Ritenute non versate dal sostituto e profili di responsabilità del sostituito

Giovambattista Palumbo
05 Aprile 2019

In tema di sostituzione a titolo di acconto o "impropria" e, più in particolare, di sussistenza a carico del sostituito, in solido con il sostituto, dell'obbligo di corrispondere la ritenuta eseguita ma non versata dal sostituito all'erario, si registra nella giurisprudenza di legittimità un contrasto.
Massima

In tema di sostituzione a titolo di acconto o "impropria" e, più in particolare, di sussistenza a carico del sostituito, in solido con il sostituto, dell'obbligo di corrispondere la ritenuta eseguita ma non versata dal sostituito all'erario, si registra nella giurisprudenza di legittimità un contrasto. La Suprema Corte, pur sposando apertamente una delle due tesi, stante la persistenza del contrasto e ritenuti altresì sussistenti i presupposti per una revisione dell'orientamento maggioritario, ha reputato opportuno trasmettere il ricorso al Primo Presidente per la sua l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 31742 del 7 dicembre 2018, ha chiarito un aspetto operativo molto rilevante, in tema di solidarietà tra sostituto e sostituito, in caso di omesso versamento delle ritenute da parte del primo.

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per la Cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che, confermando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato illegittima ed annullato la cartella emessa nei confronti di un contribuente, per il pagamento, a lui richiesto quale sostituito d'imposta, di ritenute d'acconto effettuate, ma non versate, dal sostituto.

La CTR aveva rilevato che l'Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto agire unicamente nei confronti del sostituto, atteso che la disposizione di cui all'art. 35 del d.P.R. n. 602/1973, "limitata alla sola ipotesi della omissione sia della ritenuta a titolo di imposta sia del versamento relativo, conferma la insussistenza di un qualsiasi obbligo solidale del sostituito allorché la ritenuta sia stata operata ma non versata".

L'Amministrazione finanziaria sosteneva che la Commissione Tributaria Regionale avesse falsamente applicato l'art. 35 cit.

La questione

In tema di sostituzione a titolo di acconto o "impropria" e, più in particolare, di sussistenza a carico del sostituito, in solido con il sostituto, dell'obbligo di corrispondere la ritenuta eseguita ma non versata dal sostituito all'erario, si registra, in effetti, nella giurisprudenza di legittimità, un contrasto:

  1. da una parte, sul quale si colloca il maggior numero di decisioni, si afferma infatti che "il fatto che il sostituto di imposta sia definito ex art. 64, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973 come colui che, in forza di legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, non toglie che anche il sostituito debba ritenersi fin dall'origine obbligato solidale al pagamento dell'imposta, sicché anch'egli è soggetto al potere di accertamento ed a tutti i conseguenti oneri, fermo restando il diritto di regresso verso il sostituto che, dopo aver eseguito la ritenuta, non l'abbia versata all'erario, esponendolo così alla azione del fisco" (Cass., n. 12076/2016; Cass., n. 9933/2015; Cass., n. 19580/2014; Cass., n. 23121/2013; Cass., n. 8653/2011; Cass., n. 14033/2006). Il vincolo di solidarietà, non esplicitato normativamente, sarebbe, infatti, desumibile, secondo tale tesi (v., in particolare, Cass. Civ., n. 19580/2014), sulla base della presunzione stabilita dall'art. 1294 c.c., dall'unicità della prestazione a cui sono tenuti sostituito e sostituto (fino a concorrenza di ritenuta);
  2. Altra tesi, invece, richiamata la lettera dell'art. 64 del d.P.R. n. 600/1973, afferma che la figura del sostituto d'imposta corrisponde ad una espressa disposizione del legislatore, che, in relazione a determinati presupposti di fatto del tributo (quali la tassabilità del reddito da lavoro dipendente), eccezionalmente stabilisce che l'obbligo di pagare il tributo stesso nasca da un altro fatto (nella specie, dal rapporto di lavoro) che precede e condiziona il primo a vantaggio dell'amministrazione finanziaria, evidenziando quindi che, in sostanza, il sostituto, quale debitore di entrata tassabile in luogo dell'obbligato principale, è tenuto, in luogo di quest'ultimo, ad adempiere a tutti gli obblighi sostanziali propri del soggetto passivo, e a subire le conseguenze dell'attività dell'Amministrazione Finanziaria, che dovrebbero avere ordinariamente come destinatario il debitore principale, se non operasse in via eccezionale la prevista sostituzione, che rende il sostituto "protagonista del fatto imponibile". In sostanza, pertanto, nella fase accertativa del tributo sarebbe esclusa la solidarietà tra sostituto e sostituito, questa fase dovendo necessariamente svolgersi, per il dettato di cui al citato art. 64 cit., "nei confronti del sostituto, in capo al quale matura solo successivamente il diritto di rivalsa" (Cass., n. 12991/1999; Cass., n. 13664/1999). Sempre dal punto di vista dei sostenitori di tale impostazione, del resto, si richiama l'art. 22 del d.P.R. n. 917/86, sottolineando che "la norma, dedicata allo scomputo delle ritenute d'acconto, ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state «operate»" (Cass. n. 14138/2017, in particolare punto 2.3. della motivazione).
Le soluzioni giuridiche

