Il fallimento della società giustifica l'accertamento “sprint”
24 Aprile 2019
Massima
La dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all'art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente. Ciò sia perché l'Erario ha urgenza di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un'insinuazione tempestiva al passivo, poiché detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori; sia perché il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicché il predetto termine risulta incompatibile con l'attività del curatore.
Il caso
Una società – dichiarata fallita – riceveva un avviso di accertamento per IVA ed IRAP che, in seguito a ricorso, veniva dichiarato nullo dalla Commissione tributaria regionale. L'atto, infatti, era stato emesso prima che fosse decorso il termine dilatorio di 60 giorni previsto dall'art. 12, comma 7, della L. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente).
In sintesi, l'Agenzia delle Entrate aveva effettuato una verifica fiscale nei confronti dell'azienda, conclusosi con un invito a depositare documentazione e, successivamente, aveva emesso l'avviso di accertamento senza aver atteso il trascorso dei sessanta giorni dalla notifica dell'invito, peraltro omettendo la motivazione sulle ragioni d'urgenza che avrebbero giustificato l'emissione anticipata dell'atto. La Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della società, annullava sia l'atto impositivo emesso nei confronti dell'azienda, sia quello notificato ai soci (trattandosi di una società di persone, infatti, si applicava il principio della tassazione per trasparenza). L'Ufficio proponeva ricorso in Cassazione, rilevando che la sanzione della nullità dell'atto impositivo si applica solo nell'ipotesi di notificazione dell'avviso di accertamento prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla avvenuta comunicazione al contribuente del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica. Nel caso di specie non vi era stata nessuna comunicazione di Pvc, risultando comunicato solo un invito a depositare documentazione. La questione
La questione riguarda la nullità dell'atto impositivo per il mancato rispetto del termine dei sessanta giorni, previsto dall'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, e le eventuali ragioni di urgenza che giustificano un'emissione anticipata dell'atto stesso. Le garanzie dell'articolo 12 dello Statuto del contribuente Lo Statuto dei diritti del contribuente, istituito con Legge nr. 212 del 27 luglio 2000, prevede una serie di garanzie che limitano e regolamentano i poteri dell'Amministrazione Finanziaria, ampliando il diritto di difesa del contribuente. L'articolato normativo, in sostanza, “codifica” alcune regole a favore del contribuente cui gli Uffici dell'Agenzia delle Entrate, oltreché i militari della Guardia di Finanza, nel loro operato, non dovrebbero mai derogare. In tale contesto, grande rilevanza riveste l'art. 12, il quale fissa dei precisi limiti all'attività accertatrice degli Uffici. Tale norma è espressiva dei principi di collaborazione e buona fede – considerati quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione - che devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco. In particolare, prevede che:
Il settimo comma dell'art. 12, L. n. 212/00: prescrizioni e conseguenze delle violazioni Una particolare rilevanza è assunta dal comma 7 del predetto articolo 12, che disciplina il c.d. accertamento “sprint”. Tale disposizione prescrive che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”. Viene, quindi, previsto un limite temporale prima del quale l'atto impositivo non può e non deve essere emanato, in modo da permettere al contribuente di esercitare in modo completo il proprio diritto di difesa, nonché di dare la possibilità dell'instaurazione del contraddittorio tra le parti dopo la notifica del PVC. In caso contrario l'atto impositivo è nullo. La norma in questione è costituita da tre diversi elementi, tutti fondamentali e collegati tra loro, quali:
La disposizione costituisce uno dei principi generali dell'ordinamento tributario. Tuttavia, nonostante la chiarezza della sua formulazione, spesso l'Amministrazione Finanziaria agisce violandola apertamente. I motivi che spingono l'Ufficio a notificare un atto impositivo prima dei prescritti 60 giorni derivano, ad esempio, dall'avvicinarsi della scadenza del termine per l'accertamento: spesso avviene che proprio negli ultimi mesi dell'anno l'Amministrazione Finanziaria notifichi avvisi di accertamento per verifiche concluse da meno di 60 giorni, in quanto se si attendesse lo spirare di tale termine si arriverebbe all'anno successivo, con conseguente prescrizione/decadenza del potere di rettifica dell'annualità