Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: l'istituzione di un trust non salva dalla responsabilità penale

Francesco Rubino
01 Marzo 2019

Risponde del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, il soggetto che, dopo aver ricevuto la notifica di cartelle di pagamento, istituisca un trust familiare, conservando il potere di disporre di tali beni senza limitazioni, potendo desumersi lo scopo di frodare il fisco dal fatto che il trust è stato istituito in epoca successiva alla notificazione delle predette cartelle.
Massima

Risponde del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, il soggetto che, dopo aver ricevuto la notifica di cartelle di pagamento, istituisca un trust familiare, conservando il potere di disporre di tali beni senza limitazioni, potendo desumersi lo scopo di frodare il fisco dal fatto che il trust è stato istituito in epoca successiva alla notificazione delle predette cartelle.

Fonte: Ilpenalista.it

Il caso

Con sentenza del 26 gennaio 2018 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza emessa in data 12 febbraio 2016 dal Tribunale della medesima città, con la quale l'imputato veniva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione per il reato di cui all'art. 11 comma 1 D.Lgs. n. 74/2000, perché, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto dovute all'erario per un ammontare superiore alla soglia di € 50.000,00 fissata dalla norma, in un momento successivo alla notificazione delle relative cartelle di pagamento, aveva istituito un trust, apparentemente destinato a garantire un reddito annuo alle figlie, separando dal proprio patrimonio cinque beni immobili allo stesso intestati e prevedendone il successivo ritorno alla scadenza del trust stesso, pur tuttavia mantenendo illimitato ogni diritto e potere dispositivo sui beni stessi.

L'imputato ha impugnato la predetta sentenza avanti la Corte di Cassazione eccependo quale unico motivo, ai sensi dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p., l'erronea applicazione degli artt. 11 comma 1 del D.Lgs. 74/2000, 43 c.p. e il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Sebbene la natura fraudolenta (o comunque simulata) attribuita dalla Corte d'appello al trust istituito dall'imputato non fosse stata contestata dal ricorrente, quest'ultimo ha devoluto alla Corte di Cassazione la sola questione inerente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, ossia il dolo specifico consistente nell'impedire all'erario il recupero di somme contestate.

In particolare, l'imputato ha lamentato il fatto che la Corte d'appello, confondendo i predetti due elementi del reato, fosse giunta ad affermare la sussistenza del dolo specifico richiesto, desumendo l'intenzione di evadere le imposte dalla sola natura simulata del negozio, requisito che, invece, sarebbe idoneo ad integrare unicamente l'elemento oggettivo della fattispecie prevista dall'art. 11 D.lgs. n. 74/2000.

A dimostrazione del fatto che il giudice di secondo grado avesse errato nel ritenere esistente nel caso di specie il dolo specifico richiesto per la configurazione del reato contestato, il ricorrente ha addotto due circostanze che avrebbero consentito, secondo il suo punto di vista, di addivenire ad una conclusione contraria.

In primo luogo, la Corte d'appello non avrebbe debitamente tenuto in considerazione il fatto che l'imputato fosse stato attinto, nell'ambito di diverso procedimento penale, da una sentenza di condanna per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.), integrato proprio dalla costituzione del trust nell'obiettivo – dichiarato dal ricorrente - di sottrarsi al pagamento dei debiti esistenti in capo all'imputato nei confronti di creditori privati. Tale circostanza, avrebbe consentito, secondo il ricorrente, di escludere che la simulazione avesse come fine specifico l'impedimento dell'esecuzione erariale, e che fosse invero unicamente diretta difesa del proprio patrimonio dalle pretese private.

In secondo luogo, l'imputato ha evidenziato la sussistenza di una serie di pagamenti effettuati in favore dell'erario da parte del ricorrente, sia prima che dopo la costituzione del trust, che sarebbero stati idonei a far ritenere dai giudici di merito che l'intenzione dello stesso fosse invece indirizzata ad onorare il proprio debito nei confronti dell'erario.

La questione

La questione giuridica sottesa alla pronuncia in commento attiene all'elemento soggettivo richiesto per la configurazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all'art. 11 D.lgs. n. 74/2000, con particolare riferimento agli elementi sulla base dei quali l'organo giudicante è chiamato a valutare la sussistenza del dolo specifico, consistente nel fine di sottrarsi al pagamento delle imposte.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall'imputato, valutando manifestamente irragionevole la tesi difensiva prospettata nell'atto di impugnazione e ritenendo, invece, correttamente adempiuto l'onere motivazionale da parte della Corte d'appello.

Il giudice di seconde cure, è giunto, infatti, secondo la Corte di cassazione, a una pronuncia condannatoria all'esito di un ragionamento logico e ragionevole, fondato su una serie di elementi dai quali ha potuto desumere la sussistenza del dolo specifico dello scopo sottrattivo. In particolare la Corte d'appello di Torino ha evidenziato che:

a) l'intento fraudolento della costituzione del trust fosse desumibile “per tabulas” dalla semplice analisi della causa concreta;

b) la finalità di sottrarsi al pagamento delle somme dovute a soggetti privati perseguita dall'imputato non fosse di per sé un elemento capace di escludere la contestuale volontà di sottrarsi al pagamento dei debiti erariali;

c) l'assoluzione in appello dal reato di cui all'art. 388 c.p. rafforzasse l'ipotesi del dolo di evasione;

d) il valore delle somme corrisposte all'Erario, anteriormente e successivamente alla notifica delle cartelle esattoriali, fosse talmente irrisorio rispetto al quantum dovuto che non avrebbe nemmeno consentito di evitare l'iscrizione ipotecaria sui beni dell'imputato.

