Risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita o ferimento dell’animale d’affezione: questione ancora aperta
19 Marzo 2019
Massima
Il ferimento dell'animale d'affezione a seguito del fatto illecito altrui non legittima il padrone alla richiesta del risarcimento del danno non patrimoniale non essendo ravvisabile un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata e, dunque, non essendo integrati e rispettati i parametri di cui all'art. 2059 c.c. Il caso
Tizio, a seguito di investimento stradale che vedeva coinvolto il proprio cane e lui personalmente, agiva in giudizio per il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Il Tribunale di Lucca, in qualità di giudice d'appello ed in riforma della sentenza di primo grado, riteneva, esclusa la risarcibilità dei danni lamentati da Tizio (per non aver lo stesso fornito adeguata prova dell'evento del proprio investimento e risultando dimostrato solo quello del cane), che, relativamente ai riflessi del sinistro sull'animale, l'unica voce di danno risarcibile fosse quella derivante dal costo delle cure sopportate per la guarigione del cane. Viceversa escludeva il risarcimento del danno non patrimoniale da ferimento dell'animale, ritenendo non integrati gli estremi dell'art. 2059 c.c. Avverso tale decisione Tizio proponeva ricorso per Cassazione denunciando quattro differenti profili di illegittimità. Con i primi tre (poi dichiarati inammissibili) mirava a veder rivalutata la ritenuta mancata prova del proprio investimento; con il quarto ed ultimo motivo, invece, lamentava la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2 e 13 Cost. per aver il Tribunale erroneamente ritenuto la non configurabilità di un danno non patrimoniale derivante dal ferimento del proprio cane. La questione
La questione in esame è la seguente: è configurabile e, di conseguenza, risarcibile un danno non patrimoniale da perdita o ferimento dell'animale d'affezione a causa del fatto illecito altrui? La Corte di legittimità ha davvero sempre negato il risarcimento di tale tipologia di danno? Le soluzioni giuridiche
La Corte ha ritenuto l'inammissibilità del motivo di impugnazione relativo alla risarcibilità del danno non patrimoniale da ferimento dell'animale d'affezione a questo fine adducendo come il provvedimento impugnato avesse deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e che, contestualmente, il ricorrente non avesse offerto alcuna approfondita argomentazione che potesse giustificare una rimeditazione della tesi già adottata in sede di legittimità. A supporto di questa motivazione la Corte, peraltro, ha specificato che, trattandosi di giudizio di legittimità, a legittimare l'applicazione dell'art. 360-bis, comma 1 c.p.c. fosse sufficiente anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile. In particolare, i giudici hanno citato, quale unica pronuncia espressasi sul tema ed idonea a costituire immutabile orientamento, una pronuncia della Suprema corte del 2007, che era intervenuta in merito ad una richiesta di risarcimento del danno esistenziale patito da due coniugi a seguito di un sinistro stradale che aveva gravemente ferito un cavallo che i due trasportavano e cui erano particolarmente legati, quadrupede successivamente morto per le lesioni riportate (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846). In tale precedente i giudici di legittimità avevano affermato il principio per cui la perdita, a seguito di un fatto illecito, dell'animale d'affezione non sarebbe qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata, non potendo essere sufficiente, a tal fine, la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita della qualità della vita. I Giudici di legittimità, quindi, hanno omesso di approfondire ed ulteriormente argomentare la ratio decidendi alla base della pronuncia in esame, ritenendo sufficiente far proprio quell'orientamento giurisprudenziale recato dalla predetta sentenza del 2007. Ad onor di cronaca, pur non essendo stato citato dalla pronuncia qui in commento, può anche indicarsi come le sentenze delle Sezioni Unite di San Martino recassero un obiter dictum, che, senza offrire particolari motivazioni, includeva il danno derivante da uccisione e/o ferimento dell'animale d'affezione tra le ipotesi di “danni bagatellari”, così escludendone la risarcibilità. Osservazioni