in questione. Tale situazione non può in alcun modo giustificare la violazione del settimo comma dell'art. 12, L. n. 212/00: il mancato rispetto dei 60 giorni è consentito infatti solo qualora vi siano particolari ragioni di urgenza. Le stesse devono essere espressamente indicate nell'atto impositivo, in conformità al generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l'ordinanza in commento ha chiarito che il fallimento del contribuente costituisce una particolare ragione di urgenza che giustifica l'accertamento anticipato. I Supremi giudici – richiamando un precedente orientamento (Cass. Civ., sez. trib., 11 aprile 2018, n. 8892; Sez. trib., 28 giugno 2016, n. 13294) – affermano che “… la dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000. Ciò da un lato in ragione dell'urgenza correlata alla necessità dell'Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un'insinuazione tempestiva al passivo, poiché detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori; d'altro lato perché il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicché il detto termine per la presentazione di osservazioni e richieste risulta incompatibile con l'attività del curatore, che è svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, stante l'onere informativo nei confronti di tali soggetti”. In sostanza, dal momento che la società era già fallita all'inizio della verifica e l'invito a produrre documenti era stato già rivolto al curatore, non vi era nessuna necessità di attendere la decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni, a prescindere dalla motivazione dell'urgenza della notificazione dell'atto che, in queste ipotesi, è addirittura insita e deriva dall'accertata insolvenza della contribuente.
Il fallimento del contribuente come causa che giustifica l'emissione anticipata dell'atto impositivo era già stato sostenuto da precedenti pronunce. Ad esempio, nella sentenza n. 8892 dell'11 aprile 2018, la Corte aveva affermato che lo stato di fallimento del contribuente costituisce ragione di particolare e motivata urgenza che consente di derogare al termine dilatorio dell'art. 12 co. 7 della L. n. 212/2000, sicchè, consegnato il PVC, l'accertamento può essere emesso anche prima del decorso dei sessanta giorni. In sostanza, “Deve, quindi, ritenersi ampiamente giustificata l'emissione "ante tempus" dell'avviso di accertamento nel caso, come quello in esame, di società contribuente sottoposta a procedura fallimentare, discendendo l'urgenza dalla necessità dell'Erario di procurarsi tempestivamente il titolo (rappresentato dal predetto atto impositivo) utile per insinuarsi, peraltro già tardivamente (ai sensi della L. 267/1942, art. 101), nel passivo fallimentare, non potendosi condividere il giudizio di prognosi postuma formulato dalla ricorrente sulla base delle tempistiche della procedura liquidatoria successive all'emissione dell'atto impositivo”.
Osservazioni
La pronuncia in commento, nel solco tracciato da altra giurisprudenza di legittimità in relazione allo stato di insolvenza, ha stabilito che la procedura fallimentare può giustificare l'urgenza per l'emissione dell'accertamento anticipato. In sostanza, i giudici hanno ritenuto che l'articolo 12, comma 7, dello Statuto del contribuente è incompatibile con la procedura fallimentare poiché in contrasto con la ratio ispiratrice della norma. Durante la procedura fallimentare, la capacità di disporre del proprio patrimonio passa dal contribuente al curatore fallimentare che la esercita necessariamente sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. La possibilità di produrre memorie entro 60 giorni risulta, pertanto, incompatibile con le più “dilatate” tempistiche scandite dalla procedura fallimentare. Vi è poi da considerare che l'urgenza non dipende dalla possibilità o meno di produrre un'istanza di insinuazione tempestiva o tardiva. Una volta avviata la procedura, l'urgenza sussiste a prescindere da ulteriori circostanze. Il creditore, infatti, mantiene inalterato l'interesse a insinuarsi con sollecitudine al passivo. Tutto ciò anche e, soprattutto, al fine di esercitare attività e prerogative che altrimenti gli sarebbero precluse a causa degli stringenti termini previsti dalle norme fallimentari. Occorre aggiungere, tuttavia, che l'orientamento della Cassazione appare piuttosto rigoroso e, peraltro, sembra non tener conto del costante orientamento delle Sezioni unite (Cass. Civ., ss.uu., 29 luglio 2013 n. 18184), in base al quale i motivi di urgenza devono essere enunciati nell'atto e valutati dal giudice di merito. Infine, non si comprende per quale ragione il curatore non debba avere il diritto di svolgere un contraddittorio preventivo per la società che rappresenta. |