Impossibile l'accertamento/riscossione dei tributi locali da parte di una società “in house” se l’antecedente affidataria era già fallita
17 Aprile 2019
Massima
“In caso di fallimento di una società in house affidataria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, il Comune non può, nei cinque anni successivi al fallimento, costituire nuove società partecipate che gestiscano il medesimo servizio della fallita e deve dismettere eventuali partecipazioni detenute in società che svolgano lo stesso servizio svolto dalla fallita.
Qualora fallisca una società in house che si occupa, per conto del Comune, dell'accertamento e della riscossione dei tributi locali, nei cinque anni successivi al fallimento il Comune non può né affidare lo stesso servizio ad altra società integralmente partecipata, né può mantenere la partecipazione in società in house che svolgano il medesimo servizio della fallita.
Il divieto di costituzione e mantenimento di partecipazioni in società in house affidatarie del medesimo servizio svolto da una società in house fallita nel precedente quinquennio si applica anche ai fallimenti intervenuti prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2016”. Il caso
Un contribuente impugnava un'ingiunzione di pagamento TIA emessa da una società di capitali c.d. in house, cioè integralmente partecipata dal Comune impositore, che aveva ricevuto l'affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali nel periodo infra-quinquennale rispetto al fallimento della precedente affidataria del medesimo servizio, anch'essa integralmente partecipata dal medesimo Ente (servizio affidato tramite il c.d. “affidamento diretto”). Segnatamente, la società resistente aveva ricevuto l'affidamento del servizio di accertamento e riscossione nel settembre 2016, mentre la precedente affidataria era fallita nel settembre 2015. Per il contribuente ciò avrebbe integrato il divieto, di cui al “Decreto Madia” (D.Lgs. n. 175/2016, art. 14, comma 6), di mantenere la partecipazione in una società in house da parte di quel Comune che aveva già affidato il medesimo servizio ad un'altra società partecipata, nel caso in cui quest'ultima fosse fallita nel quinquennio precedente.
La resistente, dal canto proprio, si è difesa sostenendo che, siccome il Decreto Madia non contiene un'apposita disciplina transitoria, il richiamato divieto di mantenimento della partecipazione non avrebbe dovuto applicarsi al caso di specie, perché il fallimento della precedente affidataria era avvenuto prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2016. La CTP ha accolto il ricorso. Le questioni
Le questioni portate all'attenzione del giudice sono due e sono tra loro strettamente collegate:
Le questioni originano dal disposto dell'art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 175/2016, a mente del quale “Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”. Occorre premettere e ricordare che la società resistente nel giudizio d'interesse è intervenuta, come affidataria, successivamente al fallimento della società che, sempre in house, svolgeva il servizio antecedentemente. Le società in house sono quelle sulle quali il Comune esercita il c.d. controllo analogo, che è il potere di comando esercitato sulla gestione della società con modalità e intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà spettanti ad un “normale” socio: l'intensità del controllo è tale da privare di qualsiasi autonomia gestionale l'organo amministrativo della partecipata, la quale assume così il carattere di una articolazione in senso sostanziale della pubblica amministrazione da cui promana. L'affidamento del servizio di accertamento e riscossione a questa tipologia di società è una facoltà concessa ai Comuni dall'art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 446/1997, la cui rubrica disciplina la “Potestà regolamentare delle provincie e dei comuni” e dispone, al n. 3 della lettera (a), che il Comune possa affidare il servizio alle “società a capitale interamente pubblico, di cui all'art. 113, comma 5, lett. c) del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 … mediante convenzione, a condizione che l'ente titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” ed altre condizioni che qui non interessano.
Il controllo analogo è, in ogni caso, conditio sine qua non per l'affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, nonché per il regolare svolgimento dello stesso. Le soluzioni giuridiche
È opportuno premettere, rispetto alle soluzioni giuridiche adottate dalla sentenza in commento, che la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, se il Comune affida il servizio all'esterno, il potere di accertamento del tributo non spetta più al Comune bensì al concessionario, al quale è attribuita anche la legittimazione processuale per le relative controversie (Cass. Civ., n. 1138/2008, confermata da Cass. Civ., n. 6772/2010).
Quanto al caso di specie, relativamente alla prima questione (cioè quella relativa al regime normativo transitorio), la CTP ha ritenuto che l'art. 14, comma 6, Decreto Madia, si applichi anche ai fallimenti di società in house verificatisi prima dell'entrata in vigore della novella. Quanto, invece, alla seconda questione, la CTP di Lucca ha deciso operando un richiamo alla motivazione della sentenza n. 603/2018, con la quale il medesimo giudice aveva stabilito che “in caso di fallimento di una società comunale che gestisce in affidamento diretto un servizio, sia il Comune a dover tornare a gestire direttamente il medesimo servizio o ad affidarlo mediante gara a soggetti esterni non partecipati, in quanto l'adozione di tali atti compete esclusivamente al Comune”.