In realtà, la Cassazione, nel presentare come consolidato ed invariabile l'orientamento avverso la risarcibilità dei pregiudizi in questione, non ha considerato innanzitutto due punti: 1) la pronuncia del 2007, sì anche prospettando come possibile l'assenza di una copertura costituzionale del rapporto con l'animale di affezione («pur ammettendo questa Corte [...] la tutela di situazioni soggettive costituzionalmente protette o legislativamente protette come figure tipiche di danno non patrimoniale, rientranti sotto l'ambito dell'art. 2059 c.c., costituzionalmente orientato, la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta»), aveva respinto la domanda risarcitoria innanzitutto in quanto fondata su una deduzione del danno in re ipsa ( per l'appunto, subito dopo la predetta prospettiva, si rilevava che, ad ostacolare l'accoglimento della pretesa risarcitoria, vi era altresì «la specifica deduzione del danno esistenziale» che impediva «di considerare la perdita, sotto un profilo diverso del danno patrimoniale (già risarcito) o del danno morale soggettivo e transeunte»); 2) in seguito, peraltro dopo le pronunce di San Martino, la stessa Suprema corte era stata nuovamente investita della questione ed aveva deciso in senso diametralmente opposto. Ribadiva la Corte che "nel giudizio di equità del giudice di pace, venendo in rilievo l'equità c.d. formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, fissata dall'art. 2059 c.c., sia pure nell'interpretazione costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il giudice di pace, nell'ambito del solo giudizio d'equità, può disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso presunzioni) il pregiudizio subito, essendo da escludere che il danno non patrimoniale rappresenti una conseguenza automatica dell'illecito”; la Cassazione concludeva che, venendo in quel caso in rilievo la c.d. equità formativa, non operassero le limitazioni di cui al 2059 c.c. e quindi dovesse trovare ristoro, anche sotto il profilo non patrimoniale, il danno patito dalla padrona di un gatto deceduto in una clinica veterinaria a causa dell'errata trasfusione eseguita (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493). La Suprema Corte del 2018, inoltre, non ha considerato gli argomenti addotti da una cospicua parte della giurisprudenza dei Giudici di merito, che, intervenuta dopo le Sezioni Unite di san Martino, ha riconosciuto con fermezza la dignità risarcitoria del danno non patrimoniale da perdita o lesione dell'animale d'affezione (a prescindere dalla sussistenza di un'ipotesi di reato), rinvenendo nell'art. 2 Cost., o talvolta nell'art. 42 Cost. e nell'art. 32 Cost., quella necessaria copertura costituzionale richiesta ai fini risarcitori. Già nel 2009, ad esempio, il Tribunale di Rovereto riteneva che la morte di un cane – consegnato in custodia ad una pensione perché vi soggiornasse durante il viaggio di nozze dei padroni – legittimasse al risarcimento del danno non patrimoniale poiché la tutela dell'animale d'affezione assume un valore sociale tale da elevarla al rango di diritto inviolabile della persona umana (Trib. Rovereto, 18 ottobre 2009, n. 499). Qualche anno più tardi al Tribunale di Torino, in qualità di Giudice d'Appello veniva chiesto – tra le altre questioni – di pronunciarsi sulla risarcibilità del non patrimoniale subito dalla padrona di un cane che, aggredito da altro cane, aveva subito il quasi totale distacco della zampa anteriore destra. Il Giudice, nello sposare l'orientamento possibilista, ha, tra l'altro, sottolineato che «anche in considerazione della legge n. 201/2010, con cui lo Stato Italiano ha ratificato la Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia (la quale valorizza l'importanza di questi ultimi per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società), il rapporto tra padrone ed animale da affezione deve essere oggi ritenuto espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall'art. 2 della Costituzione». Con la conseguenza che, laddove allegato, provato e dotato dei necessari requisiti di gravità, il danno non patrimoniale da perdita o lesione dell'animale d'affezione può – e deve – essere risarcito (Trib. Torino, 29 ottobre 2012, sent. n. 6296. Si veda anche Trib. Parma, sez. I, 2 maggio 2018 n. 605, che