Forme per l’impugnazione di delibera condominiale e ripartizione delle spese dei balconi: due questioni sempre attuali
14 Febbraio 2019
Massima
A seguito della riforma della normativa condominiale (l. n. 220/2012), l'impugnativa ex art. 1137 c.c. va di regola promossa con atto di citazione, ma, laddove proposta con ricorso, non si verifica un'ipotesi di radicale inammissibilità dell'impugnativa e, in ossequio al generale principio di conservazione degli atti, il giudice è comunque tenuto ad emettere il decreto di comparizione delle parti ed a concedere il termine a comparire, in favore del condominio convenuto. La funzione propria delle ringhiere dei balconi è quella di protezione del calpestio, e ne è evidente la finalità a vantaggio della proprietà dei balconi stessi, perché le ringhiere consentono la fruibilità dei balconi che altrimenti sarebbe esclusa; da ciò consegue che le spese relative agli interventi devono essere sostenute dai proprietari dei balconi in proporzione ai rispettivi millesimi, tranne nel caso in cui le ringhiere assolvano ad una funzione decorativa Il caso
Un condomino (nella specie: il proprietario di un'autorimessa) aveva impugnato una delibera assembleare con la quale le spese concernenti i lavori di regolarizzazione dell'altezza delle ringhiere dei balconi erano state erroneamente poste a carico di tutti i condomini secondo i millesimi di proprietà, malgrado i balconi, non inclusi nell'elenco di cui all'art. 1117 c.c., non erano parte comune. Si costituiva il condominio eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità dell'impugnazione perché proposta con ricorso e non con atto di citazione come per legge. Il giudice monocratico, rigettata l'eccezione preliminare, nel merito accoglieva la domanda e dichiarava nulla la delibera. La questione
Il Tribunale è stato nuovamente chiamato a decidere questioni che hanno più volte interessato gli organi giurisdizionali. La prima è di carattere procedurale e si riferisce alla modalità con la quale si deve introdurre l'azione di annullamento della delibera assembleare. Evidentemente, anche se l'entrata in vigore della l. n. 220/2012 ha modificato l'art. 1137, comma 2, c.c. nella parte in cui dispone che contro le delibere assembleari si “può adire l'autorità giudiziaria” e non più “fare ricorso all'autorità”, la nuova formula continua a porre dei problemi interpretativi. La seconda questione è di carattere sostanziale ed attiene all'individuazione deicriteri da applicare per la ripartizione delle spese per interventi su beni che, non espressamente definiti comuni dall'art. 1117 c.c., potrebbero rientrare in tale categoria. Le soluzioni giuridiche
Nell'esaminare la questione pregiudiziale, il Tribunale ha aderito a quell'orientamento secondo il quale se l'impugnativa della delibera assembleare non viene introdotta con atto di citazione ma con ricorso il giudice, nell'ottica dell'economia processuale, deve applicare il principio di conservazione degli atti e procedere di conseguenza: emettere decreto di fissazione dell'udienza con l'avvertimento ai fini delle decadenze processuali e fissare i termini a comparire. Nel caso in esame, in particolare, si era verificato che il condominio, che aveva sollevato l'eccezione di inammissibilità, si era difeso nel merito ma senza chiedere la fissazione di una nuova udienza mancando, nel ricorso, sia l'avvertimento di cui n. 7) dell'art. 163 c.p.c., sia l'indicazione del termine a comparire, che è elemento essenziale dell'atto di citazione. Secondo il Tribunale, poiché è sul convenuto costituito che ricade l'onere di chiedere la fissazione della nuova udienza, la mancata richiesta determina la sanatoria dei vizi dell'atto introduttivo, tanto più che - come nel caso concreto - il giudicante nel decreto di fissazione di udienza aveva esso stesso inserito l'avvertimento ai sensi del citato art. 163 c.p.c., nonché fissato l'udienza con i termini a comparire. Anche nella decisione concernente i criteri di imputazione delle spese inerenti al rifacimento delle ringhiere dei balconi il Magistrato ha aderito alla costante giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14576; Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2003, n. 14076; Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2000, n. 637), secondo la quale i balconi di un edificio condominiale sono beni estranei alle parti comuni,trattandosi di entità non necessarie all'esistenza del fabbricato, né destinate all'uso o al servizio comune. Dei balconi, tuttavia, devono essere presi in considerazione i vari elementi che li costituiscono, come ad esempio il parapetto e la soletta che, ai fini della ripartizione delle spese, assumono rilevanza in relazione alle specifiche caratteristiche estetiche e decorative da loro svolte. Ad essi il Tribunale ha correttamente parificato le ringhiere dei balconi, la cui funzione è quella di protezione della superficie di calpestio a vantaggio della proprietà esclusiva dei balconi stessi in termine di affaccio e di sicurezza.
