Solidarietà d'imposta del “sostituito”: soltanto in via “residuale”

Ignazio Gennaro
29 Aprile 2019

Nell'ipotesi di ritenute d'acconto regolarmente operate ma non versate dal sostituto, il soggetto che emette fattura ha già subito la trattenuta erariale e quindi ha già assolto l'obbligo tributario essendosi materialmente “privato” della relativa somma.Pertanto, l'obbligazione tributaria si “sposta” dal sostituito al sostituto che diviene obbligato “in via principale” nei confronti del Fisco.
Massima

Nell'ipotesi di ritenute d'acconto regolarmente operate ma non versate dal sostituto, il soggetto che emette fattura ha già subito la trattenuta erariale e quindi ha già assolto l'obbligo tributario essendosi materialmente “privato” della relativa somma.

Pertanto, l'obbligazione tributaria si “sposta” dal sostituito al sostituto che diviene obbligato “in via principale” nei confronti del Fisco.

L'azione di recupero da parte dell'Amministrazione Finanziaria nei confronti del sostituito potrà avvenire solo in via meramente “residuale” e dovrà essere condizionata alla prova:

a) dell'avvenuta denuncia penale del sostituto da parte del Fisco all'Autorità giudiziaria;

b) di comprovato dolo o colpa grave da parte del “sostituito” nella commessa “omissione”, ovvero in ogni caso dell'avvenuto infruttuoso esperimento di azioni dirette al recupero da parte dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del “sostituto” precedute da atti interruttivi della prescrizione inviati al sostituto “obbligato eventuale”.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate di Caltanissetta, tramite l'Agente per la riscossione, notificava ad un Contribuente una cartella di pagamento emessa in applicazione dell'art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 a seguito del disconoscimento di alcune ritenute d'acconto operate su fatturazioni dello stesso Contribuente ma non versate dal sostituto all'erario.

Il Contribuente impugnava la cartella eccependo vizi di notifica nonché (per quanto qui di interesse) l'infondatezza della pretesa.

Con il provvedimento impugnato l'Amministrazione aveva infatti provveduto al recupero di somme a titolo di “ritenute d'acconto” operate su compensi del Ricorrente ma non versate dal sostituto di imposta, per cui il relativo recupero era stato operato dall'Amministrazione nei confronti del “sostituito” - con esclusione dello scomputo delle ritenute stesse subite dal ricorrente - dalla relativa dichiarazione dei redditi, non avendo lo stesso prodotto neppure le relative certificazioni dei sostituti di imposta in questione.

Il Collegio territoriale non condividendo la procedura posta in essere dall'Amministrazione accoglieva il ricorso ritenendo preliminarmente incontestato e documentalmente provato che “...il Contribuente ha effettivamente subito le ritenute...” .

Rilevava, quindi, che “... il soggetto nell'emettere la fattura ha già “subito” la trattenuta erariale da parte del sostituto...ha già assolto, per ciò stesso, all'obbligo tributario essendosi materialmente “privato” della relativa somma trattenuta e che, per ciò stesso, la relativa obbligazione tributaria si sposta dal sostituito al sostituto che, in possesso della somma de quo, diventa lui obbligato in ‘via principale' nei confronti del Fisco, in ordine al pagamento dell' “imposta” in luogo del medesimo sostituito ...”.

Ad avviso della Commissione di prima istanza quindi “...l'azione di recupero da parte dell'Amministrazione nei confronti del sostituito potrà avvenire solo in via meramente “residuale”, ed essere condizionata alla prova:

a) dell'avvenuta denuncia penale del sostituto, da parte del Fisco, all'Autorità Giudiziaria;

b) di comprovato dolo o colpa grave da parte del “sostituito” nella commessa “omissione”, ovvero, in ogni caso, dell'avvenuto infruttuoso esperimento di azioni dirette al recupero diretto da parte dell'Amministrazione Finanziaria nei confronti del “sostituto”, precedute da atti interruttivi della prescrizione inviati al sostituto ‘obbligato eventuale'...”.

La questione

Il “nodo” affrontato dal Collegio nisseno riguarda l'interpretazione da dare al “principio solidaristico” che lega il “sostituto” al “sostituito” d'imposta: ovvero se anche il sostituito debba ritenersi già originariamente obbligato solidale al pagamento dell'imposta e non solo in fase di riscossione.

I Giudici tributari, pur non negando l'esistenza di tale vincolo, hanno statuito che “... non v'è dubbio che tale principio possa, e debba, essere applicato non in modo automatico, “sic et simpliciter”, dinnanzi al mero riscontro dell'omesso versamento da parte del sostituto...”.

A loro avviso, infatti, “ammettere una ampia, incondizionata e generica applicazione del recupero diretto ed immediato, ancorchè in via solidaristico dell'obbligazione tributaria nei confronti del “sostituito” violerebbe il principio costituzionale di “capacità contributiva”, di cui all'art. 53 della Costituzione, in quanto esporrebbe comunque, in via immediata, il “sostituto stesso” ad una doppia imposizione...”.

Quindi, “avendo il Ricorrente provato l'emissione ed il pagamento delle fatture con la relativa trattenuta fiscale in essa operata, non v'è dubbio che solo il beneficiario della prestazione, quale ‘sostituto di imposta', era ed è tenuto al pagamento de quo, non avendo l'Amministrazione fornito elementi probatori volti a dimostrare di avere posto in essere azioni dirette nei confronti del medesimo “sostituto” volte alla tutela del proprio credito erariale”.