in caso analogo, nel sottolineare il contrasto giurisprudenziale in essere, ha negato il risarcimento sull'esclusiva considerazione della mancata prova del danno). Allo stesso art. 2 Cost. hanno fatto ricorso, in tempi più recenti, pronunce che hanno condannato il veterinario al risarcimento del non patrimoniale subito dal padrone in conseguenza ad un'errata diagnosi che ha condotto al decesso dell'animale sul presupposto che ritenere che la perdita de qua sia futile e «non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori» (Trib. Pavia, sez. III civ., 16 settembre 2016, n. 1266. In senso analogo Trib. Vicenza, 3 gennaio 2017, n. 24, sulla responsabilità di una clinica veterinaria per la fuga e la perdita di un cane). Come anticipato, secondo altri Giudici diversa sarebbe la copertura costituzionale di riferimento, ma medesimo il risultato. Così, ad esempio, è stata disposta la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dalla padrona di una gatta per l'errato intervento chirurgico del veterinario che ha condotto al decesso dell'animale sul presupposto che dalla CTU esperita in corso di causa fosse risultato un perturbamento psicologico della signora e, quindi, la lesione di un diritto inviolabile quale quello alla salute (Trib. Rimini, 11 novembre 2016, n. 4989). In altra ipotesi, invece, si è ritenuto che ad essere leso fosse stato il diritto di proprietà della padrona di un volpino aggredito ed ucciso da cani randagi che, in quanto tali, erano sotto la responsabilità dell'Asl territoriale. Il Tribunale, in tal caso, in qualità di Giudice d'Appello, ha ritenuto di discostarsi dall'insegnamento delle Sezioni Unite sul presupposto che non si trattava di risarcire un disagio, un fastidio o un'ansia e, quindi, un tipico “danno bagatellare”, ma una sofferenza interiore, diretta conseguenza di un fatto illecito che aveva reciso un rapporto consolidato tra proprietario e bene dal quale il primo riceveva un'evidente utilità (Trib. Bari, sez. distaccata di Monopoli, 22 novembre 2011). Il quadro sopra descritto mostra una netta contrapposizione tra i più recenti convincimenti di larga parte dei Giudici di merito e l'orientamento sposato dall'ordinanza in commento che però, come visto, sarebbe stato opportuno verificare nella sua reale portata (la sentenza del 2007 era lungi dal rigettare la prospettiva di un “danno conseguenziale” non patrimoniale da perdita dell'animale d'affezione) ed è stato sconfessato dalla stessa Cassazione con la pronuncia del 2009. Proprio quest'ultima – facendo venir meno l'univocità di quel precedente chiaro e condivisibile richiesto perché possa legittimamente operare l'art. 360-bis, comma 1 c.p.c. – avrebbe potuto (e forse dovuto) costituire un primo e valido motivo di approfondimento poiché emblematica di un convincimento tutt'altro che scontato anche in seno alla Corte di legittimità nella materia di cui trattasi. D'altra parte, sono stati molteplici gli autori che all'alba della sentenza del 2009 hanno sottolineato le criticità che sarebbero emerse in punto risarcimento soprattutto in virtù del contrasto giurisprudenziale sull'operatività o meno dei limiti di cui all'art. 2059 c.c. quando trattasi di giudizio reso ex art. 113 c.p.c. Operatività che le Sezioni Unite novembrine ritenevano dover essere garantita ma che la sentenza del 2009 ha evidentemente escluso sposando altro e parimenti autoritario orientamento così determinando «un sistema risarcitorio totalmente irrazionale ed esplosivo» (M. BONA, Argo, gli aristogatti e la tutela risarcitoria: dalla perdita/menomazione dell'animale d'affezione alla questione dei pregiudizi c.d. “bagatellari” (crepe nelle sentenze delle SS.UU. di San Martino), nota a Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493, in Resp civ. e prev. 2009, 1016) che, nella materia che interessa, finisce con il subordinare il risarcimento del non patrimoniale all'irrisorietà economica del danno lamentato e provato. Stupisce, quindi, la laconicità dell'ordinanza commentata non tanto e non solo per il principio affermato quanto per l'approccio alla questione. Deve pure aggiungersi che, anche a voler prescindere dal già citato contrasto giurisprudenziale, pure sotto il profilo normativo – invero non considerato dall'ordinanza n. 26770/2018 - non sembra possa discutersi