La S.C. sugli incerti “confini” del cd. giudicato implicito su questioni processuali
11 Gennaio 2019
Massima
La Corte di Cassazione può rilevare d'ufficio l'inammissibilità del ricorso di primo grado, sebbene nei gradi precedenti il ricorso sia stato deciso sul merito, non formandosi su tale questione giudicato implicito in difetto di impugnazione e potendo la stessa, di conseguenza, essere fatta valere direttamente quale motivo di ricorso per Cassazione. Il caso
Nel giudizio di primo grado, il contribuente impugnava una cartella esattoriale emessa per il recupero di omessi versamenti IVA ed il ricorso era accolto parzialmente solo con riferimento alle sanzioni irrogate. Era quindi interposto appello da parte del medesimo contribuente che veniva rigettato nel merito. Proponeva ricorso per Cassazione l'Agenzia per le Entrate deducendo, per la prima volta, l'inammissibilità del ricorso di primo per violazione dell'art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992, essendo lo stesso stato depositato oltre il termine previsto da tale disposizione normativa.
La questione
La questione processuale posta all'attenzione della Corte di legittimità attiene alla possibilità di considerare l'inammissibilità del ricorso di primo grado ove pure lo stesso sia stato deciso nel merito, nonostante l'evoluzione giurisprudenziale sul principio del cd. giudicato implicito su questioni processuali. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, sull'assunto, puntualmente esplicitato in motivazione, afferente l'omessa formazione del giudicato implicito nella fattispecie concreta. A sostegno della soluzione, la Corte di legittimità richiama, in primo luogo, in termini generali, la propria giurisprudenza pregressa per la quale il potere di controllo delle nullità, non sanabili o non sanate, esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall'art. 111 della Costituzione, allorché si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio ovvero riconducibili a carenza assoluta di potestas iudicandi - come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell'azione, la decadenza sostanziale dall'azione per il decorso di termini previsti dalla legge ed, in sostanza, in tutti i casi nei quali si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, poiché si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26019).
La S.C. si confronta, quindi, espressamente con la spinosa questione della portata del cd. giudicato implicito, non potendosi trascurare, a riguardo, l'assunto, ormai consolidato nella giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione, in una lettura costituzionalmente orientata ma di fatto “abrogativa” dell'art. 37 c.p.c., per il quale, se il giudice ha deciso nel merito, deve presupporsi che abbia risolto in senso affermativo, sebbene implicito, la questione inerente la sussistenza della propria giurisdizione, sicché, in difetto di impugnazione, su detta questione si forma il giudicato, con conseguente impossibilità, per lo stesso giudice, di rilevarla d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (tale filone giurisprudenziale è stato inaugurato da Cass. Civ., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883).
Ciò posto, la pronuncia in esame osserva che nella fattispecie processuale considerata dalla stessa non si è, invece, formato giudicato implicito che “formandosi sulle questioni e sugli accertamenti che costituiscono il presupposto logico indispensabile di una questione o di un accertamento sul quale si sia formato un giudicato esplicito, non è infatti configurabile in relazione alle questioni pregiudiziali all'esame del merito ovvero a quelle concernenti la proponibilità dell'azione quando, intervenuta la decisione sul merito della domanda, la parte soccombente abbia proposto impugnazione relativamente alla sola (o a tutte le) statuizioni di merito in essa contenute, in quanto detta impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito su almeno una questione o un accertamento di merito, che costituiscono l'indispensabile presupposto del giudicato implicito”. Osservazioni
La questione esaminata e risolta nel senso indicato dalla pronuncia in rassegna è particolarmente delicata e non appare, in realtà, oggetto di soluzioni univoche all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità.
Invero, la decisione è coerente con altro rilevante precedente della Sezione Tributaria che richiamando ampiamente, in analoga fattispecie, i medesimi principi ripercorsi nella motivazione della stessa sulla portata del giudicato implicito aveva concluso nel senso che il principio giurisprudenziale del giudicato implicito sulla giurisdizione, di cui all'art. 37 c.p.c., non è estensibile al di fuori dei casi relativi all'eccezione ed al rilievo del difetto di giurisdizione. Nella delineata prospettiva, si era quindi affermato che il rilievo di un motivo di inammissibilità del ricorso introduttivo, omesso da parte omesso dai giudici di primo grado e di appello, può e deve essere compiuto in sede di legittimità, essendo la Corte dotata di poteri (anche d'ufficio) in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere proposto o proseguito ex art. 382, comma 3, c.p.c., con conseguente cassazione senza rinvio della decisione impugnata (Cass. civ., Sez. trib., 29 aprile 2009, n. 10027).
Non può peraltro trascurarsi che si contrappone a questo altro indirizzo giurisprudenziale che estende la portata del giudicato implicito, al punto da ritenere che l'esame in sede di impugnazione di questioni pregiudiziali o preliminari, rilevabili d'ufficio, è precluso dalla pronuncia che, nel provvedere sul merito della domanda, abbia necessariamente statuito per implicito anche su questioni mai sollevate in quella sede dalla parte interessata e, dunque, sintomo di un comportamento incompatibile con la volontà di farle valere (cfr. Cass., Sez. T, 4 dicembre 2009, n. 25573).
I soli precedenti ora richiamati consentono di comprendere che la complessità della problematica derivante dal leading case scaturito dalla pronuncia n. 24483/2018 non ha, nonostante il tempo trascorso, condotto a risposte univoche nella giurisprudenza di legittimità, in assenza di un auspicabile intervento del legislatore in una materia, come quella processuale, che rende particolarmente intollerabile una “geometria variabile” nella tutela giurisdizionale e nei presupposti per l'accesso alla stessa.
La questione di fondo, a nostro sommesso parere, è se portare alle logiche conseguenze il ragionamento seguito dalla predetta decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e quindi ritenere che, intervenuta una pronuncia sul merito, ove la stessa non sia impugnata, il rilievo della stessa in ogni stato e grado del giudizio sia precluso dalla formazione del giudicato implicito ovvero se sia opportuno un generale ripensamento di quel ragionamento, che riguardi le stesse questioni pregiudiziali di giurisdizione, considerando che il principio di ragionevole durata del processo che va peraltro attentamente declinato insieme agli altri principi, talora ancor più rilevanti, dell'equo processo. |