Il condomino che rinuncia all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento paga il c.d. consumo involontario
05 Febbraio 2019
Massima
Il distacco del condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento è legittima e ordinaria prerogativa del partecipante alla comunione, laddove essa non comporti né aggravio di spese per coloro che continuano a fruirne, né squilibri termici per l'erogazione del servizio. La delibera assembleare che, non sussistendo le indicate condizioni, opponga divieto, è nulla. Il condomino che si è distaccato dall'impianto centralizzato di riscaldamento deve contribuire alle spese di esercizio solo in relazione ai c.d. consumi involontari (quota di inefficienza dell'impianto) poiché, diversamente, vi sarebbe un incremento dei costi sostenuti dagli altri condomini. Il caso
Un condomino, proprietario di un appartamento situato al piano attico, che si era distaccato dall'impianto centralizzato di riscaldamento negli anni '80, aveva presentato al condominio due perizie di parte, dalle quali risultava che da tale intervento non erano derivati danni al funzionamento dell'impianto né squilibri economici nei confronti dei restanti condomini che continuavano ad usufruire del servizio comune. Malgrado ciò l'ente condominiale, nel corso degli anni, era rimasto inerte rispetto alle richieste del condomino in merito ad una presa d'atto dell'avvenuto distacco. A fronte di tale inerzia, il condomino impugnava due delibere assembleari, entrambi aventi ad oggetto la ripartizione degli oneri di riscaldamento, i cui costi di esercizio erano stati posti anche a suo carico. Con la prima delibera, tra l'altro, l'assemblea si era riservata di eseguire, (dopo 35 anni) gli accertamenti per verificare che il distacco fosse avvenuto nel rispetto delle norme di legge. Con la domanda, quindi, veniva chiesto l'annullamento delle delibere a fronte del diritto esercitato dal condomino e previo accertamento della legittimità e correttezza dell'intervento effettuato. Riuniti i due procedimenti il Tribunale accoglieva le domande. La questione
Nel caso in esame, si sono poste più questioni. Da un lato, è stato nuovamente esaminato il tema, certamente non nuovo, concernente il diritto del condomino di rinunciare unilateralmente al servizio centralizzato di riscaldamento mediante il distacco del proprio impianto da quello comune, purché nel rispetto dei limiti ora sanciti dalla legge con la modifica dell'art. 1118 c.c. Per altro verso, è stato chiarito quale debba essere il comportamento del condominio che, a fronte di presentazione di consulenza di parte in merito alla fattibilità dell'intervento e ai suoi effetti collaterali, non si può esimere dal produrre una contro-perizia. Da ultimo, il Tribunale, con riferimento alle spese alle quali il condomino che si è distaccato dall'impianto comune è tenuto a partecipare, ha posto l'attenzione sui c.d. consumi involontari. Le soluzioni giuridiche
La doglianza, nel suo complesso, è stata ritenuta fondata dal Tribunale sulla base sia della novella legislativa, sia del costante orientamento giurisprudenziale consolidatosi negli anni. In via generale il Giudice di primo grado ha ribadito che la rinuncia unilaterale del singolocondomino al riscaldamento condominiale, mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell'impianto comune, èuna prerogativa del partecipante alla comunione. Pertanto, è nulla la delibera assembleare che, sussistendo i presupposti di legge, vi opponga diniego (Cass. civ., sez. un, 7 marzo 2005, n. 4806). Altrettanto pacifico che sul condomino distaccatosi gravi l'onere contributivo per le spese concernenti la conservazione dell'impianto, rimanendo lo stesso escluso dagli esborsi inerenti all'utilizzo del servizio comune, tranne nel caso in cui il condomino tragga un vantaggio dalla perdurante fruizione, da parte degli altri condomini, del servizio oppure nel caso in cui vi sia una norma regolamentare che disponga in tal senso (Cass. civ., II, 29 marzo 2007, n. 7708). In tal caso, infatti, il Tribunale ha stabilito che ad un eventuale beneficio di cui il condomino possa continuare a godere anche dopo il distacco deve corrispondere un quid in termine di partecipazione agli oneri, secondo il principio nemo locupetari potest contenuto nell'art. 2041 c.c. Sul punto, inoltre, ha affermato il giudicante che le spese di esercizio devono essere poste a carico del condomino solo in relazione ai c.d. consumi involontari, da individuarsi nella quota di inefficienza dell'impianto riconducibile a due variabili: da un lato, il fatto che il condomino, che si è distaccato dall'impianto, si avvantaggia della dispersione del calore erogato nelle unità contigue e, dall'altro, la circostanza che la messa ed il mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato comporta l'immissione di acqua calda non solo nei tratti di tubazioni di pertinenza esclusiva e nei radiatori, ma anche nelle tubazioni condominiali. Nella decisione, poi, con riferimento alla fase preliminare rispetto all'esecuzione dell'intervento, correttamente il Tribunale ha stabilito che il condominio si deve attivare se vuole neutralizzare le prove portate dal condomino a dimostrazione che il distacco (effettuato o da effettuare) dall'impianto centralizzato di riscaldamento non viola i presupposti di legge. E questo può avvenire solo tramite una relazione di parte che dimostri il contrario. Osservazioni