dell'accresciuta sensibilità che il legislatore ha manifestato in tema di animali d'affezione avvalorando quella corrente di pensiero che fermamente sostiene la natura evolutiva dei diritti della personalità costituzionalmente protetti e che quindi nuovi interessi potrebbero trovare ingresso nell'ordinamento attraverso la clausola “aperta” e a contenuto atipico di cui all'art. 2 Cost., rispetto alla quale i successivi diritti positivizzati devono ritenersi a carattere esemplificativo e non tassativo. Basti pensare, a livello sovrannazionale, alla Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta a Strasburgo il 13 novembre 1987, al Trattato di Lisbona che, all'art. 13, impone all'Europa e agli Stati membri di tenere in piena considerazione le esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti o, ancora, alla Dichiarazione Universale dei diritti degli animali firmata a Parigi il 15 ottobre 1978. Parimenti, a livello interno, emblematiche risultano le ipotesi di reato introdotte con la l. 20 luglio 2004, n. 189, che ha inserito all'interno del libro II del codice penale il titolo IX bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”, la l. 14 agosto 1991, n. 281 c.d. legge quadro in materia di animali d'affezione e prevenzione al randagismo, l'“Accordo tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy” del 6 febbraio 2003 che all'art. 9, comma 3, stabilisce che «le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono disciplinare la realizzazione di cimiteri per animali da compagnia, destinati a mantenerne viva la memoria» o, ancora, l'art. 16, lett. b) l. 11 novembre 2012, n. 220, che in materia di condominio ha aggiunto un ultimo comma all'art. 1138 c.c. prevedendo che «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». L'argomento legislativo quale sintomo di una rinnovata sensibilità alla tematica in questione, d'altra parte, è stato una delle leve maggiormente utilizzate non solo dalla giurisprudenza possibilista, ma anche da larga parte della dottrina che, discostandosi fermamente dall'assimilazione compiuta dalle Sezioni Unite tra il danno da perdita o ferimento dell'animale d'affezione e altre ipotesi bagatellari quali la rottura del tacco della sposa, è arrivata a teorizzare la configurabilità di un vero e proprio danno non patrimoniale interspecifico. Si è sottolineato, infatti, che in un sistema totalmente “persona-centrico” come quello delineato dalla Costituzione, non risponda più a canoni di ragionevolezza – ed anzi contrasti aspramente con l'evoluzione del contesto socioculturale – perseverare nell'escludere che il rapporto uomo-animale sia una delle dinamiche relazionali attraverso le quali può realizzarsi e manifestarsi integralmente la personalità dell'individuo. La riconosciuta visione dell'animale d'affezione quale essere vivente dotato di capacità senzienti, percettive, emozionali tali da permettere con l'uomo una vera e propria relazione affettiva dalla quale quest'ultimo trae indubbi benefici, dovrebbe infatti convincere l'interprete – e le Corti – a rinvenire nell'art. 2 Cost. quella copertura costituzionale ad un diritto inviolabile che l'art. 2059 c.c. pretende ai fini risarcitori ove non ricorrano ipotesi di reato e/o un'espressa copertura legislativa. Sembra, quindi, potersi affermare che proprio per la presenza di una molteplicità di argomenti, retti pure su indicazioni normative, ed orientamenti (anche di legittimità) che perlomeno pongono in serio dubbio la tesi della irrisarcibilità dei danni in disamina, l'ordinanza in commento avrebbe potuto costituire una valida occasione per affrontare la questione del danno da morte o ferimento dell'animale d'affezione. M. BONA, ARGO, gli aristogatti e la tutela risarcitoria: dalla perdita/menomazione dell'animale d'affezione alla questione dei pregiudizi c.d. “bagatellari” (crepe nelle sentenze delle SS.UU. di San Martino), nota a Cass. civ., 25 febbraio 2009, n. 4493, in Resp civ. e prev. 2009, 1016; G. COVOTTA, Danno e animali d'affezione, in Omnia trattati giuridici, Responsabilità civile, diretto da P. Cendon, 2017, vol. III, Torino, 5282 ss.; P. DONADONI, Il danno non patrimoniale interspecifico, in S. Castignone, L. Lombardi Vallauri, a cura di, Trattato di biodiritto, Milano, Giuffrè, 2011, vol. 5 - La questione animale, pp. 557-577. |