Con riguardo alla prima tesi, la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, rileva che l'assunto per cui il sostituito, essendo il soggetto che realizza il presupposto impositivo, è sempre responsabile dell'adempimento dell'imposta e deve perciò rispondere anche qualora abbia subito la trattenuta, svaluta, in effetti, la lettera dell'art. 64, secondo cui, anche nel caso di sostituzione a titolo d'acconto, il sostituto è obbligato al pagamento d'imposte "in luogo di altri", per fatti o situazioni a questi riferibili, e trascura così la dissociazione tra chi è chiamato a pagare l'acconto (il solo sostituto) e chi realizza il presupposto del pagamento, ma non è chiamato, secondo la lettera della legge, a pagare quanto dovuto al lordo dell'acconto, superando così la configurazione, che è nella ratio della legge, del sostituto quale «contribuente di diritto», che funge da soggetto passivo in senso giuridico, contrapposto al «contribuente di fatto» (sostituito).

Premesso dunque che il legislatore ha previsto espressamente che il sostituito è coobbligato solidale con il sostituto solo nelle ipotesi di ritenuta a titolo di imposta (art. 35 del d.P.R. n. 602/1973) e che dall'assenza di un'analoga previsione per le ipotesi di ritenuta a titolo d'acconto potrebbe trarsi prova della volontà legislativa di escludere, in queste ultime ipotesi, la coobligazione del sostituito, in conformità con la logica della sostituzione di «colpire la ricchezza oggetto di tassazione prima che pervenga nella disponibilità del reddituario», l'affermazione secondo cui il vincolo di solidarietà tra sostituto e sostituito è desumibile, ex art. 1294 c.c., dall'unicità della prestazione a cui sono tenuti sostituito e sostituto (fino a concorrenza di ritenuta), secondo la Corte, contrasta con il rilievo che «la ritenuta fiscale d'acconto costituisce l'oggetto di un'obbligazione strumentale ed accessoria rispetto alla eventuale e futura obbligazione d'imposta, di cui agevola la riscossione» (Cass., SS.UU., 5 febbraio 1988, n. 1200), scontrandosi con il fatto che, mentre il sostituto è debitore di un certo valore, calcolato sull'importo erogato in base alle disposizioni di legge, il sostituito è debitore dell'importo risultante dalla dichiarazione dei redditi, che tiene conto della più ampia espressione di capacità contributiva di cui il predetto valore è una parte, nonché di eventuali costi o spese detraibili, e con il fatto che manca, dell'obbligazione solidale, l'effetto liberatorio, sempre connesso all'adempimento di uno dei coobbligati, giacché, se il sostituto versa ritenute non operate, il versamento non libera il sostituito che non può detrarre dal reddito complessivo ritenute non subite.

Il sostituito, del resto, evidenziano ancora i giudici di legittimità, non ha alcuna informazione in ordine al versamento delle ritenute subite (ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, il sostituto è obbligato ad indicare nella certificazione rilasciata al sostituito, le ritenute operate, e non le ritenute versate), cosicché, ove non potesse scomputare le ritenute per il solo fatto di averle subite, per essere sicuro di evitare accertamenti, sarebbe sempre costretto, a stare sul versante in parola, ad ottenere dal fisco notizia sull'avvenuto versamento.

