Contratto di locazione concluso con la P.A.: tra rinnovazione necessariamente espressa e silenzio “significativo”

Gian Andrea Chiesi
08 Febbraio 2019

Il tema della forma richiesta per la stipulazione di validi contratti ad opera della P.A. si intreccia con quello, strettamente connesso, della forma richiesta per la rinnovazione del vincolo e, in specie per ciò che concerne i contratti di durata, della possibilità di un loro rinnovo tacito...
Massima

In materia di contratti di locazione conclusi dalla P.A., la relativa stipulazione deve necessariamente avvenire in forma scritta a pena di nullità e, conseguentemente, deve escludersi la possibilità di una rinnovazione tacita per facta concludentia, posto che, altrimenti, si perverrebbe all'effetto di eludere il requisito formale suddetto. Tuttavia, quando la rinnovazione dell'originario contratto di locazione immobiliare stipulato in forma scritta sia prevista da apposita clausola contrattuale per un tempo predeterminato e sia subordinata al mancato invio di una disdetta del contratto entro un termine dalle parti prestabilito, la rinnovazione tacita per l'omesso invio di tale disdetta deve reputarsi ammissibile, in quanto la previsione della clausola, da un lato, non elude la necessità della forma scritta, e, dall'altro, attesa la predeterminazione della durata del periodo di rinnovazione, consente agli organi della P.A., deputati alla valutazione degli impegni di spesa e dei vincoli di bilancio correlati all'eventuale rinnovazione, di considerare l'opportunità, o meno, di avvalersi della disdetta.

Il caso

A seguito della conclusione, con Tizio, di un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, l'Amministrazione conduttrice Alfa (nella specie, un Ministero) comunica al locatore formale recesso dal contratto medesimo; ciononostante, (a) provvede alla riconsegna solo parziale del compendio immobiliare e (b) rispetto all'occupazione della porzione residua provvede al pagamento, in favore del locatore, di una “somma pari al canone pagato nell'ultimo anno di vigenza della locazione" (così, nell'esposizione dei fatti, la sentenza in esame).

Inutilmente richiesta alla P.A., in conseguenza dell'esercitato recesso, la restituzione dell'intero compendio immobiliare, Tizio agisce, quindi, in giudizio, intimando sfratto per finita locazione chiedendo altresì, in subordine ed in caso di opposizione, accertarsi l'avvenuta risoluzione del contratto, con condanna dell'Amministrazione al rilascio della consistenza immobiliare ancora detenuta.

Nel costituirsi, il Ministero si oppone all'intimato sfratto, dando atto che effettivamente il contratto di locazione era scaduto, ma sostenendo - per quanto in questa sede rileva - che, ciononostante, dalla data di cessazione degli effetti del negozio era stata comunque corrisposta agli aventi diritto una somma pari al canone pagato nell'ultimo anno di vigenza della locazione, con il pieno consenso della parte locatrice, di talché doveva ritenersi tacitamente rinnovato.

Denegata la convalida e concessa, tuttavia, l'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c., il Tribunale reggino accoglie, infine, la domanda del locatore, dichiarando risolto il contratto alla data di produzione degli effetti del recesso comunicato al locatore dalla P.A. conduttrice.

La questione

La questione in esame è la seguente: è ammissibile una rinnovazione o prosecuzione tacita del rapporto di locazione di cui sia parte Pubblica Amministrazione, una volta cessati gli effetti del contratto originario?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, gli organi e gli enti dello Stato-apparato sono dotati, oltre che della speciale capacità di diritto pubblico, anche della comune autonomia e capacità negoziale (giuridica, prima ancora che di agire) di diritto comune appartenente a tutti gli altri soggetti: sicché - detto in altri termini - le amministrazioni, gli enti pubblici ed i loro organi sono legittimati non solo ad emettere atti e provvedimenti amministrativi, ma anche a concludere atti di diritto comune, alla stregua delle regole contenute nel codice civile e in altre leggi.

Allorché agisca iure privatorum, tuttavia, la P.A. è soggetta ad alcune penetranti limitazioni riassumibili nel principio espresso da Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2016, n. 20033, per cui i requisiti di validità dei contratti posti in essere dalla P.A. - il cui difetto esclude la sussistenza stessa di un contratto, configurandosi, invero, un comportamento di fatto, privo di rilievi di sorta sul piano giuridico per l'assenza in radice dell'accordo tra le parti, richiesto dall'art. 1321 c.c., anche per la costituzione di un contratto invalido e non opponibile ai terzi - attengono essenzialmente alla manifestazione della volontà ed alla forma: la prima deve provenire dall'organo al quale è attribuita la legale rappresentanza (previe eventuali delibere di altri organi), mentre la forma deve essere, a pena di nullità, scritta, al fine precipuo di consentire i controlli cui l'azione amministrativa è sempre soggetta.

Quanto, specificamente, al requisito della forma, costituisce ius receptum il principio per cui i contratti conclusi dalla P.A. devono essere consacrati in un unico documento, ciò che esclude il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l'ipotesi eccezionale, prevista ex lege, di contratti conclusi con ditte commerciali, v. Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2017, n. 25631), mentre tale requisito di forma deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione - sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi - di un unico documento contrattuale il cui contenuto (Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2016, n. 12540). Del pari, non si ritiene sufficiente che la forma scritta investa la sola dichiarazione negoziale della Amministrazione né, ancora, che la conclusione del contratto avvenga per facta concludentia, con l'inizio dell'esecuzione della prestazione da parte del privato, attraverso l'invio della merce e delle fatture, secondo il modello dell'accettazione tacita previsto dall'art. 1327 c.c. (Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2015, n. 12316), né, infine, che l'esistenza del contratto debba trarsi da atti scritti (normalmente, fatture) “a valle”, donde risultino comportamenti attuativi di un accordo, “a monte”, solo verbale (Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2015, n. 5263).

