Commercio elettronico e profili fiscali delle vendite su aste elettroniche

18 Dicembre 2018

Al fine della contestazione dello svolgimento di attività imprenditoriale di e-commerce su piattaforma e-bay, rappresenta idonea motivazione l'elenco delle operazioni allegato al Pvc e riprodotto in uno schema redatto dalla Guardia di Finanza, con il dettaglio di ciascuna di esse, dovendosi confermare il principio secondo cui, in tema di motivazione "per relationem", l'art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all'atto dell'amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza.
Massima

Al fine della contestazione dello svolgimento di attività imprenditoriale di e-commerce su piattaforma e-bay, rappresenta idonea motivazione l'elenco delle operazioni allegato al Pvc e riprodotto in uno schema redatto dalla Guardia di Finanza, con il dettaglio di ciascuna di esse, dovendosi confermare il principio secondo cui, in tema di motivazione "per relationem", l'art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all'atto dell'amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 26107 del 18 ottobre 2018, ha chiarito alcuni interessanti profili in materia di aste elettroniche, che possono comunque fungere anche da spunto per riflessioni più generali sul tema della tassazione del commercio elettronico, in particolare indiretto e dei profili evasivi a questo connessi.

Nel caso di specie, la contribuente, nella sua qualità di erede universale, ricorreva per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che nell'ambito di una controversia su impugnazione di avvisi di accertamento relativi a IRPEF, IRAP e IVA, per gli anni dal 2004 al 2007, emessi a seguito di Pvc della Guardia di finanza, che aveva rilevato la mancata tenuta di contabilità fiscale in presenza di attività imprenditoriale di e-commerce su piattaforma e-bay, aveva accolto l'appello dell'Agenzia delle Entrate limitatamente agli anni 2005 e 2006.

Con l'unico motivo di ricorso la ricorrente deduceva violazione e falsa applicazione dell'art. 7, L. n. 212/2000, per avere i giudici di secondo grado ritenuto motivati gli atti impositivi relativi agli anni 2005 e 2006, nonostante la mancata allegazione della documentazione, richiamata solo per relationem nel Pvc, ma non allegata a quest'ultimo.

Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era infondato.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che dalla sentenza impugnata e dagli stralci degli atti riportati in ricorso risultava che al processo verbale di contestazione era stato allegato l'elenco delle operazioni, trasmesso in file da eBay Europe sarl, e quindi riprodotto in uno schema redatto dalla Guardia di Finanza, con il dettaglio di ciascuna di esse (data, oggetto, importo, acquirente), mettendo così la contribuente in condizione di contestare la pretesa.

Contestazione che però poi la medesima contribuente non aveva fatto, essendosi limitata a negare genericamente di svolgere attività imprenditoriale.

La Suprema Corte riteneva quindi che andasse confermato il principio secondo cui, in tema di motivazione "per relationem" degli atti d'imposizione tributaria, l'art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all'atto dell'amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza.

La questione

Al di là della questione dei presupposti di legittimità della motivazione per relationem, giova evidenziare come il contenzioso in esame riguarda quelle tipologie di accertamenti, con cui si contrasta i nuovi (ormai neppure così nuovi) fenomeni di evasione legati al commercio elettronico.

Ma che cosa si intende esattamente per commercio elettronico?

Il commercio elettronico è definito come lo svolgimento di operazioni commerciali e di transazioni on-line.

Sotto questa denominazione sono inclusi, inoltre, sia il commercio elettronico "indiretto", che il commercio elettronico "diretto".

Nel primo caso, la fase preliminare di ordine ed eventualmente anche quella di pagamento del bene vengono effettuati tramite web. La consegna, invece, avviene out-line; per cui il bene, analogamente alla vendita per corrispondenza, giunge fisicamente al domicilio o alla sede dell'acquirente attraverso i tradizionali canali di distribuzione (es. vettore, posta etc.).

Nel secondo caso, invece, anche la consegna dei beni digitali immateriali avviene on-line: la distribuzione, infatti, prescinde sia da una presenza fisica dell'impresa sul territorio che da strutture produttivo-distributivo-commerciali della stessa. In altri termini, il sito web costituisce una sorta di struttura commerciale virtuale.

Nel commercio elettronico "indiretto", l'incontro tra l'azienda venditrice ed il suo cliente avviene nel "cybermercato", ovvero il mercato di Internet, ma la consegna del bene transita comunque attraverso canali tradizionali, quali la posta, i vettori, le società di spedizione, eccetera.

E anche attraverso l'intercettazione di tali trasferimenti sarà possibile dunque risalire ad eventuali operazioni non dichiarate.

Infatti, il "seller" consegna quanto venduto ad un intermediario, che presta un servizio di trasporto e che farà recapitare all'acquirente il bene. Il costo di tale servizio viene sostenuto dall'acquirente che effettua un pagamento all'intermediario.