Le soluzioni giuridiche

La Commissione di prima istanza nell'argomentare la propria statuizione ha ritenuto che “tale interpretazione non contrasta, anzi è avvalorata proprio dal dettato dell'art. 64 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, il quale non a caso essendo intitolato 'sostituto d'imposta' è, appunto, diretta nei confronti esclusivo solo del 'sostituto', definito dalla norma in questione come colui ‘che in forza di disposizioni di legge' è obbligato al pagamento d'imposta in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili anche a titolo di acconto”.

Ha quindi evidenziato che “appare evidente come il legislatore abbia inteso individuare solo nella figura del ‘sostituto', il soggetto tenuto ad adempiere all'obbligazione tributaria nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria, per cui dal tenore della predetta norma non è dato ravvisare alcuna ipotesi di ‘solidarietà' diretta ed immediata nei riguardi del 'sostituito' ”.

Quest'ultima ipotesi, ad avviso della Commissione, sarebbe invece ravvisabile nella diversa fattispecie di cui al successivo comma 3) del medesimo art. 64, in cui viene delineata la figura del “responsabile d'imposta”, coobbligato per legge al “pagamento d'imposta con altri”.

I Giudici territoriali nel proprio percorso motivazionale hanno richiamato il contenuto dell'art. 3 c. 3 (Certificazioni e documenti riguardanti la dichiarazione delle persone fisiche) del d.P.R. n. 600/1973, il quale (con riguardo al caso di specie) dispone che “I contribuenti devono conservare, per il periodo previsto dall'articolo 43, le certificazioni dei sostituti di imposta, nonché i documenti probatori dei crediti di imposta, dei versamenti eseguiti con riferimento alla dichiarazione dei redditi e degli oneri deducibili o detraibili ed ogni altro documento previsto dal decreto di cui all'articolo 8.

Le certificazioni ed i documenti devono essere esibiti o trasmessi, su richiesta, all'ufficio competente”.

Hanno quindi correlato la citata disposizione con l'art. 64 (sostituto e responsabile d'imposta) del medesimo d.P.R. il quale dispone che “Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso. Il sostituto ha facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento dell'imposta.

“Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa”.

Osservazioni

Secondo il Collegio nisseno l'art. 3 c.3 del d.P.R. n. 600/1973 deve quindi essere inquadrato “alla luce della successiva modifica apportata dall'art. 1 del D.L. n. 330/1994 (convertito in Legge n. 473/1994) che ha emendato proprio la portata esclusiva del predetto art. 3, sopprimendo l'obbligo di allegazione, alla propria denuncia dei redditi, della certificazione del sostituto d'imposta attestante le ritenute operate, e riconoscendo, così, come tale attestazione non assurga più a relativa prova unica ed esclusiva, che imporrebbe una illogica quanto illegittima preclusione difensiva”.

Ha quindi ritenuto,richiamando giurisprudenza di legittimità, che la citata modifica abbia attenuato “la rilevanza formale della certificazione” e che tale norma “deve essere integrata secondo i principi generali della prova”: motivo per cui gli Uffici possono apprezzare anche le prove diverse dal certificato ad esso equipollente.

Tale orientamento risulta essere condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità.

La Suprema Corte,infatti, ha recentemente avuto modo di affrontare una questione analoga a quella che ha riguardato la sentenza in commento statuendo la possibilità che il Contribuente provi le ritenute subite, oltre che con le certificazioni, anche con altri mezzi: “In tema di imposte sui redditi, ai fini dello scomputo della ritenuta d'acconto, l'omessa esibizione del certificato del sostituto d'imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo.(Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, n. 14138).

La Commissione tributaria di Caltanissetta nel condividere quest'ultimo principio, ha quindi ritenuto di “non aderire” ai precedenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità riguardanti l'interpretazione del citato art. 64 del d.P.R. n. 600/1973, secondo i quali “Il contribuente, sostituito d'imposta, che abbia percepito somme soggette a ritenuta alla fonte a titolo di acconto resta debitore principale dell'obbligazione tributaria: quindi nel caso in cui il sostituto non abbia versato all'erario l'importo della ritenuta, l'amministrazione finanziaria può rivolgersi direttamente al contribuente per ottenere le somme dovute a titolo di imposta”. (Cassazione civile, sez. trib., 07/04/2009, n. 8316).

Con altra pronuncia, la Corte di legittimità ha statuito che “a prescindere se la ritenuta sia prevista a titolo di imposta o a titolo di acconto, il fatto che il d.P.R. n. 600/1973, articolo 64, comma 1, definisca il sostituto d'imposta come colui che "in forza di disposizioni dì legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri ed anche a titolo di acconto" non toglie che, in ogni caso, anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione, come espressamente ribadito dall' art. 35) obbligato solidale al pagamento dell'imposta; soggetto perciò egli stesso all'accertamento ed a tutti i conseguenti oneri. Fermo restando il diritto di regresso verso il sostituto che, dopo avere eseguito la ritenuta, non l'abbia versata all'erario, esponendolo così all'azione del fisco” (Cassazione civile, sez. trib., 11/10/2013, n. 23121).

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