromissione della abilità quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire con la logica conseguenza che il danno alla salute è il danno dinamico relazionale». Ai fini della personalizzazione è quindi necessario valutare se le conseguenze dannose della lesione alla salute rientrano in quelle comuni a tutte le persone che dovessero patire quella particolare invalidità o se rappresentano delle conseguenze peculiari del caso concreto, che hanno reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Nel primo caso non sussisterà alcun diritto alla personalizzazione dal momento che le conseguenze lesive sono già considerate nella valutazione dell'invalidità psicofisica, mentre nel secondo caso, in cui le conseguenze esulano da quelle normali e comuni, se allegate e provate, daranno diritto alla personalizzazione del danno.
Le recenti puntualizzazioni della Terza Sezione della Cassazione Civile, espressamente finalizzate ad eliminare quella confusione terminologica molto spesso fonte di rischio di duplicazioni ed anche di vuoti risarcitori, dovrebbero condurre alla scomparsa di quelle suggestive, ma irrilevanti, allegazioni circa le difficoltà nel fare la spesa quotidiana, nel riassettare la casa, ecc., pregiudizi che chiaramente rientrano nel concetto di danno biologico, in passato però spesso richiamati per giustificare opinabili aumenti risarcitori, ma, nel contempo, rischiano, classificando in modo standardizzato secondo il criterio statistico dell'id quod plerumque accidit tutte le conseguenze dannose in due gruppi, quelle comuni a tutti e quelle no, di sottovalutare l'aspetto soggettivo e, quindi, il valore ed il peso della perdita nel caso concreto.
Limitando la valutazione sulla sussistenza del diritto alla personalizzazione ad un preliminare vaglio circa la ricorrenza statistica di un determinato riflesso dinamico relazionale nella maggioranza dei casi consimili (perché solo se esula da ciò che normalmente accade comporta la maggiorazione risarcitoria), si omette di considerare quanto vale per quel determinato soggetto curare ogni giorno l'orto (per riprendere il caso trattato dall'ordinanza n. 7513/2018) e quanto è per costui pesante la rinuncia a detta attività, che potrebbe comportare, se supportata da idonea allegazione e prova, una perdita tale da rilevare indipendentemente dalla considerazione astratta e teorica che tutte le persone che subiscono quella stessa lesione non possono più svolgere quella specifica attività. Un'applicazione “letterale” della regola giurisprudenziale rischia di privare il danneggiato della copertura risarcitoria di una perdita che per lui potrebbe essere seria e grave e superare la soglia di tollerabilità dettata dalle Sezioni Unite con le sentenze di San Martino del 2008 quale condizione per il risarcimento del danno non patrimoniale.
È pacifico che gli aspetti dinamico relazionali connaturati ad un tipo di lesione siano già compresi nella valutazione del danno biologico ma per la valutazione dell'incidenza di talune attività areddituali della vittima sulle sue abitudini di vita non ci si può limitare a capire se si tratti di conseguenze comuni a tutti o meno, essendo opportuno scendere all'esame del caso concreto tenendo conto di quanto contava per quella specifica persona lo svolgimento di quella specifica attività, in modo da vagliare la correttezza del dato statistico con la specificità del caso concreto e riconoscere la personalizzazione ogni volta in cui emerga che per quella vittima la privazione di quella attività “ordinaria” ha comportato, invece, conseguenze “peculiari”. Se dovessimo rigidamente riferirci agli esempi indicati nella sentenza in commento, solo chi svolge un'attività sportiva a livello «agonistico partecipando a gare di campionato organizzate dalla federazione nazionale», e quindi un professionista, potrebbe aver diritto alla personalizzazione dell'invalidità permanente in ragione della preclusione dell'attività sportiva prima svolta, perché per chi la dovesse invece svolgere con grande passione ma a livello solo amatoriale, la medesima attività non rappresenterebbe un aspetto “peculiare” ma a tutti comune (anche se non da tutti praticata), con la conseguenza che, in tal modo, si rischierebbe di circoscrivere di fatto l'accesso alla personalizzazione a particolari e straordinarie categorie di danneggiati, fra i quali, ad esempio, dovremmo escludere la stragrande maggioranza di bambini ed anziani che, per la loro età, è difficile che svolgano attività dinamico-relazionali così peculiari da collocarsi al di fuori di quelle invece ritenute “comuni”. Non sembra più sufficiente allegare e dimostrare la differenza fra ciò che si faceva prima dell'evento di danno e ciò che si fa dopo, dovendosi altresì accertare se ciò che si faceva prima aveva un carattere straordinario e non comune a tutti perché, altrimenti, la relativa compromissione non avrebbe valore. Per i soggetti “normali” mi chiedo quindi se sia possibile sostenere che aspetti dinamico relazionali “ordinari” già considerati e quindi compresi nella valutazione del danno biologico perché comuni a tutti i soggetti che nella stessa condizione si trovano, possano essere considerati “peculiari”, e quindi meritare una compensazione “in aggiunta” rispetto al dato tabellare laddove un soggetto alleghi e dimostri che, per lui, quella comune attività aveva un'importanza ed un valore maggiore, e quindi peculiare, che non tutti coloro che si trovano nella sua stessa condizione, avvertono. Non tutti necessariamente hanno passioni o coltivano particolari interessi ma la loro preclusione gli viene comunque risarcita, in presenza di un danno alla salute, come danno biologico sicché stesso trattamento non sembra meritare colui che a causa della lesione abbia visto la propria vita stravolta per la preclusione di un'attività che seppur “ordinaria” veniva concretamente svolta con estrema passione ed interesse.
A mio sommesso avviso, la chiave per una corretta interpretazione della regola da applicare nella valutazione della presenza delle condizioni per poter personalizzare un danno alla salute, sembra emergere anche dalla sentenza in commento in cui, nel formulare gli efficaci esempi, si riferisce, anche, a quelle attività che vengono svolte «con costante e prolungato impegno quotidiano», potendosi, con tale formula “aperta”, giustificare la rilevanza di aspetti che, seppur comuni a tutti i danneggiati nelle medesime condizioni di salute ed età, per quella vittima erano diversamente e maggiormente importanti perché svolte con una certa continuità e, quindi, considerare anche la cura dell'orto e del vigneto se praticata con assiduità e vista, ad esempio, come unico motivo di piacere e soddisfazione. È pertanto possibile che alla regola generale che fa una “summa divisio” fra conseguenze comuni e conseguenze peculiari, vi possano essere delle eccezioni in cui a seguito di una puntuale allegazione e della relativa prova, attività ritenute comuni per tutti, possano essere considerate peculiari per un determinato soggetto.
Una tale interpretazione sembra essere giustificata anche dalla stessa Cassazione che prevede di valutare le condizioni di vita del leso non secondo criteri oggettivi come il rigido spartiacque conseguenze comuni/conseguenze peculiari ma con riferimento ad una dimensione più soggettiva e, quindi, in considerazione della gradazione delle priorità attribuite a specifici ambiti di interesse coltivati dal soggetto ed alla riscontrata prevalenza riconosciuta ad uno o più di essi tale da connotare in modo assorbente o preponderante l'impegno e l'attenzione profusa dal soggetto in detto ambito che lo pongono al di fuori delle «conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età» (cfr. Cass. civ., n. 23778/2014; Cass. civ., n. 3505/2016), perché «legate all'irrepetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all'uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento» (Cass. civ., n. 16788/2015; Cass. civ., n. 21939/2017), «meritevoli in quanto tali di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità» (Cass. civ., n. 21939/2017; Cass. civ., n. 901/2018; Cass. civ., n. 7513/2018).
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