L'attenzione si sposta quindi sull'analisi delle particolari modalità di pagamento.

Il problema più gravoso per le Amministrazioni fiscali resta dunque, in particolare, quello di stabilire presso chi e come acquisire gli elementi probatori necessari all'identificazione dei contraenti, nonché al riscontro delle operazioni non registrate contabilmente dagli operatori interessati.

Le soluzioni giuridiche

Da ormai diversi anni i siti di aste elettroniche sono diventati un luogo dove avviare, in modo relativamente semplice, qualsiasi genere di business redditizio: dai cellulari, all'informatica, ai prodotti tipici, passando per i gioielli, in molti hanno creato una vera e propria attività on line, da diverse migliaia di euro mensili.

Per arginare la contrazione degli introiti, le Amministrazioni fiscali si devono dunque dotare di procedure di monitoraggio e strumenti di cooperazione efficaci. E, in tale direzione, come dimostra anche il caso in esame, sono appunto andate le indagini sulle aste on line.

Secondo stime ottimistiche l'85% dei venditori su aste elettroniche non rilascia alcun documento fiscale. La Guardia di Finanza e l'Agenzia delle Entrate hanno dunque già avviato, in questi ultimi anni, una serie di indagini, per scovare i falsi venditori occasionali, che dovrebbero iscriversi come venditori professionali, aprire un account business e dichiarare al fisco le somme percepite.

Il “trucco”, in sostanza, è iscriversi come venditori occasionali, mentre in realtà viene posta in essere una vera e propria rivendita professionale (magari di materiale proveniente da frodi carosello estere).

La stessa E-bay, a seguito dell'avvio di tali indagini, ha provveduto peraltro ad inviare una e-mail a quegli utenti che hanno guadagnato cifre dai mille euro in su: nel messaggio si legge che i gestori del sito hanno ricevuto dalla Guardia di Finanza una richiesta di informazioni relativamente agli utenti residenti in Italia a cui eBay ha emesso fatture annue superiori a 1.000 euro. Si precisa anche che i suddetti utenti devono aver venduto cinque o più oggetti nel corso di ogni anno.

I dati così consegnati sono: Nome e Cognome, Ragione Sociale (per gli account business) ID utente, Indirizzo, Recapito telefonico, Indirizzo e-mail, Codice Fiscale, Estratto degli importi fatturati da eBay superiori ad euro 1.000,00 annui e numero di oggetti venduti per anno, se maggiore o uguale a 5.

La condivisione dei dati personali con le forze di polizia o altri funzionari di pubblica autorità è prevista peraltro dalle Regole sulla privacy della società. E quando le transazioni superano una certa soglia, il venditore non è quindi più considerato occasionale, ma professionale, ed è pertanto soggetto alle leggi fiscali domestiche, deve aprire la partita Iva e deve pagare le imposte sulla parte di guadagno ottenuta.

La prestazione meramente occasionale, invece, rientra nei redditi diversi ed è esclusa dal campo di applicazione dell'IVA ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. n. 633/1972 (carenza del presupposto soggettivo) e dall'IRAP. Solo però nel caso in cui le attività siano svolte effettivamente in modo occasionale (ovvero in modo saltuario e non professionale), senza vincolo di subordinazione e senza organizzazione di mezzi, i guadagni rientrano nella categoria dei redditi diversi.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6853 del 8 aprile 2016, ha peraltro, a tal proposito, già chiarito i presupposti di commercialità delle attività imprenditoriali, distinguendo tra profili civilistici e fiscali.

Nel caso di specie, si trattava di avvisi di accertamento emessi per IVA relativa agli anni 1994 e 1995, ai sensi dell'art. 55 del d.P.R. n. 633/1972, sulla base di Pvc della Guardia di finanza, nel quale era stato rilevato che il contribuente, in occasione di numerose aste, aveva acquistato oggetti preziosi per un importo complessivo di circa £. 700.000.000, poi rivenduti, con conseguente contestazione di svolgimento di attività abituale d'impresa, ex art. 4 del d.P.R. n. 633/1972, i cui ricavi erano quindi soggetti ad IVA.

Il giudice d'appello aveva ritenuto che le operazioni di acquisto di oggetti preziosi, complessivamente svoltesi nell'arco di nove mesi, erano avvenute per un periodo di tempo limitato, con la conseguenza che l'ipotizzata attività di commercio non era stata esercitata in modo abituale e continuativo, né, peraltro, l'Ufficio, ad avviso dei giudici di merito, aveva individuato alcun elemento a dimostrazione di una sia pur minima organizzazione di mezzi e persone, necessaria per la gestione e la vendita di un così consistente quantitativo di merce.