È in tale peculiare contesto che si colloca, dunque, la pronunzia in commento, la quale indaga anzitutto il tema della compatibilità, con le prescrizioni di forma richieste dal r.d. n. 2240/1923, di una rinnovazione tacita dei contratti stipulati dalla P.A. e, più in particolare, dei contratti di locazione stipulati da quest'ultima: se, per quanto esposto, occorre che la volontà negoziale della P.A. risulti da un atto scritto va da sé - osserva il Tribunale - che «risulta assorbente, ai fini dell'accoglimento della domanda di rilascio formulata dal locatore, il dato che il contratto di locazione di cui si discute non è stato rinnovato espressamente per iscritto con la stipulazione di un nuovo contratto sin dalla prima scadenza contrattuale pattuita e che anzi in data 31 ottobre 2012 è stata inviata formale disdetta di detto contratto addirittura da parte dello stesso Ministero».

La soluzione si pone, invero, perfettamente in linea con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, per cui, essendo necessaria, ai fini della valida stipulazione dei contratti ad opera della P.A., la forma scritta, deve escludersi la possibilità di una loro rinnovazione tacita per facta concludentia, posto che, diversamente ragionando, si perverrebbe all'effetto di eludere, attraverso il meccanismo del rinnovo silente, il requisito formale suddetto (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2010, n. 8000): tanto, si badi, indipendentemente dall'eventuale protrarsi, per anni, di un mero comportamento che la persistenza di quel vincolo pure presupporrebbe (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2015, n. 22994).

Donde la conclusione, più nello specifico, per cui nei riguardi della P.A. non è radicalmente ipotizzabile, in relazione al disposto dell'art. 1597 c.c., la rinnovazione tacita del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1223), occorrendo, al contrario, la forma scritta anche per l'esternazione della volontà tesa a “proseguire” il rapporto negoziale giunto a scadenza.

Il Tribunale non manca di osservare, però, come il rigore interpretativo di cui si è detto patisca una deroga allorché la rinnovazione dell'originario contratto stipulato in forma scritta sia prevista - ma la circostanza comunque non è ricorrente nella specie - da apposita clausola negoziale e sia subordinata al mancato invio della disdetta del contratto entro un termine prestabilito: in simile ipotesi, infatti, la giurisprudenza di legittimità reputa ammissibile la rinnovazione tacita conseguente all'omesso invio della disdetta, in quanto la previsione contenuta all'interno di tale clausola, per un verso, non elude la necessità della forma scritta e, per altro, attesa la predeterminazione della durata del periodo di rinnovazione, consente agli organi della P.A. di considerare l'opportunità di disdire o meno nel termine contrattuale il contratto stesso (v., ex multis, Cass. civ., sez. VI/III, 21 agosto 2014, n. 18107).

Più nello specifico, poi, è da rimarcare positivamente il rilievo conferito dal giudice calabrese, quale ulteriore elemento da valorizzare per escludere la possibilità di configurare, nella specie, un tacito rinnovo del rapporto locatizio, all'inoltro, ad opera della P.A. conduttrice, del recesso dal contratto: ed infatti, la ricezione tempestiva di tale disdetta in ogni caso impedisce che possa ritenersi prorogato, per fatti concludenti, il contratto (scritto) cui essa afferisce atteso che, una volta verificatisi gli effetti del recesso, le parti possono porli nel nulla solo con un ulteriore atto avente natura contrattuale e che, nel caso della P.A. ancora una volta non solo deve rivestire forma scritta, ma deve essere adottato dall'organo legittimato a rappresentare l'ente ed a concludere, in suo nome e per suo conto, i contratti (così, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2017, n. 11231). Né, verificatisi gli effetti del recesso, assumono rilievo eventuali delibere dell'Ente che abbiano comunque disposto la proroga del vincolo negoziale, trattandosi di atti meramente interni, di natura preparatoria, inidonei ad impegnare l'ente (Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2008, n. 4532).

Osservazioni

Il rinnovo tacito del contratto di locazione, ampiamente valorizzato dalle leggi speciali relativamente alla prima scadenza contrattuale, trova un propria disciplina originaria nel codice civile del '42, all'art. 1597, comma 1, ai sensi del quale la locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata la disdetta a norma dell'articolo precedente. L'istituto ha, poi, acquisito sempre maggior importanza a seguito dell'introduzione, ad opera del legislatore speciale, di limiti legali di durata alle varie locazioni, in applicazione del principio, enunciato all'art. 1573 c.c. per cui non esistono, nel nostro ordinamento, vere e proprie locazioni a tempo indeterminato (v., ex mulits, Cass. civ., sez. III, 30 giugno 1978, n. 434).

Due appaiono, in particolare, gli elementi necessari per l'operatività dell'istituto: 1) un termine che sia scaduto; 2) un “comportamento” dal valore negoziale, imputabile a ciascuna delle parti. Se il primo requisito ha carattere oggettivo, non altrettanto è da dirsi con riferimento al secondo, la cui ricorrenza va invece accertata dal giudice di merito, sulla base di tutte le circostanze utili quali, ad esempio, la permanenza nell'immobile o il persistente pagamento del canone (argomentando da Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1995, n. 4171).

Concettualmente diversa dal “rinnovo” è, infine, la “proroga” contrattuale: mentre quest'ultima si limita al differimento del termine finale del rapporto negoziale, che rimane regolato dalla sua fonte convenzionale originaria, il rinnovo del contratto implica una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio dell'autonomia negoziale.

Guida all'approfondimento

Chiesi, L'attività contrattuale della pubblica amministrazione, in I contratti dello Stato e degli enti pubblici, 3/2002.

Provera, Locazioni, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1980.

Sommario