Omesso versamento IVA: privilegiare il pagamento dei debiti da lavoro dipendente non integra forza maggiore
25 Febbraio 2019
Massima
Ai fini del reato di omesso versamento IVA, la decisione dell'imprenditore di garantire il pagamento dei crediti da lavoro dipendenti, omettendo il versamento dell'imposta sul valore aggiunto, è il risultato di una deliberata e consapevole scelta, non riconducibile alla causa di forza maggiore, difettando la necessità assoluta di violare la legge e l'imprevedibile e improvvisa insorgenza di una situazione di oggettiva mancanza di liquidità al momento dell'adempimento dell'obbligazione tributaria. Il caso
Nel caso sottoposto all'attenzione dei Giudici di legittimità, il legale rappresentante di una società era stato condannato per il reato previsto dall'art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000 poiché, a causa della situazione di crisi economica in cui versava la società, aveva privilegiato il pagamento degli emolumenti dei dipendenti, omettendo il versamento dell'IVA, oltre la soglia di punibilità. La Corte d'Appello, nel confermare la sentenza del Tribunale di Milano, aveva condannato il legale rappresentante alla pena di anni due di reclusione per il reato di omesso versamento dell'IVA.
Avverso la sentenza di secondo grado, la difesa aveva proposto ricorso per cassazione, rilevando essenzialmente il mancato riconoscimento della causa di forza maggiore di cui all'art. 45 c.p. riconducibile a una incolpevole impossibilità di effettuare il versamento di quanto dovuto a titolo di IVA, per mancanza di liquidità, nonché per la necessità di garantire il pagamento dei crediti da lavoro dipendente. La questione
La crisi economica degli ultimi anni ha acceso il dibattito sulla efficacia “scriminante” o “scusante” della mancanza di liquidità, con riferimento al reato di omesso versamento dell'IVA, previsto dall'art. 10-ter, D.lgs. n. 74/2000. Tale norma, nella versione attualmente vigente, punisce, a titolo di dolo generico, il mancato versamento dell'IVA, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila. In particolare, la giurisprudenza, in più occasioni, si è interrogata sulla possibile valenza della crisi di liquidità dell'impresa, in relazione al reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, quale causa di esclusione dell'elemento soggettivo.
Soluzioni giuridiche
La giurisprudenza di legittimità, dopo una iniziale riluttanza, ha finalmente ammesso che la crisi economica, che colpisce un'impresa può, in linea di principio, assumere valenza di esimente per il soggetto nei cui confronti incombe l'obbligo di versamento. In particolare, la mancanza di liquidità riveste tale carattere scriminante a condizione che il mancato adempimento delle obbligazioni tributarie sia la conseguenza di comprovati fatti non imputabili all'imprenditore e ai quali egli abbia tempestivamente tentato di porvi rimedio. Tale principio, nella pratica, ha difficilmente trovato applicazione. Il più delle volte, infatti, la Corte di Cassazione ha ritenuto insufficienti le prove allegate dal contribuente nei giudizi di merito in ordine a una oggettiva impossibilità di adempiere al pagamento del debito tributario, negando, con granitica fermezza, che la crisi di liquidità assuma rilievo con riferimento all'elemento soggettivo.
Diversamente orientata è apparsa la giurisprudenza di merito che, in alcuni casi, ha emesso sentenze di assoluzione in relazione ai reati di omesso versamento dovuto alla situazione di crisi di liquidità, affermando il condivisibile principio in base al quale la “mancanza assoluta di mezzi economici” e la “crisi acuta di liquidità dell'impresa” possono escludere la responsabilità penale per difetto dell'elemento psicologico del reato (G.I.P. Trib. Roma, 26 gennaio 2001; Corte Appello Trento, 27 febbraio 1987; Trib. di Campobasso, 24 gennaio 2017; Trib. di Brindisi, 12 gennaio 2017).
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, conferma l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, affermando che “la consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti […] e di pretemettere il versamento delle ritenute all'erario” integra il reato di omesso versamento dell'Iva, ai sensi dell'art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000. I Giudici di legittimità precisano che, essendo il reato di omesso versamento IVA punibile a titolo si dolo generico, deve ritenersi integrato dalla consapevole scelta del soggetto di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche allorquando il legale rappresentante, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti, pretermettendo il versamento dell'IVA.
