È legittimo l'accertamento che non si esprime sulle osservazioni del contribuente

Angelo Ginex
21 Marzo 2019

In tema di verifiche fiscali, nessuna nullità è comminata all'avviso di accertamento silente in merito alle osservazioni e alle richieste di cui all'art. 12, co. 7, L. 212/2000, presentate dal contribuente all'Amministrazione finanziaria a seguito della conclusione dell'attività accertatrice svolta dai rappresentanti della Guardia di Finanza.
Massima

In tema di verifiche fiscali, nessuna nullità è comminata all'avviso di accertamento silente in merito alle osservazioni e alle richieste di cui all'art. 12, co. 7, L. 212/2000, presentate dal contribuente all'Amministrazione finanziaria a seguito della conclusione dell'attività accertatrice svolta dai rappresentanti della Guardia di Finanza.

Il caso

Una società impugnava un avviso di accertamento emesso a seguito di attività di verifica fiscale svolta dai funzionari della Guardia di Finanza e nel quale essi procedevano a rettificare le imponibili afferenti ad IRES, IVAa e IRAP per l'anno di imposta 2004.

La società contribuente spiegava opposizione avverso l'atto impositivo, che veniva accolta dalla competente Commissione tributaria provinciale e, successivamente, confermata all'esito del giudizio di appello, sebbene il giudice del gravame non mancasse di respingere anche l'appello incidentale formulato dalla società contribuente e fondato sull'asserito mancato rispetto del termine previsto dall'art. 12, co. 5, L. n. 212/2000, in riferimento alla durata delle verifiche.

Sennonché, i giudici di seconde cure omettevano di pronunciarsi sull'ulteriore motivo di doglianza dell'appellante incidentale inerente alla nullità o alla parziale illegittimità dell'avviso di accertamento a causa dell'omesso esame delle osservazioni presentate dalla società ex art. 12, co. 7, L. 212/2000.

Pertanto, da un lato, l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per la cassazione della sentenza di appello, sostenendo la bontà della rettifica da essa posta in essere; dall'altro lato, la società resisteva con controricorso e presentava, a sua volta, ricorso incidentale per violazione del termine di permanenza dei verificatori di cui all'art. 12, co. 5 L. 212/2000 e per l'omessa pronuncia sull'asserita violazione dell'art. 12, co. 7 L. 212/2000.

Le questioni

Le questioni prospettate alla Suprema Corte e di più rilevante valore giuridico sono quelle insite nel ricorso incidentale della società contribuente e sono essenzialmente due:

1) la prima concerne la validità degli avvisi di accertamento emessi con motivazione priva di riferimento alle osservazioni presentate dal contribuente in sede di contraddittorio antecedente alla loro emanazione;

2) la seconda attiene agli effetti delle verifiche fiscali protrattesi oltre i termini previsti dall'art. 12, co. 5 L. 212/2000.

Con riferimento alla questione sub 1), la contribuente contestava la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c., per non essersi il giudice del gravame pronunciato sul motivo di doglianza dell'appello incidentale avente ad oggetto la violazione dell'art. 12, co. 7 L. 212/2000 secondo cui «nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori».

Per quanto concerne la questione sub 2), la controricorrente contestava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 12, co. 5 L. 212/2000, sull'assunto che i giudici del gravame avessero erroneamente escluso la nullità dell'atto impositivo emesso oltre il termine di 30 giorni, stimato per la conclusione delle verifiche senza debita proroga.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, pur ammettendo che il giudice del gravame ha omesso di pronunciarsi su simile determinante motivo di gravame, ha osservato che detta circostanza non consente in ogni caso di accogliere la censura e, per l'effetto, non legittimerebbe un provvedimento di cassazione con rinvio.

In ossequio al principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, così come costituzionalmente declinato nell'art. 111, co. 2 Cost., e interpretando secundum Constitutionem l'art. 384 c.p.c., infatti, sarebbe da escludersi la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, allorché la censura mossa fosse infondata e non richiedesse ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. Civ., 19 aprile 2018, n. 9693; Cass. Civ., 28 giugno 2017, n. 16171; Cass. Civ., SS.UU., 2 febbraio 2017, n. 2731).

Tanto premesso, il Supremo Consesso, ritenendo di dover prestare il fianco al più recente e tetragono orientamento giurisprudenziale, secondo cui l'avviso di accertamento silente sulle osservazioni rese dal contribuente ai sensi dell'art. 12, co. 7, L. n. 212/2000 integra una mera irregolarità che non inficia la validità dell'atto impositivo stesso, ha ritenuto valido l'avviso di accertamento notificato dall'Ente impositore.