L'Agenzia delle Entrate ricorreva allora davanti alla Suprema Corte, formulando il seguente quesito: se "sono da considerare effettuate nell'esercizio di impresa commerciale, nel senso tributaristico di tale nozione, e dunque imponibili le operazioni effettuate anche senza l'ausilio di una struttura organizzativa, purché l'attività commerciale venga svolta in maniera abituale e professionale, con ciò intendendosi escludere unicamente gli atti isolati, ben potendo un progetto protratto per un tempo ragionevole, ancorché finalizzato, eventualmente, al compimento di un'unica operazione speculativa, integrare attività d'impresa".

Il motivo di impugnazione, secondo i giudici di legittimità, era fondato, dato che la nozione tributaristica dell'esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, in quanto l'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 633/1972, in tema di IVA, così come l'analogo art. 55, comma 1, del TUIR, intende come tale "l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva", delle attività indicate dall'art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell'impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l'attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva.

Quanto alla normativa comunitaria, evidenzia ancora la Corte, la nozione di "soggetto passivo" viene definita in relazione a quella di "attività economica", la quale, a norma dell'art. 4, paragrafo 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, comprende ogni operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi "un certo carattere di stabilità".

L'espressione "esercizio per professione abituale" dell'attività va intesa, quindi, più semplicemente, come esercizio dell'attività in via abituale, cioè non meramente occasionale, occorrendo, cioè, che l'attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità.

Osservazioni

Le prestazioni occasionali devono, quindi, essere caratterizzate dalla loro essenza sporadica, episodica, non professionale, minima e non organizzata, laddove, ai fini fiscali, per occasionalità si intende l'attività che non rientra nell'esercizio dell'arte o professione svolta dallo stesso soggetto.

Ciò che rileva, quindi, non è tanto la definizione di venditore privato quanto quella di venditore occasionale.

L'occasionale del web è, ad esempio, colui che vende un proprio bene (lo scooter, l'automobile o un qualsiasi altro oggetto). Tale attività non richiede ovviamente il carattere professionale o l'organizzazione. Questa è di semplice dimostrazione nel caso di chi vuol vendere, ad esempio, una vecchia collezione di LP.

Dimostrare, invece, l'occasionalità quando il processo di cessione diventa un fatto sistematico diventa più arduo.

Principalmente, in questi casi, si tratta di ditte individuali che hanno scelto la popolare casa d'aste online per vendere i propri oggetti. E, in alcuni casi, i titolari contravvengono integralmente all'obbligo di tenere scritture contabili.
Insomma, si tratta di evasione totale e di sottofatturazione.

In qualunque sito di aste elettroniche, di qualunque nazione, ci sono numerose persone che fanno delle vendita on line un vero e proprio secondo lavoro, se non addirittura talvolta il primo. In Inghilterra l'Amministrazione fiscale, per contrastare tale fenomeno, si è addirittura dotata di un software per controllare le transazioni e i venditori sospetti.

Sui siti di aste elettroniche, in conclusione, chiunque ha la possibilità di vendere i propri oggetti al miglior offerente, pagando una commissione, senza incorrere in alcun obbligo fiscale.

E questa è un'opportunità che il web dà a chi abbia una tale esigenza.

Quando le transazioni superano una certa soglia, il venditore, però, come detto, non è più considerato occasionale, ma professionale.

E un serio controllo su tali fattispecie evasive è fondamentale al fine di non far diventare il paradiso virtuale un vero e proprio paradiso fiscale.

Nell'ambito di tali controlli, ad esempio, la Guardia di Finanza ha arrestato un uomo residente a Gorizia, colpevole di aver evaso le tasse, anzi, di non dichiarare proprio alcun reddito. Un evasore totale.

In realtà, come hanno scoperto le Fiamme Gialle, l'uomo mostrava un tenore di vita piuttosto elevato e aveva acquistato un'automobile da più di 41 mila euro e un'abitazione da 110 mila euro.

Da dove provenivano tutti quei soldi?

Dalle vendite che l'uomo realizzava su siti d'aste on line, dove si era iscritto come venditore occasionale, mentre in realtà aveva dato luogo a una vera e propria rivendita professionale di cellulari, tra l'altro contraffatti e provenienti dall'estero.

L'uomo aveva così guadagnato circa 600.000 euro grazie a oltre 26.000 transazioni effettuate on line, non dichiarando nulla alla dogana e vendendo il tutto come venditore occasionale.

In un altro caso era di un milione e trecentomila euro il reddito non dichiarato (con anche un'evasione IVA di circa 100.000 euro), riscontrato a seguito di accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza di Ventimiglia, relativamente a un giro di vendite di oggetti di varia natura, effettuato per via telematica: oggetti hi-tech e accessori per telefonia mobile, ma anche opere d'arte e antiquariato.

Visto il crescere esponenziale del fenomeno negli ultimi anni, risorse importanti sottratte all'erario.

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