La stessa Corte, sempre con riguardo alla seconda tesi rileva poi che anche l'argomento dato dalla lettera dell'art. 22 del d.P.R. n. 917/1986 è pregnante (considerato che, ai sensi della disposizione, la condizione legittimante lo scomputo non è il versamento della ritenuta ma la relativa effettuazione), laddove, comunque, l'art. 36-ter, comma 2, lett. a) del d.P.R. n. 600/1973, stabilisce che gli uffici possono "escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d'acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d'imposta, dalle comunicazioni di cui all'articolo.20, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti, ovvero delle ritenute risultanti in misura inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi", evidenziando che il sostituito si sottrae a rilievi, ossia può legittimamente scomputare le ritenute, già solo per il fatto che queste risultino documentalmente effettuate (e non anche, necessariamente, versate).

Come affermato anche in dottrina, del resto, evidenzia ancora la Corte, per effetto della ritenuta, il sostituito rimane comunque inciso dal prelievo ancorché solo in acconto e, laddove fosse costretto a pagare nuovamente l'Amministrazione finanziaria, potrebbe addirittura rischiare di restare inciso due volte come in tutti quei casi (non infrequenti) in cui, per altre ragioni (ad esempio sopravvenuta insolvenza), non riuscisse a rivalersi sul sostituto, con conseguente violazione del principio che vieta la doppia imposizione (art. 163 del TUIR).

Stante, però, la persistenza del contrasto e ritenuti altresì sussistenti i presupposti per una revisione dell'orientamento maggioritario, il collegio reputa opportuno trasmettere il ricorso al Primo Presidente per la sua l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di questa Corte.

Osservazioni

Ha fatto probabilmente bene la Suprema Corte a rimettere la questione alle Sezioni Unite, laddove, in effetti, l'orientamento maggioritario della Cassazione, affermava, fino ad oggi, che il rapporto che si costituisce tra il sostituto di imposta e il sostituito è quello dell'obbligazione solidale passiva con il Fisco, con conseguente applicabilità dei principi disciplinanti tale tipo di obbligazioni, compreso quello di cui all'art. 1306 c.c., riguardante l'estensione del giudicato, non essendo di ostacolo a tale conclusione né la diversità della fonte normativa delle obbligazioni, né il carattere meramente strumentale di quella del sostituto rispetto a quella del sostituito ed operando nella specie la presunzione stabilita dall'art. 1294 c.c.

E non è un elemento indifferente il fatto che le controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, relative al legittimo esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte, versate, volontariamente o coattivamente, dal sostituto, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, come stabilito dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l'Ordinanza n. 21523 del 15 settembre 2017, laddove i giudici hanno affermato che, in tali casi, si tratta di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l'esercizio del potere impositivo proprio del rapporto tributario e nelle quali manca un atto rientrante nella tipologia di atti impugnabili di cui all'elenco contenuto nell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

La Corte rileva del resto che tali tipi di controversie non hanno ad oggetto il rapporto tra il contribuente e l'amministrazione tributaria, bensì un rapporto implicante un accertamento, avente valore meramente incidentale, in ordine alla debenza dell'imposta contestata.

In tale tipo di controversie non sussiste, pertanto, un litisconsorzio necessario tra sostituto e sostituito d'imposta, da un lato, e ente impositore, dall'altro e sussiste quindi la giurisdizione del giudice ordinario.

E, a riprova della difficoltà interpretativa nel risolvere la questione, si evidenzia, comunque, che la stessa Corte, sempre a Sezioni Unite, in passato si era espressa, anche su questo punto, in senso contrario (Ordinanza n. 3343 del 19 febbraio 2004), affermando che la controversia tra sostituito e sostituto è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario, dato che l'indagine sulla legittimità della ritenuta non integra una mera questione pregiudiziale, da decidere incidentalmente, ma una causa tributaria avente carattere pregiudiziale, in litisconsorzio necessario con l'Amministrazione Finanziaria.

Sul piano sostanziale, in ogni caso, resta il dato letterale della norma dedicata allo scomputo delle ritenute d'acconto, che subordina la legittimità della detrazione alla sola condizione che esse siano state effettivamente «operate» (art. 22 d.P.R. n. 917/1986), laddove, peraltro, il fatto storico (decurtazione del corrispettivo), pur potendo essere provato, tipicamente, mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere comunque provato anche con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito (vedi anche Risoluzione 19 marzo 2009, n. 68/E).