Osservazioni

Come noto, il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall'art. 11 del D.lgs. n. 74/2000, punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, perseguendo la finalità di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, alieni simulatamente o compia su beni propri o altrui atti fraudolenti idonei a rendere, anche solo in parte, inefficace la (eventuale) procedura di riscossione coattiva.

Sotto il profilo materiale, dunque, il soggetto agente deve porre in essere una condotta fraudolenta atta a vanificare l'esito dell'esecuzione tributaria coattiva, la quale però non rappresenta un presupposto della condotta, bensì unicamente un'evenienza futura che la condotta fraudolenta mira a neutralizzare. Si tratta dunque di un reato di pericolo concreto, il cui elemento oggettivo coincide con la realizzazione di una alienazione simulata ovvero di qualunque altro comportamento che, benché formalmente lecito, sia connotato da una natura artificiosa o ingannatoria.

La giurisprudenza di legittimità, ad esempio, ha ritenuto configurato il reato in esame nelle ipotesi di cessione simulata dell'avviamento commerciale (Cass. pen., Sez. III, n. 37389/2013), cessione di immobili e quote sociali alla convivente (Cass. pen., Sez. III, n. 39079/2013), plurime operazioni di cessione di aziende e di scissioni societarie simulate al fine di conferire beni immobili ai nuovi soggetti societari (Cass. pen., Sez. III, n. 19595/2011), vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di sale and lease back (Cass. pen., Sez. III, n. 14720/2008).

La Cassazione, inoltre, ha ritenuto integrato l'art. 11 d.lgs. 74/2000, come è avvenuto nel caso oggetto del presente commento, anche nell'ipotesi della istituzione del c.d. sham trust, vale a dire un trust simulato con una fittizia intestazione di beni al trustee, i quali rimangono in realtà nella disponibilità del disponente, che solo apparentemente ne perde il controllo (si veda, ad esempio, Cass. pen., Sez. III, n. 36801/2017).

Per l'integrazione della fattispecie in esame non è sufficiente, però, la mera istituzione di un trust simulato, realizzata in pendenza di un debito con l'Erario ma è necessario altresì che la causa tipica del negozio posto in essere sia stata strumentalizzata o che lo strumento giuridico utilizzato sia stato abusato nell'intento di sottrarsi al pagamento delle imposte.

Infatti, oltre al dolo generico – costituito dalla consapevolezza della preesistenza di un debito erariale superiore alla soglia indicata dalla norma e dalla coscienza e volontà di realizzare le condotte tipiche (alienazione simulata/atti fraudolenti) con la rappresentazione della concreta idoneità delle stesse a pregiudicare la procedura di riscossione, ancorché non ancora intrapresa – il reato in esame richiede l'accertamento del dolo specifico consistente nella finalità di rimuovere i beni oggetto dell'operazione negoziale dal patrimonio aggredibile dal fisco per il soddisfacimento del credito tributario vantato nei confronti del soggetto agente.

L'organo giudicante, pertanto, oltre agli elementi di rilevanza oggettiva atti a connotare il trust come simulato, è chiamato ad individuare anche i dati idonei a disvelare in maniera convincente i profili di carattere soggettivo. «Quale strumento negoziale astratto – infatti – il trust può essere piegato al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell'operazione» (Cass. pen., Sez. III, n. 36801/2017).

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che l'accertamento relativo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 11 D.lgs. 74/2000 contestato all'imputato fosse stato adeguatamente svolto dalla Corte d'appello di Torino. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la Corte d'appello avrebbe fornito un logico apparato argomentativo a sostegno della propria pronuncia di condanna, desumendo l'intenzione di frodare il fisco principalmente – oltre che dagli elementi di contesto rispetto all'attività criminosa svolta - dal fatto che il trust fosse stato istituito proprio in un momento successivo alla notificazione delle cartelle esattoriali.

La circostanza che la istituzione del trust simulato fosse diretta anche a frodare i creditori privati non vale ad escludere la concomitante finalità di sottrarsi fraudolentemente al pagamento delle imposte.

In sostanza la Corte di cassazione ha rilevato che, se non era manifestamente illogico, come sostenuto dalla difesa dell'imputato, che il trust fosse diretto a frodare i creditori privati – anche se questi ultimi al momento della sua costituzione non avevano ancora azionato il proprio credito, essendo la notifica dei relativi decreti ingiuntivi avvenuta in un momento successivo – era altrettanto logico desumere la medesima volontà anche nei confronti dell'Erario. Ciò appare evidente soprattutto qualora si consideri che, al momento della istituzione del trust, le cartelle esattoriali erano già state notificate al ricorrente, a maggior ragione se la notificazione era avvenuta in seguito ai primi pagamenti parziali, rivelatisi talmente risibili da non essere in grado di impedire neppure l'iscrizione ipotecaria.

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