Come si nota, nella sentenza in commento – nonché nel precedente conforme richiamato – la CTP ha ritenuto che il fallimento di una società partecipata, affidataria del servizio di gestione dei tributi locali tramite affidamento diretto, impedisca al Comune di “ri-affidare”, con la medesima modalità, lo stesso servizio ad altra “società comunale”, cioè ad un'altra società in house. E difatti, per la sentenza in esame, “Qualora medio tempore (cioè nel quinquennio antecedente al fallimento della precedente affidataria, ndr) l'ente locale avesse affidato direttamente lo stesso servizio ad altra società in house, lo stesso ente dovrebbe dismettere, dopo l'entrata in vigore del decreto Madia, le partecipazioni in tale società di nuova costituzione e, ove ciò non facesse, gli atti emessi dalla società in house sarebbero nulli, essendo quest'ultima oramai priva del potere (di carattere pubblicistico) di procedere alla gestione di procedere alla gestione e riscossione dei tributi locali”.
In buona sostanza, per la C.T.P. di Lucca, l'atto impugnato è da considerarsi nullo in quanto emesso da soggetto privo del potere, di carattere pubblicistico, di gestire e riscuotere i tributi locali in quanto il Comune avrebbe dovuto dismettere la partecipazione dopo l'entrata in vigore della legge Madia. V'è da dire, però, che sempre in seno al medesimo Giudice si riscontra un altro ed opposto orientamento, espresso nella sent. n. 51/3/2018 del 29 gennaio 2018 (Pres. G.L.M. Giuntoli, Rel. L. Celli), avente ad oggetto la medesima questione e la medesima società in house resistente nel procedimento oggetto di nota.
Con la sent. n. 51/2018, la C.T.P. di Lucca ha stabilito che “la preclusione del Decreto Madia … nel caso di specie … non opera ratione temporis … il Decreto Madia è entrato in vigore il 23.09.2016, successivamente alla costituzione di (la società resistente, ndr) ed all'affidamento alla stessa del servizio (8.6.2016). Non essendo prevista alcuna disciplina transitoria, esso non può valere che per le fattispecie verificatesi dopo la sua entrata in vigore e non retroattivamente. L'art. 14, c. 6, eventualmente potrà riguardare il Comune sotto il profilo della possibilità di mantenere la propria partecipazione in (la società resistente, ndr).
In definitiva, per questo orientamento del Giudice di merito, il potere della società in house di riscuotere i tributi locali è sancito dal contratto di servizio (adottato dal Comune con apposita delibera) e la preclusione di cui al decreto Madia non avrebbe potuto operare irretroattivamente, cioè per i fallimenti delle partecipate anteriori all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2016. Osservazioni
Agli atti dell'Amministrazione finanziaria si applicano gli artt. 21-septies e 21-octies della Legge n. 241/1990. In particolare, l'art. 21-septies disciplina le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e, tra queste, vi rientra il caso dell'atto viziato da difetto assoluto di attribuzione. Tale vizio ricorre quando l'atto sia emesso in una situazione di carenza di potere, come ad esempio da un ufficio territorialmente o funzionalmente incompetente. Peraltro, la dottrina ha avuto modo di ritenere che ci si debba riferire, nel valutare il difetto di attribuzione, alla carenza di potere in astratto (F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino 2017, pag. 65). Ciò detto, chi scrive ritiene che la materia oggetto di commento non possa prescindere da una brevissima analisi del rapporto tra ente impositore e società in house affidataria del servizio di gestione dei tributi locali. Ciò perché l'affidamento del servizio in house costituisce eccezione alla regola generale di gestione in proprio o tramite società iscritta nell'albo dei riscuotitori tenuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze. Ed allora, se tanto è vero, è altrettanto vero che il Comune può operare con la “in house” fin quanto mantenga, nella stessa, il c.d. controllo analogo. Venuto meno il controllo analogo, viene meno il potere della partecipata di svolgere il servizio.
Il Decreto Madia, in effetti, non prevede conseguenze in ordine alle sorti degli atti di accertamento e riscossione emessi in contesti analoghi a quello oggetto di decisione; l'art. 14, comma 6, prevede solamente che, in caso di fallimento di una società affidataria del servizio, il Comune non può, rispetto al medesimo servizio svolto dalla società dichiarata fallita:
(A) costituire nuove società che svolgano quell'attività; (B) acquisirne le relative partecipazioni; (C) mantenerne le partecipazioni.
È il successivo art. 24, D.Lgs. n. 175/2016, ad offrire uno spunto interpretativo che non risulta, però, dirimente: la disposizione menziona le partecipazioni che devono (rectius: dovevano) essere oggetto di ricognizione da parte della P.A. e disciplina le conseguenze della mancata ricognizione e della mancata alienazione delle medesime. Tra queste, cioè tra le conseguenze dell'aver indebitamente mantenuto una partecipazione in una società comunale, si riscontra la perdita del controllo analogo.
Ed allora, o l'atto emesso dalla società in house è nullo radicalmente per difetto assoluto di legittimazione - perché l'art. 24 prevede la perdita del controllo analogo a fronte della mancata dismissione della partecipazione - oppure l'atto è perfettamente valido perché non sembra possano ricorrere le ipotesi di annullabilità di cui al comma secondo dell'art. 21-octies (“Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”), perché, per il contenuto vincolato dell'atto di riscossione, il medesimo avrebbe avuto lo stesso contenuto se adottato dal Comune e non dalla partecipata. |