Tra le questioni affrontate dal Tribunale, vale la pena di porre l'attenzione su due di esse: gli effetti dell'inerzia del condominio nel riscontrare la perizia di parte del condomino che asseveri la regolarità del distacco dall'impianto centralizzato, e l'obbligo di questo di contribuire, nell'àmbito delle spese di esercizio, al pagamento della sola quota del consumo involontario, definito dalla giurisprudenza come il fattore che determina quei costi non dipendenti dalla volontà del singolo condomino che, in caso di distacco, provocherebbe un aggravio per i restanti condomini rimasti allacciati (Trib. Firenze 19 febbraio 2015, n. 535). La circostanza che il distacco del condomino dall'impianto centralizzato sia stato effettuato negli anni '80 e che per circa trentacinque anni l'assemblea sia stata del tutto assente nel contraddire le risultanze delle perizie portate dal condomino, ha sicuramente giocato un ruolo determinante nella decisione in esame. Infatti, anche se nel caso di specie non si può parlare di silenzio-assenso, nella sentenza non poteva non prendersi atto del fatto che non solo l'assemblea non aveva dato corso ai richiesti accertamenti, ma anche che il condominio, nella sua costituzione in giudizio, non aveva articolato riguardo alle perizie di parte alcuna specifica contestazione. Per quanto concerne, invece, la partecipazione del condomino, che si sia dotato di impianto autonomo di riscaldamento, alla spesa - anche se minima - per un beneficio indiretto che egli possa trarre dai circostanti appartamenti, va detto che altri giudici di merito hanno sposato tale orientamento. È stato, infatti, osservato, (Trib. Roma 10 giugno 2014, n. 12608) che anche l'appartamento che si sia distaccato dall'impianto comune ne riceve un parziale, anche se minimo, vantaggio. Si pensi - come argomentato dal Tribunale capitolino - agli appartamenti posti in posizione intermedia tra il primo e l'ultimo piano ovvero a quelli situati al piano terra, tutti attraversati dalle tubazioni di distribuzione del calore e che godono, in ogni caso, di un relativo beneficio (se non altro per il riscaldamento che, pur se in misura ridotta, si estende ai muri perimetrali). Certamente, in concreto, non è di facile accertamento la verifica e la quantificazione della percentuale da porre a carico del condomino che si sia distaccato e, ove tali principi dovessero in futuro trovare conferma, appare evidente che la posizione dell'appartamento interessato in seno al condominio dovrebbe assumere rilevanza determinante. Tornando al caso di specie, infatti, l'immobile interessato era situato al piano attico, per cui l'eventuale apporto calorico sul quale calcolare una piccola quota di contribuzione alle spese di gestione non poteva essere certamente di rilevante entità, considerato che tali appartamenti, proprio per la loro posizione sono più freddi rispetto alle altre unità abitative. In tale quadro giurisprudenziale, tuttavia, sia consentito esprimere dubbi in merito a tale orientamento che si fonda anche - come affermato nella decisione in commento - sul richiamo all'art. 2041 c.c., che disciplina l'azione di arricchimento senza causa. Infatti la particolarità del caso e, in via generale, l'entità sicuramente ridotta del beneficio goduto dal condomino distaccatosi dall'impianto centralizzato, non sembra possa generare quello squilibrio economico posto come elemento oggettivo della norma richiamata. L'azione, invece, può essere legittimamente esperita a seguito di sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall'art. 69 disp. att. c.c., la cui natura costitutiva, non ha efficacia retroattiva e non consente, pertanto, di ricalcolare la ripartizione delle spese pregresse tra i condomini (Cass. civ, sez. II, 24 febbraio 2017, n. 4844).
Ribaldone, Il regolamento condominiale di natura contrattuale ed il distacco dall'impianto centralizzato, in Immob. & proprietà., 2017, 493; Capponi, Sulla delibera che autorizza il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, in Arch. loc. e cond., 2017, 75; Nucera, Distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento e rapporto tra 2º e 4º comma dell'art. 1118 c.c., in Arch. loc. e cond., 2015, 271; Gomitoni, Il “diritto” del condomino al distacco dall'impianto di riscaldamento dopo la riforma, in Immob. & proprietà, 2013, 224. |