Osservazioni
Alcuni autori hanno definito la modifica apportata dal legislatore all'art. 1137, comma 2, c.c. un “eccesso di timidezza” ed effettivamente la sentenza oggetto di commento è la prova che, ancora dopo la novella del 2012, in alcuni casi l'azione di impugnativa delle delibere assembleari non viene incardinata con l'atto di citazione ma con il ricorso. Sotto il vigore del codice civile ante Riforma al termine ricorso era stato dato un significato strettamente tecnico, in quanto interpretato nel senso che si era voluta salvaguardare l'esigenza di risolvere sollecitamente le questioni inerenti la gestione del condominio rispetto a quelle attinenti alla materia della comunione (Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1997, n. 6205; Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 1988, n. 2081). Successivamente la giurisprudenza ha assunto una linea più morbida ed ha affermato che l'impugnazione della delibera dell'assemblea poteva avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione. Scegliendo questa via, tuttavia, si precisava che ai fini del rispetto del termine di cui all'art. 1137 c.c., era necessario tenere conto della data di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria, che avviene al momento dell'iscrizione a ruolo della causa (Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2006, n. 8440). Si è, quindi, giunti alla storica decisione della Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8491), che risulta essere una mediazione rispetto alle pregresse posizioni. Secondo la sentenza, infatti, le impugnazioni delle delibere dell'assemblea, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 c.p.c., vanno proposte con citazione, non disciplinando l'art. 1137 c.c. la forma di tali impugnazioni; possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l'atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall'art. 1137 citato. Con la riforma del 2013, si è affermato che il legislatore abbia recepito tale definitivo indirizzo ma, come emerge dalla lettura testuale del novellato art. 1137 c.c., il termine “ricorso” è stato eliminato e sostituito con l'espressione “adire l'autorità giudiziaria”, mentre non è stato espressamente previsto - come sarebbe stato opportuno - che la delibera assembleare deve essere impugnata esclusivamente con atto di citazione. E questo porta, inevitabilmente, a contrastanti soluzioni giurisprudenziali. A favore di una prevalenza assoluta dell'atto di citazione sul vecchio ricorso, si può evidenziare, da un lato, che nel nostro sistema processuale i casi in cui l'azione deve essere introdotta con un atto di ricorso sono limitati e, comunque, determinati dal legislatore stesso e, dall'altro, che l'azione di impugnativa delle delibere assembleari non rientra tra di essi. Tuttavia, resta il fatto che, soprattutto a fronte di delibere assembleari nulle (come nel caso deciso dal giudice capitolino), che possono essere impugnate in qualsiasi momento, anche tramite la riproposizione dell'azione a fronte di una dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la linea adottata dal Tribunale sia ancora più condivisibile. Né ci si può esimere dal rilevare che, al momento, non vi è ancora alcuna decisione della Corte su questo preciso aspetto e che non è improbabile che la questione venga nuovamente portata all'esame dei giudici di legittimità. Nulla quaestio, invece, sul merito della controversia concernente la ripartizione delle spese attinenti alle ringhiere, la cui funzione - come ben argomentato dal Tribunale - esula dall'àmbito del decoro architettonico, con l'eccezione che tali componenti in metallo, per lo specifico materiale, i fregi o le decorazioni di cui siano rivestite, per il loro particolare disegno, abbiano un ruolo anche nel caratterizzare, dal punto di vista estetico, la facciata dell'edificio (nel caso di specie, infatti, le ringhiere si presentavano come tubolari sottili, molto semplici, poco evidenti e prive di accessoria funzione decorativa). Pincini, Liti condominiali: a chi competono le spese di manutenzione e ristrutturazione dei balconi aggettanti, in www.filodiritto.com, 2016; Celeste, Le conseguenze processuali della impugnazione della delibera, in Immob. & proprietà, 2014, 175; Dolce, La forma è sostanza. La delibera si impugna con atto di citazione e non con ricorso, in Condominioweb.com, 2014; Meo, Ciao, ciao ricorso. Solo con atto di citazione si può impugnare la delibera assembleare, in Condominioweb.com, 2014; Meo, Condominio - Impugnazione della delibera assembleare: citazione o ricorso?, in www.dirittoegiustizia.it, 2011; D'apollo, Impugnazione della delibera assembleare: citazione o ricorso? in Il civilista, 2011, fasc. 6, 5; Capponi, Panoramica completa ed aggiornata della giurisprudenza in tema di ripartizione delle spese per i balconi, in Arch. loc. e cond., 2005, 625. |