In altri specifici termini, secondo la Corte, l'omesso versamento dell'IVA si traduce, tout court, in illecito penale del contribuente “a meno che questi non provi che, prima di omettere i pagamenti, abbia fatto ricorso a strumenti che abbiano impattato sul suo patrimonio personale, come l'aumento o la ricostituzione del capitale sociale dell'impresa, l'effettuazione di finanziamenti all'impresa stessa, la prestazione di personali garanzie a istituti di credito o banche perché finanzino la persona giuridica in difficoltà”.
Con la sentenza in commento, la Corte, nel confermare l'ormai consolidato orientamento, afferma che “non può, pertanto, rilevare un generico richiamo dell'imputato alla crisi finanziaria dell'impresa senza allegazioni circa tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà”.
In altri più specifici termini, affinché la mancanza di liquidità assuma rilievo, ai fini della esclusione della colpevolezza, è necessaria la prova che non sia stato altrimenti possibile, per il contribuente, reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.
Sulla base di tali premesse, la Corte ha escluso l'applicabilità della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. La consapevole scelta di privilegiare il pagamento degli emolumenti dei dipendenti, secondo la Corte, non è riconducibile all'adempimento di un dovere di cui alla citata norma. Al riguardo, la Corte precisa che l'ordine di preferenza, previsto ex lege nell'ambito delle procedure esecutive e fallimentari, con riferimento ai crediti da lavoro dipendente ai sensi dell'art. 2777 c.c. rispetto ai crediti erariali e contributivi di cui all'art. 2778 c.c., non è estensivamente applicabile “in contesti diversi ove (ancora) non opera il principio del par condicio creditorum”. L'art. 51 c.p., nel prevedere quale causa di giustificazione l'esercizio di un diritto e l'adempimento di un dovere è espressione del generale principio di non contraddizione, in forza del quale, precisa la Corte, “un fatto costituente esercizio di una facoltà […] non [può] essere qualificato come reato posto che uno stesso ordinamento non può […] ad un tempo vietare e, al tempo stesso permettere o […] imporre una stessa condotta”. Ad analoghe conclusioni giunge la Corte, con riferimento alla invocata applicabilità, al caso di specie, della causa di forza maggiore di cui all'art. 45 c.p.
Il pagamento degli stipendi in luogo del debito erariale, dimostra inequivocabilmente, secondo la Corte, l'esistenza di un margine di scelta che di per sé non consente di ritenere integrata la forza maggiore perché inidoneo a escludere la “suitas” della condotta. La forza maggiore in grado di escludere il dolo, intesa qualefatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, tanto da rendere inevitabile il verificarsi dell'evento,deve essere valutata al momento della consumazione del reato e non può essere “retroagita”, né può essere identificata con fattori che incidono solo nella dissociazione dell'autore della condotta dalle conseguenze che ne derivano. Ne consegue, ribadiscono i Giudici, che, ai fini della esclusione della punibilità non può invocarsi la causa di forza maggiore, allorquando l'omesso versamento penalmente rilevante sia stato cagionato dal mancato accantonamento delle provviste per il pagamento dell'IVA, conseguente alla consapevole scelta imprenditoriale, in situazione di crisi economica, di privilegiare i crediti da lavoro dipendente in luogo dei debiti erariali. Osservazioni
La sentenza in commento non ha il merito di aver affermato principi innovativi sulla rilevanza della crisi economica quale causa scriminante nei reati di omesso versamento IVA. La Corte di Cassazione conferma la costante giurisprudenza che, negli ultimi anni, ha riconosciuto che la situazione di mancanza di liquidità può astrattamente assumere valenza di esimente per l'imprenditore inadempiente. Tale efficacia esimente è tuttavia subordinata al verificarsi di comprovati imprevedibili fatti non imputabili al soggetto che omette il versamento. Il rigoroso onore probatorio richiesto ai fini del riconoscimento dell'efficacia scriminate ha, di fatto, raramente superato il vaglio dei Giudici di legittimità, i quali in ordine alla valenza della crisi economica quale causa di forza maggiore, hanno il più delle volte escluso, quando la questione è stata posta, che le difficoltà economiche possano integrare forza maggiore. |