La più grave sanzione della nullità è, infatti, configurabile laddove sia stata esplicitamente prevista dal legislatore, ovvero allorquando derivi una lesione di diritti specifici e di garanzie riservate al contribuente, nella specie non rilevata dai giudici di legittimità.

Dal tenore letterale della norma, inoltre, l'Amministrazione finanziaria, pur essendo soggetta all'obbligo di valutazione delle memorie del soggetto verificato, non ha il dovere di esplicitare la deliberazione nell'atto impositivo, posto che le osservazioni mosse dal contribuente non hanno efficacia vincolante.

In evidenza:

Questo orientamento, poco condivisibile e non esente da critiche, riprende pedissequamente quanto statuito in precedenti pronunce.

In particolare, il più attuale contributo offerto dalla sentenza n. 21408/2017, ha interiorizzato i principi anteriormente sanciti dai Supremi giudici nelle sentenze nn. 3583/2016 e 8378/2017, statuendo che il mancato riferimento, nell'atto impositivo, alle memorie difensive di parte presentate prima della sua emissione non può essere elemento tale da invalidare l'operato dell'Ufficio, in quanto l'art. 12, co. 7 L. 212/2000 non comporta una espressa sanzione di nullità, se non l'obbligo di attendere lo spirare del termine di 60 giorni decorrenti tra la chiusura delle verifiche e l'emissione dell'accertamento. La carenza di motivazione che si genererebbe da detta circostanza, dunque, non lederebbe specifici diritti o garanzie tali da impedire la produzione di effetti da parte dell'atto cui ineriscono.

Tale questione è stata più recentemente affrontata anche nell'ordinanza n. 17210/2018, in cui la Cassazione, pur essendo stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un avviso di accertamento dal quale si apprezzi patentemente che è stato omesso l'esame delle memorie del contribuente, ha espressamente ribadito che, sebbene l'Amministrazione finanziaria possa discostarsi dalle argomentazioni addotte dal contribuente, essa ha quantomeno l'obbligo minimo di analizzarle.

Da ciò si desume, ancora una volta, che la redazione dell'atto impositivo attesta, implicitamente, l'irrilevanza dello scritto difensivo del contribuente (cfr. CTP Torino, 14 gennaio 2011, n. 3; CTP Reggio Emilia, n. 10/2012).

Sulla base di tali argomentazioni, i giudici della Suprema Corte hanno stringatamente concluso che «è principio consolidato […] quello per cui l'avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212/2000, ex art. 12, co. 7, è valido, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall'altro lato, l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell'atto impositivo».

Per quanto concerne, infine, la violazione del termine di permanenza degli ufficiali verificatori la Corte di Cassazione ha affermato che essa non determina alcuna caducazione dal potere di accertamento, né l'inutilizzabilità o l'invalidità degli atti sino a quel momento compiuti, posto che alcuna sanzione è stata prevista dal legislatore, né vengano compressi diritti del contribuente (cfr. Cass. Civ., 27 aprile 2017, n. 10481; Cass. Civ., 27 gennaio 2017, n. 2055; Cass. Civ., 15 aprile 2015, n. 7584).

Osservazioni

Pur ponendosi in continuità con i recenti approdi giurisprudenziali, il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte appare poco condivisibile.

L'orientamento espresso, infatti, pare non aver soppesato esattamente il ruolo di garanzia assunto dall'art. 12 L. n. 212/2000, il quale incentiva e incoraggia l'Amministrazione finanziaria a prendere in considerazione le argomentazioni difensive del soggetto verificato, in ossequio al fondamentale principio del contraddittorio preventivo ed endoprocedimentale, oltre che al principio di collaborazione e buona fede sancito dall'art. 10 L. n. 212/2000.

Quanto appena esposto trova, d'altronde, conferma anche nel recentissimo documento di prassi della Guardia di Finanza (cfr. Circolare n. 1/2018), in cui si fa espressamente riferimento alla necessità dell'esame delle osservazioni e delle richieste del contribuente ai fini della rettifica dell'imponibile.

In definitiva, ferma restando la facoltà del contribuente di far pervenire delle argomentazioni difensive rispetto alle verifiche svolte dei soggetti accertatori, l'Ente impositore dovrebbe analizzarle e valorizzarle nell'emissione dell'avviso di accertamento, in conformità al principio fondamentale di leale collaborazione, ravvisandosi un palese difetto di motivazione dell'atto impositivo laddove lo stesso nulla dica, ovvero dichiari espressamente di non avervi tenuto conto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.